Italia 07/04/2007

L’ANNO DEL RILANCIO DELLA FIDUCIA E DELLA POSSIBILITÀ PER IL VINO DI VIVERE NUOVE AVVENTURE

Il quarantunesimo Vinitaly visto e vissuto senza alcun assillo e senza alcuna fretta da un inviato veramente speciale: Pasquale Di Lena. La manifestazione – sottolinea - ha dimostrato di essere anche il momento che fa capire l’intensità del rapporto uomo-vino


Questa volta, libero da impegni allo stand dell’Enoteca Italiana o, come nel caso delle ultime due edizioni, a quello del Molise, con alcuni vini da presentare per la più grande azienda della Regione, mi sono goduto la 41a edizione del Vinitaly, avendo avuto modo di sfogliare le sue pagine lentamente, senza alcun assillo e senza alcuna fretta.
Una straordinaria edizione che ha risposto in pieno alle aspettative di chi voleva, da questo importante appuntamento, il segnale di una ripresa del mercato per un prodotto che ha sofferto gli ultimi anni situazioni di crisi, non tutte dovute a sovrapproduzioni, ma anche ad eccesso di presunzione da parte di molti produttori, soprattutto delle Regioni maggiormente baciate dalla notorietà, di volere dal vino più di quello che il vino, a partire dalla metà degli anni ’80, ha già dato in quanto a fama e profitti, con bottiglie sopravvalutate che ha lasciato perplessi molti consumatori del mondo. Un elemento ancor più negativo se uno pensa che, per questi particolari vini, svolgono un ruolo importante nel farli diventare ancora più preziosi, i ristoratori e le guide, sempre più numerose, che hanno avuto non poca influenza nel recente passato.
Così si è dovuto registrare un ripensamento di molte aziende riguardo alle valutazioni date ai propri vini, dimostrando solo di non avere un comportamento corretto nei confronti del consumatore, che, proprio perché ha cultura e soldi, quindi, possibilità di scelta e nuova passione per il vino, non ha piacere di essere preso in giro.
Alla luce di queste considerazioni, ho ripensato spesso alle mie prime esperienze di oltre venti anni fa al Vinitaly, con pochi padiglioni e pochi stand, un ristorante e qualche saletta per alcune riflessioni, la presenza delle grandi aziende che avevano il sopravvento sugli spazi regionali, fino a quando, alla fine degli anni ’80, non è arrivata la Sicilia, con l’Istituto della Vite e del Vino, a occupare un intero padiglione e a mostrare l’immenso patrimonio di una terra generosa in quantità ed, anche, in diversità e qualità. Un grande investimento che ha permesso, insieme alla voglia dei produttori, grandi e piccoli, noti o sconosciuti, ed al contributo dell’Istituto prima citato, di presentare la Sicilia delle grandi tradizioni e delle novità, prima fra tutte quella del “Nero di Avola”, il vitigno messo in luce dalle ricerche dell’azienda “Duca di Salaparuta”, con il suo ben presto famoso “Duca Enrico”, che, nel momento più alto della passione per il “Cabernet” e lo “Chardonnay”, esce fuori come un grande vino prodotto da uve di un vitigno autoctono che, data la sua diffusione sul territorio siciliano, veniva considerato più per i gradi alcolici che i caratteri organolettici. Ricordo il successo ottenuto nelle presentazioni che, con l’Enoteca, ho fatto in Canada, sia del “Duca Enrico” che del “Bianco della Valguarnera”, anch’esso ricavato da un vitigno autoctono.
Dopo la Sicilia altre Regioni a mettersi in mostra con la occupazione di un intero padiglione, per non essere da meno del Veneto, della Toscana, del Piemonte, che il Vinitaly andava premiando già da qualche anno. Poi la Campania, a mio parere, la Regione che, negli ultimi anni, ha mostrato più capacità di immagine con un padiglione sempre nuovo e sempre più grande a far vivere le straordinarie potenzialità di una vitivinicoltura ricca di proposte e di novità. Anche quest’anno, con il paesaggio rigirato a sorprendere il visitatore, non ha voluto smentire questa sua capacità di inventarsi e rinnovarsi.
Un nuovo padiglione ha saputo mettere in mostra, dando spazio e dignità, l’Abruzzo dei vini a base di “Montepulciano” e di “Trebbiano” e, sempre più, anche di “Pecorino”. Nello spazio dell’Abruzzo l’incontro con un caro amico, Aquilano, e la sua idea di un cristallo di Svarowschy al centro di un’etichetta che presentava un “Montepulciano” dell’azienda Dora Sarchese, ma che esprimeva anche un progetto “Nitae” che ripercorre la storia della viticoltura del territorio ortonese.
