Quo vadis
Bere un bicchiere di vino e andare all'inferno, solo in Valle d'Aosta è possibile
Partendo da differenti approcci al mercato, una sorta di Davide contro Golia, per andare a narrare una storia, quella dell'Enfer. Un nettare ricercato dalle elites
03 ottobre 2014 | Emiliano Racca
Un ‘intervista. È stata molto interessante e costruttiva la doppia intervista riportata sul quotidiano francese Le Monde al Direttore della categoria vini della Carrefour - colosso della Gdo - Richard Bosquet e a Dominique Fenouil, piccolo commerciante in vini fondatore della catena di enoteche Le Repaire de Bacchus. Due visioni, due modalità di presentare e commerciare il vino completamente differenti. Una doppia intervista, per l’appunto, quasi una sorta di sfida, di Davide contro Golia (come recitava il quotidiano nel frontespizio).
In particolare ritengo significativa e degna di nota la domanda posta ai due sui cambiamenti del mercato del vino negli ultimi anni/decenni. Si è rimarcata in proposito l’importanza di adattarsi ai gusti del consumatore che spesso va alla ricerca del vino semi-conosciuto, un po’ per cultura personale o per la voglia di capire meglio un territorio, un po’ per la curiosità di andare oltre i soliti “noti” e rinomati gran crus.
In sintesi, prima si ricercava il fiaschetto di vino a basso prezzo o il vino sfuso acquistato in grandi quantità per “dissetare” la famiglia e per aggiungere calorie ai magri pasti dei tempi che furono. Un vino da mangiare e da bere. Un “vin de soif “come recita il LeMonde.
Oggi i tempi sono cambiati, il vino si associa al piacere, alla convivialità, alla festa, un “vin de plaisir”, un vino da degustare.
Una storia, un vino. Proprio partendo da queste considerazioni, vi narro oggi un vino, un terroir “anonimo”, ma dal fascino magnetico, un figlio di quella viticoltura eroica che è arrivata fino a noi, grazie al coraggio ed all’affetto per la propria terra dei valligiani locali: l’Inferno (Enfer) d’Arvier, in Valle d’Aosta.
Andiamo dunque in montagna, a curiosare in una viticoltura insolita, come quella valdostana che si spinge fino ai 1.200 m di Morgex ai piedi del Monte Bianco. Arvier si situa poco più in basso, ma siamo pur sempre attorno agli 800 m: un azzardo per la coltura della vite che alle nostre latitudini non va mai oltre i 600 m s.l.m.
L’Enfer è un vino rosso che viene coltivato principalmente nel comune di Arvier, ed in parte sul territorio del comune adiacente Avise.
È una viticoltura di nicchia che si estende su poco più di 5 ha, ma è anche una viticoltura che potremmo definire “millenaria”, per la sua lunga storia e tradizione, testimoniate da riferimenti e documentazioni di vendite, infeudamenti e censi risalenti ad oltre 7 secoli fa (Piccola storia della viticoltura ad Arvier, Eva Pellisier)
Il primo riferimento documentato che testimonia la presenza della vite ad Arvier è una reconnaissance che attesta a Rodolphus de Avisio la proprietà di una vigna nella zona dell'Enfer (dal sito del comune di Arvier); tuttavia in questo caso si parla genericamente di vigna. Solo un secolo più tardi nel 1494 appare per la prima volta il nome Enfer in un opera dello storico Carlo Passerin d'Entrèves, che racconta di quando Giorgio di Challant ospitava CarloVIII re di Francia, ai tempi delle sue scorribande espansionistiche verso i principati italiani. Nei fastosi banchetti scorrevano abbondanti il “morbido Carema e l’asprigno Enfer….”
Altre testimonianze storiche ci aiutano a capire quanto fosse apprezzato e ricercato dalle elites del tempo, e dai canonici locali.
Ma non è tutto rose e fiori la storia dell’Inferno: fitopatologie aggressive come l’Oidium tuckeri e la Peronospora, ma soprattutto la Philossera - quell’insettucolo del genere Vitis che devastò le viti in tutta Europa nella seconda metà dell’Ottocento - avevano quasi ammazzato la viticoltura ad Arvier
Negli anni fra le guerre le vigne dell’Inferno furono quasi abbandonate, i muretti a secco strappati alla roccia, costruiti arditamente dai vignerons locali furono invasi dalle sterpaglie, e senza più manutenzione cominciarono pian piano a crollare. Ma fu a partire dal secondo dopo guerra che questa viticoltura riprese slancio e vigore, con la riprofilatura del terreno, la messa a dimora di numerose barbatelle di Petit-Rouge (vitigno autoctono componente quasi esclusivo dell’Enfer); nel 1959 fu fondato un Consorzio di miglioramento fondario. Nel 1972 ecco il riconoscimento delle proprietà e della specificità esclusive di questo vino con l’ottenimento della doc, uno dei primi vini della Regione a fregiarsi di questo marchio. Nel 1978 la prima cooperativa vitivinicola, la Co-Enfer.
Un terroir. I vigneti dell’Inferno sono coltivati interamente alla sinistra idrografica della Dora Baltea, con esposizione a sud; vigneti che affondano le loro radici in sedimenti morenici che si appoggiano alle imponenti pareti rocciose tipiche di una valle glaciale con il suo classico profilo a U.
L’esposizione verso mezzogiorno, la roccia esposta, la presenza ancora dei summenzionati muretti a secco eretti nei secoli passati, rendono questo lembo di terra alquanto soleggiato con estati torride, creando un microclima che ben si presta alla viticoltura.
L’escursione termica - che sappiamo influisce positivamente su grado zucchero, sull’arricchimento della componente fenolica e sull’aumento della finezza aromatica - i suoli sabbiosi e limosi, sciolti, permeabili, caldi e asciutti, con un buon drenaggio forgiano un vino intenso, ben strutturato, dal colore rosso rubino, un con un bouquet di profumi di rosa selvatica e viola; un vino morbido e vellutato, dal retrogusto amarognolo.
Per la cronaca, risulta che il nome Inferno sia ricorrente fra i vini di montagna proprio per il microclima che si viene a creare in questi terrazzamenti siti in anfratti rocciosi; personalmente mi sovviene il Valtellina Superiore Inferno. Ed allora se nei culti religiosi l’inferno è uno solo, in viticoltura si può parlare di Inferni, al plurale…come se uno non bastasse.
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