Libri 11/09/2010

L’ironia? E’ il pudore dell’umanità

La scrittrice Elena Pigozzi ha letto per noi Esco presto la mattina, di Massimo Cacciapuoti, e Vite brevi di idioti, di Ermanno Cavazzoni. Il filo conduttore dei due romanzi? La satira




L’ironia è il pudore dell’umanità, scriveva Jules Renard sul finire del XIX secolo, perché è lo strumento che smaschera il ridicolo nascosto dietro l’apparente “normalità”, svelando il lato tragico dell’esistenza, ma senza mostrarlo del tutto. E la satira - genere letterario che fa dell’ironia il proprio registro narrativo – è il filo conduttore dei due romanzi che vorrei proporvi.


ESCO PRESTO LA MATTINA



Il primo: Esco presto la mattina (Garzanti) di Massimo Cacciapuoti, autore napoletano che ha già dato prova di avere talento e autenticità dalla sua, qui al quarto romanzo, comincia subito sfoderando il meccanismo comico per eccellenza: il rovesciamento. E lo fa su diversi livelli. Rovescia l’inizio del racconto, facendolo coincidere – creando così una sorta di circolarità e continuità della storia, che rimane aperta – con il suo epilogo.
Quindi, rovescia il più forte dei luoghi comuni, costruendo il personaggio principale su un paradosso. Il protagonista è un uomo, tanto fortunato da avere esaudito tutti i suoi sogni senza troppa fatica, ma che, paradossalmente, scopre di non essere felice.
Infine, Cacciapuoti scardina i cliché più logori e abusati su amanti, famiglia e mogli, e mescola le carte persino per quanto riguarda l’impianto linguistico.

Andrea dell’Arti, il protagonista di Esco presto la mattina, è un giovane di trentacinque anni che sembra baciato dalla dea bendata, trovandosi sempre nel posto giusto al momento giusto. Trova la moglie ideale, madre e donna modello, un lavoro dignitosissimo, e corona persino le sue aspirazioni letterarie. Il tutto, e qui sta un altro paradosso, accade in una città – Napoli – corrotta e ostile per antonomasia, in ambienti non certo facili – addetto stampa dell’assessorato regionale in piena emergenza rifiuti -, e in un epoca che divora ogni cosa al ritmo inquietante della velocità.

Attenzione, perché questa è l’apparenza, è il velo che copre la facilità dell’esistenza. Tolto, si riconosce un personaggio che si è adeguato al flusso della vita, perché dotato della lente del disincanto, perché, antieroe consapevole di essere un uomo comune – e pertanto privo delle ambizioni dell’eroe –, sceglie di lasciarsi vivere, seguendo il corso degli eventi e delle occasioni, ma è anche un uomo che ci prova – tenero e buffo, sfacciato e ironico, lucido e consapevole -, afferra l’occasione e la segue, senza per questo convincersi che sia ciò che veramente desidera.

Grazie a questi rovesciamenti, Esco presto la mattina si fa racconto universale, che abbraccia la condizione precaria e sconnessa in cui l’uomo oggi deve convivere e, una volta imparate le regole (come in ogni classico romanzo di formazione che si rispetti, da Voltaire a Dickens), dimostrare di avere capito il trucco, di conoscere bene l’ingranaggio nel quale, per il momento, accetta, se non di vivere, certamente di sopravvivere. A Cacciapuoti va anche un altro grande merito: quello di riuscire – finalmente – a sdoganare Napoli dall’abusato cliché di città degli ammazzamenti e della camorra. Napoli è certo una città difficile, corrotta e ostile, quanto, e non di più, di Milano o di un’altra città del Nord. Dove certo la camorra è la realtà quotidiana di una città, che scoppia per la questione rifiuti, ma non è l’unica sua faccia. Napoli vive, come Milano, Torino, Genova, Roma, delle medesime storture che intessono un’epoca che avanza la pretesa di far coincidere il benessere con la felicità, dimenticando le altre fondamentali componenti profondamente umane. Un’epoca che proietta in avanti presente e passato, polverizzandoli entrambi e che disorienta l’individuo, imprimendo un ritmo frenetico a ogni azione, parola, gesto, momento.

Di qui, un altro merito di Cacciapuoti, quello di corrispondere contenuto a stile, adeguandosi a questo flusso impazzito e vorticoso, e creando un sapiente impianto linguistico in cui si alternano guizzi cinici, scanzonati, ironici e persino allegri, a parentesi liriche, delicate e tenerissime, scatti in avanti a pause intime e riflessive. “Esco presto la mattina” si regge su un impasto linguistico che mescola i diversi e mutevoli registri creando un unico e sapiente stile, che tiene dalla prima all’ultima pagina e regala un protagonista, che, sollevato il velo dell’apparenza, sceglie, per il momento (dichiarandosi “adeguato e contento”) e (forse) senza troppa convinzione, di seguire la sorte, perché comunque – come insegna sin dalla prima pagina - “il sole c’è sempre”, basta aspettarlo sorgere.



