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350 milioni per il vino e 35 milioni di euro per l'olio d'oliva italiano

350 milioni per il vino e 35 milioni di euro per l'olio d'oliva italiano

La sfida commerciale sarebbe superare alcune barriere culturali, andare oltre i monocultivar, azzardando persino con gli oli vitaminizzati ricercati all'estero

07 aprile 2023 | Giosetta Ciuffa

Ha le idee chiare il presidente Cia – Agricoltori Italiani Cristiano Fini per difendere la filiera dell’olio extra vergine italiano, leva economica soprattutto del Sud Italia, e favorirne lo sviluppo. La strategia passa per un mix di educazione alla qualità e sostegno - non tralasciando quello fitosanitario - da parte della politica. Se ne è parlato durante il Sol&Agrifood, in occasione del convegno “Filiere evo Dop e Igp: mercato e consumi”, che ha riunito rappresentanti dei produttori e del mercato e ha visto emergere temi noti da tempo, come insegnare ai consumatori a riconoscere gli oli di valore, e più attuali come l’ennesimo divieto di utilizzo di prodotti fitosanitari a supporto della salute dei propri oliveti. Riguardo il primo punto, viene naturale un’analogia con il settore del vino, ora traino da milioni di euro per l’economia, l’export e il made in Italy, ed è pertanto importante investire in una buona comunicazione e nell’innovazione: aspetti che decretano la differenza tra un prezzo inferiore e uno maggiore per un olio però più pregiato. La filiera però va sostenuta anche dal punto di vista fitosanitario perché quanto sta accadendo con la Xylella - e il suo propagarsi - non si ripeta. Cia sottolinea la necessità di un commissario ma importante è anche lavorare su cultivar resistenti perché, ora come ora, l’olivicoltore si trova vietati molecole e prodotti fitosanitari senza valide alternative: “Mi rendo conto che ciò va contro la transizione ecologica, cui Cia è favorevole, ma vanno presi provvedimenti a contrasto della Xylella a favore di alberi e paesaggio. E un sostegno maggiore alle OP attraverso politiche che possiamo mettere in campo insieme alle istituzioni”.

Anche qui immancabile un paragone con il settore del vino ma le politiche messe in atto sono molto differenti: l’OCM vino mette a disposizione 350 milioni all’anno mentre per l’olio solo 35. Lo puntualizza Gennaro Sicolo, presidente di Italia Olivicola che sollecita il governo a sostenere maggiormente le organizzazioni di produttori, unico strumento per certificare un prodotto. E la certificazione, Dop o Igp che sia, è una garanzia di qualità. Senza uno scatto finanziario e con il mercato dell’olio in mano principalmente ai “commerciali” è difficile seguire il modello del vino nel quale ora si ricerca la qualità, ecco perché per il presidente di Italia Olivicola non è possibile ripercorrere la strada battuta da viticoltori e produttori di vino, peraltro a favore di un prodotto - l’olio - che chi vende e acquista all’ingrosso cerca costantemente di far percepire come una commodity, vanificando gli sforzi verso l’educazione al riconoscimento, e il rischio concreto che si voglia portare avanti l’olio sfuso. Non è infatti stata completamente ritirata la proposta nell'Unione Europea di vendere l'olio non imbottigliato nei supermercati, specie nel Nord Europa.

Non stupiscono quindi le tanto criticate inchieste sulla “extra verginità” degli oli a scaffale, ad esempio quella del Salvagente che portò alla luce come, su 20, ben 11 erano oli vergini e non (o non più) della categoria superiore, inchiesta citata da Fabrizio Premuti, presidente dell’associazione Konsumer Italia a tutela dei diritti dei consumatori. Non solo indagini di questo tipo evidenziano come sia ormai acclarato che a un olio dal prezzo basso non corrisponda un risparmio: è risaputo anche a rigor di scienza. Qui entra in campo l’esigenza di una giusta remunerazione per il produttore, che altrimenti dovrà adattarsi a un prezzo inferiore (quindi piegarsi alle logiche del ribasso facendo il gioco del commerciale/Grande Distribuzione, con sconfitta generalizzata per la qualità). Premuti fa affidamento sull’accerchiamento mediatico nei confronti del consumatore, con esempi semplici come il costo di un olio motore, per cui si spende di più che per un olio che invece ingeriamo. La qualità ha un prezzo e se non si paga questo prezzo in denaro lo si pagherà in salute. Nel lungo periodo infatti sarà quello lo scotto da pagare, ecco quindi che diventano fondamentali ricerca e innovazione, non più solo per il rilancio della filiera.

Intanto però a proposito di questo, il direttore del Crea OFA (olivicoltura, frutticoltura e agrumicoltura) Enzo Perri evidenzia l’importanza degli studi sul germoplasma, conservato nei campi collezione. A Monteroni (Lecce) sono già 100 genotipi a dimora per verificare quale sia più resistente alla Xylella (a fine anno, 300); si sta procedendo inoltre alla costruzione di una serra per ulteriori sperimentazioni a contrasto del batterio. È recente la notizia del superamento del bando riguardo quattro progetti, di cui due specifici sulla materia, ossia quelli sul germoplasma olivicolo e sui metodi di coltivazione. Prosegue quindi la sperimentazione a contrasto della Xylella, anche se comprensibilmente molto osteggiata, in quanto il Crea è stato il primo a proporre, rigorosamente in area infetta, laddove non c'è più l'obbligo di estirpazione, la convivenza con le piante malate e miscele di nuove molecole ecosostenibili di origine naturale affinché la pianta possa vivere, pur se colpita. Un progetto finalizzato alle piante secolari e a tutela della valenza paesaggistica di esse ma questa proposta ovviamente accende gli animi di più di un olivicoltore. Il germoplasma si rivela comunque utile anche per contrastare la siccità, mentre prosegue la sperimentazione su strumenti di agricoltura di precisione, come le sonde per il risparmio idrico.

Come aiutare la sostenibilità economica degli olivicoltori? È Benedetto Fracchiolla, presidente Finoliva Global Service, che avanza proposte: lavorando l’olio di oliva di fascia alta nel mercato (100% italiano, dop, controllato, biologico) Finoliva ha un osservatorio più operativo nei confronti delle vendite. L’Italia fa la differenza e l’olio 100% italiano fa il mercato ma questo ormai non è più sufficiente. Parlare di filiere Dop e Igp è quindi il primo grande passo: riescono a valorizzare una denominazione ma un olio 100% italiano non viene valorizzato come la filiera vorrebbe, e questo è un grande limite. “Andrei quindi oltre: c’è marcata simbiosi tra prodotto e territorio. La sfida sarebbe superare le richieste attuali del mercato, andare oltre i monocultivar, azzardando persino con prodotti per noi poco attraenti ma ricercati all’estero, ad esempio gli oli vitaminizzati per quei Paesi che chiedono prodotti particolari. L’Italia è all’avanguardia rispetto alla produzione di olio ma non si può andare in concorrenza con Spagna e Portogallo, per la standardizzazione della produzione ‘in batteria’. Questa non è la nostra olivicoltura, noi OP esportiamo grandi quantità, non 100% italiano ma bio e Dop in USA e in Giappone; quindi si potrebbe esplorare mercati attenti a innovazioni salutistiche, ma sempre il Governo deve sostenerci. I super intensivi non avranno storia e daranno problemi”.

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