Cultura

L’orto è una meridiana d’ore e promesse

I "Teatri naturali" di uno scrittore raffinato e colto, la sacrale maestà di frutti e fiori. Una breve silloge di cinque poesie fuori dalle mura, tra orti e campi

17 settembre 2011 | Nicola Dal Falco

 

 

Teatri naturali

 

*

Il fuoco muove la paglia con languore d’acqua,

scava gole rubizze, dissipando nel fumo giallo

esili cornicioni di cenere, violente arche di profumi

- la malva, il cardo, il papavero, il trifoglio -

quanto di bovino ingreppia il triplo ventre

e sale ripido per la breve cappa dei desideri,

incontrando sopra l’uliveto la brezza che viene dal bosco,

il mattutino respiro d’alberi e uccelli,

così, si compie il sacrificio d’erbe quando

l’orto rispecchia nei suoi incerti frutti il grigio

anteriore del cielo, l’alta, gravida fronte

 

 

*

del fiore riconosci il mistero,

la dolce, statica irriverenza,

l’anelito a trovare nel mondo

tempo e sostanza;

ingegno che dona, chiuso

nella vastità del prato,

lucide spore e liquidi

abbagli d’insetti, sue ali;

quale rapimento? se non

l’esattezza di uno stame,

la cupida gratuità della corolla,

valente capitolo in cui

s’avvera e spende la più

che poetica osservanza

tra necessità e forma

 

 

*

crepita nel suo fuoco l’alloro

scortica parole, giace convulso,

scalda una fiamma blu e arancio,

rammemora altri confini, profumi

e fibre che piegano la volontà,

innalzano re e saziano divine

fanciulle; forse dice la povertà

estrema del mondo che brucia,

placando se stesso, in un tepore

d’albe e finissima cenere

 

 

*

Quando già imbionda la luce d'agosto

E sventato e ricco s'appressa settembre

Lascio l'attesa al cuore, al corpo l'innocenza,

Del sole che più non scalza, ma chiarisce

Confini e sprezzo delle cose lente e commedianti

Allegra signora d'autunno si cinge corona,

Potenza d'occhi socchiusi,

Così un bisticcio di rane o colombi saluta

La morte di più giorni, sommando insieme

Dolcezze e vanità

 

 

*

L’orto è una meridiana d’ore e promesse:

la calca il piede ed è tempo che sboccia in un ordinato possesso.

Il prato, lasciato alle rose e ai fichi, non dura

Così come l’affetto sbadato d’ogni musa.

Ma prima, prima, qui regnava sovrano un grande pero

Con la sua maestà di frutti e d’ombra.

Il suo scopo recondito era di celare,

con profonde radici e larghe foglie,

il paese alla vista.

Il paese che tutto spariva dietro il severo profilo.

Ma quello era ancora un tempo profetico.

prato della Giacomina

 

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