Italia
Nasce l’“Etichetta etica” per informare i consumatori
Conterrà, oltre alle informazioni obbligatorie, la firma del produttore, le tecniche colturali impiegate, quelle di trasformazione e il relativo impatto ambientale
21 maggio 2011 | R. T.
Nove italiani su dieci vogliono un’etichetta chiara e trasparente. Un’etichetta che non deve “sedurre” o confondere, ma piuttosto dare più informazioni possibili sui prodotti alimentari, senza trucchi né inganni. Non si tratta solo di sapere il luogo d’origine e provenienza del cibo che va sulla tavola: oggi il consumatore attento vuole conoscere la “storia” di quello che mangia. Per questo Cia-Confederazione italiana agricoltori e VAS Onlus lanciano la proposta di un’“Etichetta etica”, una sorta di “curriculum vitae” che andrebbe ad affiancare la classica etichetta prevista dalla legge sui generi alimentari.
L’“Etichetta etica” -illustrata da Cia e VAS in conferenza stampa per la presentazione della 6ª Giornata nazionale “Mangiasano”, che si svolgerà domani 21 maggio con oltre 50 appuntamenti in tutt’Italia- è un modello che mira a ristabilire il principio della “sovranità alimentare”, restituendo al compratore un’effettiva libertà di scelta, negata da un mercato globalizzato che sposta le materie prime agricole a seconda della convenienza economica, senza alcuna considerazione per la loro qualità e per l’impatto ambientale e sociale conseguente alla loro produzione.
L’idea dell’“Etichetta etica”, come quella del suo contenuto, è partita dai risultati di un’indagine di Cia e VAS sul rapporto tra italiani e sicurezza alimentare. Secondo lo studio, ben il 91 per cento dei consumatori chiede per il cibo un’etichetta semplice e di facile comprensione, ma con più informazioni rispetto ad oggi. In particolare, l’83 per cento degli intervistati preferisce il prodotto nazionale, soprattutto se tipico e tradizionale, ma dall’etichetta vorrebbe la garanzia dell’italianità di tutti gli ingredienti.
E ancora: otto consumatori su dieci sono contrari agli Ogm in tavola. Il 55 per cento del campione ritiene gli organismi geneticamente modificati dannosi per la salute, mentre il 76 per cento crede semplicemente che siano meno salutari di quelli “normali”. All’opposto, il 62 per cento degli italiani si fida del biologico: secondo questa “fetta” di utenti il bio risponde ai più elevati standard di sicurezza e salubrità alimentare. In più, per il 58 per cento dei “bio-appassionati”, questi prodotti sono di qualità superiore rispetto ai convenzionali. Infine, il 40 per cento degli italiani vorrebbe in etichetta più dati sull’impatto degli alimenti sull’ambiente e il territorio circostante, mentre il 70 per cento degli intervistati chiede meno passaggi di filiera per frenare la corsa dei prezzi dal campo al supermercato.
Sulla base di quest’indagine, Cia e VAS hanno creato l’etichetta ideale. Le imprese che - su base volontaria - sceglieranno di dotarsi dell’“Etichetta etica” avranno quindi riportato sulla confezione: le generalità del produttore (non solo il Paese d’origine ma “l’azienda d’origine”); le generalità del trasformatore (quando diverso dal produttore); il metodo di coltivazione impiegato (industriale, biologico, biodinamico, naturale); le dimensioni aziendali (superficie e addetti) e le informazioni relative all’impatto ambientale (uso di acqua, di carburanti, di energie); il prezzo al produttore; l’origine dei semi per i prodotti dell’orto e quella dei mangimi per gli animali.
In questo modo - sottolineano Cia e VAS - si possono portare alla luce modelli produttivi davvero virtuosi, che fanno bene all’agricoltura, alla salute e all’ambiente. Ma soprattutto fanno bene al consumatore, che potrà avvalersi di un vero e proprio “dossier” alimentare. Un valore aggiunto notevole rispetto ad oggi, a partire dalla presenza della firma del produttore e dell’indirizzo dell’azienda, che rappresentano una vera e propria autocertificazione, il massimo della garanzia di trasparenza che il cittadino può chiedere a un’etichetta.
Cia e VAS hanno una risposta anche per chi sostiene che informazioni aggiuntive in etichetta potrebbero portare a un appesantimento dei costi del packaging, con un ulteriore aggravio sui costi complessivi. In verità, più testo sull’etichetta non comporta alcun costo aggiuntivo. E in più verrebbe data una valenza “etica” al packaging stesso, che oggi per tantissimi alimenti vale più del suo contenuto. Un esempio su tutti: il succo di frutta in vetro da 12 cl costa circa 15-20 centesimi tra bottiglia, tappo ed etichettatura, mentre la materia prima per farlo pesa per poco più di 0,1 centesimi, considerato che mediamente un quintale di frutta al produttore non viene pagato più di 15 euro. In sostanza, il contenuto di un succo di frutta da 12 cl vale meno della decima parte del suo involucro.
Ma l’“Etichetta etica” non dimentica nessuno. Tra gli obiettivi dell’iniziativa di Cia e VAS, infatti, c’è quello di rendere fruibili le informazioni sui prodotti alimentari anche ai non vedenti, utilizzando il “metodo braille” in etichetta.
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