Libri
Anche la letteratura coltiva i propri sogni
Finalmente un libro di grande respiro su luoghi, maestri e tradizioni della scrittura narrativa e poetica. Lo sguardo critico, profondo e indagatore di Daniela Marcheschi, tra le massime interpreti della critica letteraria contemporanea
27 ottobre 2012 | Luigi Caricato
“Il sogno – scrive la studiosa Daniela Marcheschi – è lo strisciare dell’essere umano dentro il proprio spirito, ovvero dentro la coscienza chiara e distinta di sé; uno strisciare attraverso le immagini oniriche ordinate in sequenze, i cui simboli sono vita e cultura distillate e trasformate perché noi ne facciamo di nuovo pensiero, e di nuovo vita”.
Ci vuole coraggio a scrivere un libro di così grande spessore e insieme profondamente vero e sincero. Per certi versi, è un po’ il compendio di una vita vissuta con grande dedizione sui libri, ma senza tuttavia trascurare la realtà, e il contesto storico, con le sue dinamiche, e comunque sempre rifiutando una visione della realtà vista come semplice riproduzione della stessa, senza – lo dico con sue parole – “una energica istanza utopica ed etica" . Sì, perché Daniela Marcheschi, nelle sue analisi che coprono l’arco di oltre un ventennio, non prescinde certo dalla realtà. La sua, oltretutto, è una visione di ampio respiro, in cui non si esita certo a esprimere, sin dalle posizioni introduttive, caratterizzate sempre da rigore e da un’armoniosa severità, un giudizio inequivocabile sull’assenza non soltanto di una grande letteratura, ma anche di una critica letteraria altrettanto convincente. Già, perché oggi il condizionamento esercitato in questi ultimi anni dall'industria libraria sulla critica non ci lascia certo del tutto sereni.
I giornali, e in certi casi anche le stesse riviste specializzate, subiscono di fatto, e con ogni probabilità in maniera piuttosto pesante, una certa pressione, tanto da non poter più immaginare il normale corso della letteratura come avveniva un tempo. Troppi, infatti, i giudizi allineati alle note diffuse dagli uffici stampa delle varie case editrici, mancando di fatto, ad oggi, una vera critica militante, così come avveniva un tempo, in un contesto operativo in cui l’esercizio della critica assumeva ancora un ruolo centrale e determinante.

Oggi, come denuncia con coraggio la Marcheschi, il mondo culturale italiano non crede più a una letteratura pensata per l’avvenire, capace di contribuire “efficacemente a un cambiamento della società e del mondo”. Le considerazioni dell’autrice si fanno via via sempre più allarmanti, anche perché effettivamente – come lei stessa evidenzia – oggi “si accetta spesso la realtà odierna della produzione di libri e di idee, sia per il conformismo sia – come giustamente tiene a precisare la Marcheschi – per la comoda convinzione di una ineluttabilità delle vicende storiche”. Insomma, sembra che il debole esercizio dell’attività critica, caratterizzata da una “diffusa fragilità teoretica”, spesso incline a non coltivare i valori autentici, si fermi a una visione irrazionalistica ed estetizzante, tale da sottrarre limpidezza di sguardo e profondità nelle valutazioni.
La Marcheschi non esita infine a riconoscere le sue ascendenze, tra le quali ha sicuramente inciso in maniera significativa la profonda lezione di Giuseppe Pontiggia, il quale ha sempre creduto in una letteratura che scaturisca da una forte tensione tra etica ed estetica. Una ragione di fondo che ora, a distanza di tempo, comprendo a maggior ragione alla luce di quanto appunto mi confidava dalla sua viva voce Pontiggia, in un nostro colloquio sulla narrativa contemporanea. L’autore di Vite di uomini non illustri mi confidava come molti romanzi contemporanei mancassero di struttura, e adesso, leggendo il libro della Marcheschi, le sue preoccupazioni mi risultano oggi ancor più chiare, mentre allora non capivo trovandomi comunque di fronte a libri in ogni caso ricchi, e forse anche strabordanti di letterarietà (ma evidentemente non di letteratura) che pure guadagnavano largo consenso tra i critici.
Mi illuminano perciò, al riguardo, le considerazioni della Marcheschi, quando scrive, giustamente, il seguente passaggio: per raccontare “è “necessaria una architettura, il saper costruire una macchina narrativa che risulti un insieme organico e di nessi concettuali, speculativie formali”. Ecco dunque che mi si sono finalmente rischiarate, ancora una volta, le osservazioni critiche di Pontiggia, che allora non capivo, riguardanti alcuni giovani scrittori tanto celebrati dalla critica giornalistica, ma non ritenuti da lui sufficientemente robusti. Aveva ragione Pontiggia – ma non avevo alcun dubbio in proposito – anche perché, rileggendo gli stessi autori, oggi ho davvero scoperto cosa intendessse Pontiggia, e cosa intenda oggi la Marcheschi. Mi è bastato leggere il libro Il sogno della letteratura e in particolare il paragrafo dal titolo “Romanzo come architettura”.
Ora, non essendo un vero e proprio recensore di testi di critica letteraria, mi fermo qui, ma non esito a invitare i lettori di Teatro Naturale, quelli dediti per vocazione alla letteratura, a soffermarsi sul seguente brano del libro, davvero notevole, su cui è bene riflettere: “siccome si continua a (…) pubblicare letteratura, oggi tocca anche ai critici, oltre che agli autori, il compito di contribuire alla costruzione di una nuova società o civiltà letteraria, che sarà inevitabilmente molto diversa rispetto a quella del passato, ma non meno necessaria, se vogliamo che la letteratura abbia un futuro e continui ad essere una necessità autentica”.
Daniela Marcheschi, Il sogno della letteratura. Luoghi, maestri, tradizioni, Gaffi

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