VITE BREVI DI IDIOTI



L’altra lettura che suggerirei è Vite brevi di idioti (Feltrinelli) di Ermanno Cavazzoni, il romanzo che ripercorre il genere classico della biografia, rovesciando l’assunto su cui il genere poggia – vale a dire di essere dedicato a uomini illustri e meritori – e raccontando sì le vite, ma di ignoti e per di più idioti. Al pari di un calendario di un solo mese, Cavazzoni propone per ogni giorno non la vita di un santo, ma di un individuo che somiglia al santo, perché – scrive Cavazzoni nella prima pagina rivolta al lettore – “patisce e gode come i santi tradizionali. Poi il nostro mese finisce, perché a questo mondo tutto deve finire, anche le nostre brevi vite di idioti.”

Il romanzo di Cavazzoni intreccia così trentuno biografie di degnissimi sconosciuti – se si esclude quella di Cesare Lombroso – che hanno il merito di avvicinarsi ai santi, forse più per quella loro inclinazione a non adeguarsi alle regole di questo mondo, e a ricercare “altro” dietro - ma anche di lato, o sopra o magari sotto, sembra suggerire l’Autore – all’effettiva realtà in cui vivono. Sono personaggi che rifiutano di adeguarsi al sistema complesso e insieme caotico della loro contemporaneità, e scoprono vie di fughe che li portano, agli occhi degli “adeguati”, ad essere giudicati appunto da idioti.

Di qui il candore, l’ingenuità, quello sguardo innocente tipico di chi confonde realtà e immaginazione e tenta l’azzardo della scorciatoia, precipitando, invece, in un baratro che ne sancisce la definitiva esclusione dalla vita. Candore, ingenuità, innocenza sono però anche le qualità che, come ricordava l’Autore nell’incipit, avvicinano gli idioti ai santi, perché, come loro, accaniti nel cercare un altrove forse più degno, ma sicuramente più umano di quello che sono costretti a vivere.

In comune, tutti gli idioti di Cavazzoni hanno la percezione della svolta innescata dal progresso - un progresso che modifica abitudini e paesaggi, e forse, si potrebbe aggiungere, anche sogni e desideri -, ma avvertita la stonatura, reagiscono ad essa secondo tre modalità diverse, e quindi dando luogo a tre tipologie di idioti.

Nella prima, ci saranno gli idioti che accolgono il progresso con lente deformante e vedono in esso la possibilità di esaudire i loro sogni. Uno per tutti, il primo della lista, il signor Pigozzi (mio omonimo: nomen omen, direi...) perito aeronautico che per fuggire dalle costrizioni familiari inventa macchine volanti e finisce “contro il terrapieno di una sopraelevata.”

Nella seconda, gli idioti che rifiutano la modernità in nome di un ritorno alla condizione primigenia, o di vita in un angolo di mondo ancora incontaminato e forse inaccessibile al cambiamento. Di questa categoria ne sono degnissimi rappresentanti l’idiota Sereno Bastozzi e famiglia (si legga: “La repubblica degli idioti congeniti”), che vivono dentro un pagliaio, non uccidono animali e si nutrono di sole verdure, perché “l’idiota si accompagna ai branchi di erbivori, i quali lo riconoscono e coi quali si accoppia.”

Infine, nella terza ci sono idioti che si potrebbero definire “casuali”, perché balzati fuori dal normale ordine delle cose per via di un inceppo, uno scarto dello stesso ingranaggio, improvvisamente impazzito. In quest’ultima tipologia sono esemplari i “suicidi con errore”, dove primeggia lo spazzino che per farla finita si butta dalla finestra, ma, casualmente, cade “su un vigile urbano uccidendolo” e rendendolo così un idiota.

Le vite di Cavazzoni sono brevi, quasi scarne e per questo profondamente efficaci quanto gli exempla e le vite dei santi, e (forse) brevi come la stessa durata dell’esistenza, raccontante sempre con un tono disincantato e insieme sognante, grazie anche all’uso del discorso indiretto libero che avvicina alla storia e rende partecipe il lettore della difficoltà degli idioti di distinguere la realtà oggettiva e la sua percezione. Basta un solo mese, suggerisce Cavazzoni, dato che, ogni volta, nel mese successivo, si ricomincia da capo, e “ogni volta l’umanità è di un gradino più idiota.”

di Elena Pigozzi