Una bella emozione che ci piace raccontare insieme a quella, ancora più grande, che il vino riesce a dare attraverso la sua vetrina più esclusiva, aperta ogni anno per cinque giorni, richiamando a Verona oltre 4 mila espositori, qualche migliaio di tecnici e di esperti e oltre 100 mila visitatori provenienti da ogni angolo d’Italia e del mondo. Un protagonista unico, un testimone eccezionale di stupendi e importanti territori, un prodotto che vale oltre 9 miliardi di euro, alimenta una serie di attività indotte, non ultima quella del turismo e della ospitalità, anima significativi flussi commerciali, soprattutto verso l’estero, tanto da rappresentare il primo in graduatoria nella lista dei prodotti agroalimentari esportati, con 3,2 miliardi di euro introitati.
Un protagonista, dicevo, che non smette mai di sorprendere in questa sua capacità di vivere a fianco dell’uomo le avventure più belle e più esaltanti, nel momento in cui all’uomo riesce a dare emozioni con i suoi profumi, i suoi colori, le sue storie ed i suoi sapori.
Il Vinitaly ha dimostrato nel tempo, ed ancor più con questa sua edizione di grande successo, di essere anche questo, il momento che fa capire l’intensità del rapporto uomo-vino, la sua dimensione e la sua evoluzione, le possibilità di aprirsi a nuovi mondi, cioè a realtà ricche di tradizioni e di culture che il vino non ha mai conosciuto e, solo in qualche caso, ha appena sfiorato. Di questi nuovi mondi, tutti potenziali mercati per il vino, si è parlato molto al recente Vinitaly nel corso di Forum, appositamente organizzati, e di incontri che hanno fatto il punto sulla situazione del mercato e sulle sfide che sono da affrontare nei prossimi anni.
I buoni risultati del Vinitaly, che la gran parte degli operatori ha toccato con mano, sicuramente riusciranno a trasmettere una buona dose di ottimismo che può tornare utile nel momento in cui c’è bisogno di far vivere al vino italiano nuove avventure.
Per poter cogliere meglio tutte le opportunità bisogna liberarsi delle vecchie zavorre e attrezzarsi di nuove strategie che diano al vino italiano la possibilità di esprimere con chiarezza la sua immagine, soprattutto per essere riconosciuto, senza difficoltà, dal consumatore globale; che questa immagine esprima significato e dia garanzia al consumatore, in quanto a qualità e bontà, dando più forza e più opportunità alla classificazione più bassa, quella del vino da tavola, proprio nel momento in cui viene esaltato il significato dell’origine e, quindi, del rapporto con il territorio.
Pensare al mercato globale non vuol dire, però, dimenticare il mercato nazionale che esprime dati preoccupanti con la registrazione del calo dei consumi e rischia di portare a restringere ancor più il numero dei consumatori ad una èlite che non premia il vino, ma lo punisce proprio nell’aspetto che più gli appartiene e, da sempre: essere la bevanda del ricco e del povero, il compagno dell’uomo nella buona e nella cattiva sorte.
In Italia, cioè nel paese del vino per eccellenza, quasi la metà dei consumatori, come dicono ecenti statistiche, non conosce il vino, nel senso che non l’ha mai assaggiato.
Da qui la necessità di mettere in campo vere e proprie campagne istituzionali di promozione e di valorizzazione, utilizzando le risorse sia nazionali che comunitarie, così com’è stato per “vino e giovani” e per “vinoè”, dando alle strutture a carattere pubblico e permanente, come le Enoteche e le stesse Strade del Vino, un ruolo ancora più puntuale nel campo della comunicazione e della valorizzazione del vino che ha il merito, è bene ricordarlo, di essere una fonte di cultura ancor prima che bevanda che dà piacere.
Voglio chiudere con un complimento a Luca Pollini per il suo prezioso e attento lavoro con la pubblicazione “Viaggio attraverso i vitigni autoctoni italiani” ( Alsaba edizioni ) che, ancora una volta, ha visto l’Enoteca Italiana, sostenuta, in questo suo impegno, dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, svolgere magnificamente il ruolo di grande centro di promozione della cultura della vite e del vino di questo nostro stupendo Paese.