Economia

Extra vergini d'alta gamma. Come reagisce il mercato

Conviene per davvero produrre l'eccellenza? E come si atteggiano i ristoratori e i titolari dei negozi di gastronomia? Le esperienze di vita vissuta raccontate da alcuni produttori olivicoli, con aneddoti e testimonianze che chiariscono il complesso stato della realtà

28 febbraio 2009 | Luigi Caricato



Si fa un gran parlare di olio di qualità ed oggi effettivamente le bottiglie di buon extra vergine non mancano sul mercato. Tutte le regioni produttrici, alcune di più, altre meno, hanno in qualche modo compiuto il grande salto, migliorando nettamente le proprie produzioni. Un decisivo passo in avanti compiuto anche negli aspetti più propriamente legati alla presentazione stessa dell'olio, oggi confezionato in una veste più accattivante e stilisticamente innovativa.

Nonostante ciò, si avverte che qualcosa ancora non va nella giusta direzione. La sensazione di fondo è che questo salto di qualità non sia stato ancora percepito, all'esterno, nella maniera dovuta. Resta al momento difficile far capire e accettare l'avvenuto mutamento. E l'aspetto più strano è che la difficoltà non sta tanto nel convincere e portare a sé il consumatore - il quale comunque si è reso conto di trovarsi di fronte a un prodotto diverso rispetto al passato - quanto coinvolgere invece i ristoratori e, più in generale, i titolari di negozi di gastronomia.

Per entrare nel vivo della questione, ho pensato bene di chiederlo ad alcuni operatori che si contraddistinguono per essere ormai entrati nell'ottica della quaklità che punti costantemente all'eccellenza. A loro ho chiesto conferma di questa mia sensazione.

E in particolare ho chiesto loro le ragioni del perché i ristoratori e i negozianti stentino ancora a capire. Ciò che importa sapere è se sia solo una gretta questione di prezzo o no. Se dunque si ritiene troppo caro, nel senso di sproporzionato, l'olio extra vergine di oliva d'alta gamma.

E interessante è pure sapere, in particolare, quali siano le obiezioni che ristoratori e negozianti solitamente avanzano, pur di non acquistare un olio di qualità. E magari capire se non si tratti invece di una banalissima mancanza di sensibilità; o, peggio, di una questione di ignoranza, non arrivando a capire la reale differenza tra un generico extra vergine (tale perché risponde ai requisiti minimi imposti dal legislatore) e un extra vergine di alta gamma dalle peculiarità tipiche.

E, infine, la mia curiosità si è spinta al punto di chiedere ai produttori contattati, se avessero qualche aneddoto da raccontare, o comunque qualche storia stravagante, in modo da farci percepire le molte difficoltà che hanno incontrato nel far accettare il proprio extra vergine d'alta gamma dal mercato.

Ecco dunque le testimonianze raccolte. Buona lettura.


AZIENDA AGRICOLA CAPOSELLA
Lecce

Elisa Petrucci: "Condivido l’analisi, anche se a un generale miglioramento della confezione corrisponde una inevitabile maggiore difficoltà nel riconoscere la differenza tra un comune extra vergine ed uno di alta gamma.

Confermo inoltre, e anzi aggiungo che più che con gli chef, il grande problema di comunicazione si ha con alcuni agenti – non tutti per fortuna –, i quali lasciano trasparire davanti ad una bottiglia di extra vergine lo stesso entusiasmo che ci si aspetterebbe davanti a un sacco di concime o ad una bottiglia di diserbante.

I ristoratori e i negozianti in genere capiscono abbastanza, spesso lo trovano troppo caro, ma non in quanto tale, piuttosto in relazione al fatto che non viene rivenduto con un ricarico, come succede con il vino, ma entra nel costo del coperto.
Vorrebbero acquistare al massimo 6 o 12 bottiglie, per non fare magazzino con un prodotto che non si rivende; di conseguenza, gli agenti non vogliono rappresentarlo perché non fa volume e quindi non vale la pena sprecare il fiato.

Direi che è fondamentalmente una faccenda economica. I ristoranti molto cari a volte lo comprano. E' anche vero però che dietro a un ristorante molto caro c'è spesso uno chef molto sensibile.

L’ignoranza? Questa, direi, che è un problema che si riscontra maggiormente con i clienti privati, o con i ristoratori di fascia bassa, che comunque non lo comprerebbero.

Qualche tempo fa fui contattata al cellulare da una signora, un cliente privato, la quale dopo avermi informato che il suo medico curante le aveva consigliato di consumare olio extra vergine di oliva per provare a risolvere i suoi problemi, credo intestinali, mi domandava se il nostro extra vergine, i cui riferimenti aveva trovato su una famosa ottima guida letta penso prevalentemente da signore amanti della cucina, si potesse bere così, crudo, direttamente dalla bottiglia. In caso affermativo, ne avrebbe acquistato numerose bottiglie, cosa che poi, dopo svariate telefonate, e grazie sempre a quella famosa guida, e non certo alla mia simpatia, in effetti fece".


FRANTOIO OLEARIO GABRIELLONI
Recanati, provincia di Macerata

Gabriella Gabrielloni. “Io credo che i ristoratori non abbiano ancora sufficienti elementi per percepire l’importanza dell’olio extra vergine di oliva.
Purtroppo, quando uno degli obiettivi principali è l’abbattimento indiscriminato dei costi, noi partiamo svantaggiati. Per questo occorre innanzitutto riuscire a trasmettere l’idea che l’olio extra vergine di oliva non è banalmente un condimento, ma anzi un primo alimento.

