A regola d'arte

Un rapporto d'amore tra l'olio extra vergine di oliva di eccellenza e l'alta ristorazione

Grazie a Pandolea conosciamo un altro chef stellato, Daniele Usai, che ha fatto dell'olio d'oliva di qualità un pilastro della propria cucina. Un toccante ricordo familiare e la rivelazione: “a casa abbiamo sempre consumato olio extra vergine artigianale"

13 gennaio 2017 | Francesca Romana Barberini

Il rapporto tra l’Alta Cucina e l’olio extravergine è sempre più spesso un rapporto di amore. Sempre più ristoranti offrono ai propri clienti l’olio come benvenuto: c’è chi lo fa mettendo in abbinamento con il proprio pane homemade, chi aggiunge del sale, chi presenta addirittura una carta degli oli da scegliere. Inoltre gli oli migliori sono diventati anche elementi di distinzione, visto che in molte ricette vengono indicate le etichette degli extravergine utilizzati.

Il grande chef ha dunque scoperto il mondo dell’extravergine e sempre più spesso chiede supporto agli esperti del settore per le proprie scelte.
Come sta facendo Daniele Usai, chef stellato che ha appena spostato il suo Il Tino da Ostia alla foce del Tevere, nel cantiere nautico Nautilus. Lele, così lo chiamano gli amici, ha deciso che avrebbe fatto questo mestiere guardando la mamma e la nonna, ottime cuoche, poi ha studiato “abc, grammatica e sintassi a Londra e San Francisco, ha fatto i compiti da Gualtiero Marchesi, ha studiato da capopartita all’Eden di Roma” (come scrive Andrea Cuomo sulla scheda di della Guida Identità Golose 2016). 

La sua è una cucina semplice e diretta, sempre sorridente; un menù che varia ogni tre mesi per rispettare la stagionalità; un territorio d’origine, il Lazio, sempre ben presente per ispirazioni ed ingredienti, come l’olio extravergine Rupe Bianca, monocultivar Itrana che accoglie gli ospiti accompagnato da una pagnottina fatta in casa di irresistibile bontà.

“A casa abbiamo sempre consumato olio extravergine artigianale - mi racconta Lele - c’è sempre stata una grande attenzione da parte di mia madre sulla scelta dell’olio. Al Tino ho scelto di non proporre una carta dell’oli, ma di prediligere una realtà produttiva olivicola molto simile al mio modo di vedere la cucina: i miei piatti raccontano una cucina di pesce, dove l’olio non deve prevaricare ma esaltare le caratteristiche, quindi cercavo un prodotto non troppo amaro nè piccante, ovviamente del Lazio, un monocultivar con identità specifica e così con il mio Oil Coach Piero Palanti, che mi sta aiutando a crescere nella conoscenza di questo grande prodotto italiano, abbiamo scelto un’itrana in purezza molto elegante. Lo uso per finire gli antipasti, che spesso sono crudi e presentano sapori delicati, ma anche per mantecare le paste. Utilizzo l’extravergine anche per cucinare, ma prediligo un blend”.
“Mi arrivano spesso i campioni di olio extravergine – continua Lele - Li assaggio tutti e poi cerco il più adatto: i miei piatti hanno bisogno di un olio molto flessibile, con una bella apertura. E’ un processo che ripeto tutti gli anni, anche con scelte autonome, perché i prodotti possono variare da annata ad annata. L’unico punto fisso rimane il mio territorio che amo valorizzare appena ne ho l’occasione: credo che ci siano davvero varietà incredibili, che ho appena cominciato a scoprire”. A nome dei produttori di olio extravergine del Lazio ringrazio!

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