Turismo

Cosa può fare un piccolo agricoltore che voglia investire nel turismo?

Agriturismo, agricoltura e attività imprenditoriali. Le difficoltà sono pressoché insormontabili, a cominciare dalla struttura. Alla fine, facendo un po’ di conti, si lascia perdere. Daniele Bordoni fa il punto della situazione, senza rinunciare a posizioni critiche

01 maggio 2010 | Daniele Bordoni



Facendo seguito alla serie di commenti emersa da un mio articolo di recensione di un libro sul turismo (link esterno) e dopo aver ricevuto numerosissime osservazioni circa il ruolo, la trasparenza e la necessità di fare turismo attraverso gli agriturismi, ho anche ricevuto alcune osservazioni circa la difficoltà da parte di chi imprenditore turistico non è, ma ha una piccola azienda agricola e desidererebbe avvicinarsi al turismo aprendo la propria struttura come un agriturismo.

Qui le difficoltà sorgono pressoché insormontabili a cominciare dalla struttura. Non è infatti pensabile che una ASL trovi adeguata la cucina di un’azienda agricola oppure tolleri dei muri con pietra a vista o accetti una casa senza uscite di emergenza o senza bagno per disabili, più antibagno ecc. ecc.

Alla fine facendo un po’ di conti si lascia perdere e si continua a fare il proprio lavoro, maledicendo il nostro sistema di regole che sembra tutelare il consumatore, o il turista, come nel nostro caso, ma finisce col favorire la grande imprenditorialità a scapito della piccola.

Certo spendere 200 o 300 mila euro in ristrutturazioni e adeguamenti non è alla portata di tutti e neppure i finanziamenti lo sono.
Quindi cosa può fare il piccolo agricoltore che si vuole affacciare al turismo, portando, lui sì, la sua tradizione, le sue pietanze e i suoi costumi?

Premetto che non ho alcuna esperienza di agricoltura, ma sono attirato dall’idea di una vita semplice che abbini il mondo rurale al turismo. Spesso mi sono però trovato a soggiornare in strutture molto belle, anche troppo belle, persino lussuose, i cui prezzi erano commisurati al lusso e mi sono sempre chiesto che cosa questo avesse a che fare con la vita rurale. Pochissimo direi.

Ancora una volta riaffermo di non essere contro gli agriturismi. Ve ne sono molti che, oltre a rispettare le regole (la qual cosa non dovrebbe essere un vanto, ma una cosa normale e scontata) conservano la propria identità rurale, senza stravolgimenti o “chaises habillées” e camerieri con i guanti bianchi nei ristoranti.

Quelli che da agricoltori sono riusciti a intraprendere questa attività ricettiva non ritengo siano moltissimi, anche se probabilmente qualcuno c’è. I proprietari e i creatori di agriturismi sono non di rado persone che sentono il richiamo della vita contadina e la immaginano, da cittadini, a loro modo: un ambiente arcadico con grandi filari di viti o di olivi, qualche selezionato animale da cortile e un bel ristorante “tipico”, camere lussuose in “finto rustico” e giardino-parco per il relax degli ospiti, senza parlare delle piscine.

L’immaginazione, come più volte sottolineato nell’articolo sull’argomento, condiziona le scelte degli operatori e quasi sempre li indirizza su quello che la gente si aspetta, o soprattutto su quello che il turista si aspetta di trovare.
Il bello che se l’imprenditore turistico è anch’esso un “cittadino”, anch’esso porterà con sé lo stesso immaginario e inevitabilmente metterà in piedi strutture che rientrano nelle aspettative proprie e in quelle dell’ospite.
Chi dice che questo sia un male?

Il punto è un altro. Il principio secondo il quale l’agriturismo avrebbe dovuto recuperare gli aspetti della tradizione e della vita rurale sembra perso, se non in una pallida rivisitazione con occhi moderni di tutto ciò che è rurale secondo l’immaginario turistico.

Intendiamoci, mondo rurale non significa il mondo di stenti e di difficoltà d’esistenza, come è stato fino a metà del secolo scorso, ma anche un mondo ricco di valori, di capacità e in grado di portare la propria visione anche nel mondo moderno.

Coloro che provengono dal mondo rurale hanno visto i propri figli e nipoti studiare, aggiornarsi e tornare ad apportare le proprie conoscenze ed aggiornare i sistemi e i metodi di coltivazione, rendendoli più produttivi, più efficienti e di migliore qualità.

Qualcuno di questi ha anche avuto il coraggio di imbarcarsi nella difficile impresa dell’apertura di un agriturismo. La mia perplessità è nel numero di coloro che da questo mondo provengono e che siano riusciti a svolgere quest’attività.

Se, come presumo sia vero, i costi di adeguamento di strutture esistenti alle normative vigenti sono molto elevati, questo, di fatto, esclude la maggior parte di coloro che non dispongano dei mezzi sufficienti per sostenerli, tenendo presente che l’agriturismo era stato concepito con l’intento di far riavvicinare i giovani al mondo rurale.

Questa non è una critica all’agriturismo in sé e a chi lo vuole fare secondo la propria interpretazione di questo tipo di attività, ma è una critica al nostro sistema di leggi e regolamenti, che sotto la patina di difesa e salvaguardia del fruitore di servizi turistici, nasconde un atteggiamento negativo e ostativo, più incline alla punizione che al sostegno e all’assistenza a chi si accinge ad intraprendere un’attività ricettiva turistica.

Il fatto che personalmente non ami quello che considero una “falsa” interpretazione del mondo rurale, resta un’opinione, la mia. Chi crede e desidera pensarla diversamente ha tutte le ragioni per farlo ed anche di mettere in piedi, potendoselo permettere, un’attività imprenditoriale turistica, ma temo che non riuscirà mai a convincermi circa l’autenticità del risultato del proprio investimento.

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