L’impiego dell’olio extra vergine di oliva in un piatto, lo rende infatti non solo più saporito, ma indubbiamente anche più digeribile. Aggiungere a un piatto poche gocce di un olio extra vergine di elevata qualità, ha un impatto molto modesto nel suo costo complessivo, ma è il modo ideale per migliorare drasticamente l’esperienza gustativa del cliente, che è poi quella più strettamente legata al benessere della persona.

E’ altrettanto urgente e necessario far capire l’importanza della qualità dell’olio e come poterla riconoscere: ci sono infatti prodotti che vengono etichettati come oli extra vergini di oliva ma non soddisfano appieno i requisiti per far parte di questa categoria. Aspetti come il valore polifenolico e l’analisi organolettica sono parametri importantissimi e meriterebbero un’attenzione maggiore.

Le notizie diffuse on-line entrano ormai in tutte le nostre case. Occorre cogliere questa opportunità per poter raggiungere direttamente sia i ristoratori che i loro clienti, e fornire loro tutti gli elementi necessari per informarli e far crescere in loro maggiore consapevolezza del grande valore di questo Dono della Natura”.



OLEIFICIO DI VITO
Campomarino, provincia di Campobasso

Giovanni Di Vito: “Effettivamente, nonostante i passi avanti compiuti da tutte le regioni produttrici a favore di una politica della qualità, risulta ancora difficile trasmettere tale valore ai consumatori, ma soprattutto lo è verso i ristoratori e i titolari di negozi di gastronomia. E questa purtroppo non è una sensazione, ma la realtà dei fatti. Per fortuna non è una regola, per tutti i ristoratori, anche se per loro gli oli fruttati potrebbero – dicono – coprire i profumi e le sensazioni di alcuni piatti. Non credo però che sia solo una questione di prezzo, in quanto su una portata, tra un olio extra vergine commerciale e un buon extra vergine, la differenza è irrisoria, potrebbero esserci massimo 10 centesimi di euro.
Credo che ci sia poca sensibilità e tanta ignoranza nel capire per esempio gli abbinamenti più opportuni. Non si comprende che con un extravergine di qualità si possa aggiungere valore al piatto e in cucina. E questo vale anche per i negozi di gastronomia, laddove l'olio è solo un prodotto da collocare sugli scaffali".

Luigi Di Vito: ”E io invece, rispetto a quanto sostenuto da mio padre, aggiungo che le gastronomie hanno perso ormai quel rapporto di fiducia che avevano un tempo con il consumatore finale, riuscendolo a orientare verso i prodotti di qualità.
Non c’è da stupirsi, visto che un analogo comportamento in realtà lo si nota anche con gli stessi produttori. Mi è capitato infatti di constatare ultimamente, durante la partecipazione a una fiera, che alcuni di loro insistevano con il proporre un olio extra vergine d'oliva di bassa qualità, magari allo scopo di terminare delle giacenze di magazzino. Poi, purtroppo, sappiamo come vada nei fatti la realtà: il consumatore si fa spesso un’idea sbagliata e distorta della qualità. Posto di fronte a un olio amaro e piccante, magari lo rifiuta perché lo ritiene a torto meno buono. Molto spesso la colpa è degli stessi produttori, che non si curano di comunicare cosa sia qualità e cosa invece qualità non è.


AZIENDA AGRICOLA GIRARDI
Sant’Angelo d’Alife, provincia di Caserta

Francesco Girardi: “Sono ormai più di dieci anni che m'interesso d’olio, per tradizione e per passione, e oltre ad essere presidente del Comitato promotore olio delle "Terre del Matese", faccio parte del Panel di assaggio della Camera di Commercio di Caserta. Ecco, io vedo il ripetersi, a scadenza ciclica, di convegni sull'olio organizzati dai soliti Enti e con gli stessi argomenti (ricorre, tra l'altro, il mese dell'olio in Campania), quasi sempre con le stesse persone. Noto però un’assenza di sinergia, di strategie e di atti di volontarietà concreti di aiuto. Meglio allora lasciar perdere, ma... torniamo a noi.

Le sue osservazioni sono più che giuste. Il momento è davvero difficile, soprattutto per l'olivicoltura. Si può far a meno di un albero d'olivo e non di un telefonino. Ci si ammazza per fare un olio di qualità per poi svenderlo per coprirne i costi. Per quanto riguarda i ristoratori e i negozianti, non so dove possa arrivare l'ignoranza e la malafede. Se ogni ristoratore adoperasse l'olio del territorio, le aziende presenti non basterebbero a soddisfare la domanda. Inoltre viene meno l'opera di divulgazione e di approccio al prodotto, influenzando in modo negativo la vendita nei negozi specializzati. L'olio, purtroppo, non è il vino. Nella migliore delle ipotesi un olio d'oliva si "spezza" con olio di semi di dubbia provenienza, perché è considerato "forte". Quanti, poi, posseggono un carrello degli oli ed eventualmente l'olio contenuto nelle bottiglie corrisponde all'originale? Che dirle?!

A proposito di aneddoti, l'ultimo risale a qualche sera fa. Ero in uno pseudo agriturismo della zona dove qualche tempo prima avevo proposto il mio olio: conoscendomi, mi è stato servito per aperitivo una bruschetta col burro.
A domanda posta: "Siamo in Valtellina?", la proprietaria mi ha risposto: "Che vuoi fare, qui non c'è cultura".
Come può notare, tra ignoranza e malafede il passo è breve. Aveva perfino i vini di Nino Negri della Valtellina e non una bottiglia d'olio extra vergine da portare al tavolo. Ecco, mancanza di cultura, anzi ignoranza e assenza di sinergia. E poi vogliamo parlare di territorio!?
Perdoni lo sfogo".