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NEL ROMANZO D’ESORDIO DI FABIO PICCOLI DOMINA LA FIGURA DELL’ANTIEROE

La società appare per quello che è, senza fingimenti o filtri che l’abbelliscano. Il linguaggio è duro, spigoloso, strettamente legato al quotidiano. Sono storie ambientate in uno scenario che riflettendo il mondo che ci circonda in tutta la sua drammatica evidenza lascia presagire una impietosa perdita di valori e di individualità

26 giugno 2004 | Luigi Caricato

E’ un felice esordio nella narrativa quello del giornalista Fabio Piccoli; e per certi versi anche insolito. Il suo costante e qualificato impegno nel mondo dell’informazione agricola e alimentare lo ha trasferito con il medesimo slancio – e forse con una passione perfino maggiore – nella più complessa arte della narrazione.
In Nascondigli - pubblicato per le edizioni Achab di Verona – Piccoli racconta una storia che si sviluppa in più ambiti di indagine. Sono tanti brevi racconti, ventiquattro in tutto, che insieme costituiscono un corpo unico che si può a ragione definire un romanzo.

Sono storie laceranti unite da un denominatore comune: la ricerca di se stessi. Una ricerca ch’è stata compiuta egregiamente e al di fuori delle strade già battute, a cui ci si è abituati un po’ per gesti di inerzia, più che per una capacità e volontà esplorativa. Non se ne trae un ritratto edificante dell’attuale società. Fabio Piccoli non dà tregua, con le vicende che ci riferisce nelle cinque parti in cui si struttura il libro, si muove espressamente con l’intenzione di offrire una chiave di lettura senza filtri né finzioni. Ciò che conta è far percepire al lettore le molteplici spinte contraddittorie e convulse della vita oggi, in una società in cui i riferimenti cui fare perno sembrano non esserci.

L’obiettivo di questa prova narrativa sembra consistere proprio nel tentativo di aprire in qualche modo un varco alle indefinite ragioni dell’esistere, cercando con fatica di dare risposte certe alle inquietudini e ai disagi che muovono i tanti personaggi che vi compaiono, anche solo occasionalmente, ritratti in tutta la loro innegabile verità. L’autore – va precisato per quanti già lo conoscono e apprezzano nelle vesti di giornalista – qui sorprende per l’approccio e lo stile, del tutto opposto ai lavori cui siamo abituati a leggere su altri temi. Nelle severe pagine di questi nascondigli vengono infatti alla luce tante storie crude e agghiaccianti, che non lasciano in alcun modo spazio al manierismo. C’è un pessimismo di fondo in queste storie, è vero, ma alla fine uno spiraglio lo si trova, una via d’uscita c’è ma va saputa cogliere.

Il protagonista sembra comunque non avere scampo; è un io narrante inquieto e un po’ astioso, con il mondo e con se stesso. Soprattutto con la chiesa, ch’è frequentemente al centro del bersaglio per i suoi non richiesti moralismi. I preti assumono connotati poco edificanti (Don Bruno è l’odiato parroco, “il più viscido tra tutti quelli passati in parrocchia negli ultimi dieci anni”); ma anche le donne sono ritratte alle volte in modo impietoso. Ci sono infatti donne brutte, dai culi cellulitici e dai seni cadenti; e non mancano i giudizi impietosi (“Se io ero un bosco di peli, Anna era una foresta amazzonica del vello”). Neppure il protagonista in verità dà tregua a se stesso (”Con le donne brutte, non so per quale ragione, ho sempre avuto un successo particolare”), e c’è una continua sfida, un sottile e perverso piacere nel giudicarsi (“Dover dimostrare quotidianamente a tutti d’essere all’altezza è una prova difficilissima”).

Il linguaggio adottato è quello ordinario di ogni giorno. Non è una scrittura letteraria, non c’è ricercatezza. Lo stile esprime in compenso con grande efficacia l’irrequietezza dei personaggi rappresentati. Le espressioni cazzo, incazzato si rincorrono a iosa. La fisicità delle parole è piuttosto evidente, perfino esuberante e volutamente eccessiva e smodata in alcuni casi. Segno di una franchezza comunicativa e di una voglia di rompere gli schemi, di una rabbia che si placa subito dopo l’esercizio della scrittura.

Le conclusioni non esistono, è un libro aperto, con vicende che hanno da concludersi altrove, in altri contesti. Ciò che conta qui è l’aver attraversato un mondo di anime in costante fermento, con tante domande e inquietudini che troveranno risposte sicure in gesti semplici, dopo aver superato i propri limiti uscendo allo scoperto, raccontandosi dunque senza più la paura di nascondersi, di dire la propria.



Fabio Piccoli, Nascondigli. Raccontarsi, raccontare...; pp. 92, euro 10,00; Edizioni Achab, Verona 2004