L'arca olearia 04/02/2012

Olio extra vergine d'oliva Made in Italy. Come è possibile trovarlo a 3,99 euro/litro?

Olio extra vergine d'oliva Made in Italy. Come è possibile trovarlo a 3,99 euro/litro?

In quest'ultima puntata dell'inchiesta ci occupiamo degli extra vergini premium, ovvero quelli che costituiscono il segmento di mercato più elevato per l'industria e commercio oleario, con un occhio di riguardo per il 100% italiano


Il segmento premium per gli oli extra vergini d'oliva nel portafoglio dell'industria e commercio oleario è costituita da quel genere di prodotto immagine che si distingue e si caratterizza per evidenti particolarità che lo collocano un gradino al di sopra dell'extra vergine standard.

Può essere il gusto, anche se il regolamento comunitario 182/2009 ha reso la strada più ostica, può essere un particolare tipo di estrazione, come il denocciolato, può essere il rispetto ambientale, ovvero il biologico, può essere l'origine.

Questo segmento vale intorno al 20-25% del mercato, con il solo Made in Italy che ha una quota tra il 10 e il 15%.

Ciò che contraddistingue, comunque e invariabilmente, gli extra vergini premium è l'essere posizionati in una fascia prezzo di 6 euro/litro. Secondo indagini e studi di marketing, che i grandi marchi ripetono ciclicamente, è infatti questo il prezzo massimo che il consumatore è disponibile a spendere per un olio extra vergine da “mass market”. I 6 euro/litro sono quindi, per l'industria e commercio oleari, la stella cometa, il riferimento intorno a cui tutto deve ruotare.

Ma come è possibile che un olio extra vergine Made in Italy possa essere venduto a scaffale dai 3,99 euro/litro ai 5,99 euro/litro?

Per i “materiali e metodi” invito a una lettura della premessa della prima puntata dell'inchiesta: Ecco come nasce un olio extra vergine d'oliva da vendere a 2,59 euro al litro

Consiglio inoltre la lettura anche dell'articolo della scorsa settimana: Facciamo i conti in tasca all'industria. Quanto davvero guadagna sull'extra vergine più venduto sul mercato?

 

Made in Italy

Spesso viene considerato il biglietto da visita dell'industria olearia. Il fiore all'occhiello. L'extra vergine in questione deve quindi essere di ottima qualità, ovvero superiore ai normali standard qualitativi utilizzati per gli scambi internazionali di olio extra vergine d'oliva.

Deve, cioè, essere inappuntabile tanto sotto il profilo chimico quanto sotto quello organolettico.

Una contestazione su questa fascia di prodotto avrebbe infatti ripercussioni negative in termini d'immagine per l'intera azienda. Una perdita di credibilità che genererebbe ricadute anche sugli altri prodotti in portafoglio.

Costi industriali

La materia prima utilizzata sarà selezionata con molta cura. Il prodotto dovrà garantire, oltre a un profilo organolettico riconoscibile e stabile, anche delle connotazioni che lo leghino alla categoria premium e all'origine.

Il prodotto di solito non presenta una veloce rotazione, pertanto deve essere garantita una shelf life lunga (12 mesi almeno).

Costo aziendale

Si tratta del prodotto i cui volumi di vendita sono bassi e rappresenta una percentuale largamente minoritaria sia per volumi sia per fatturato. Nonostante questi dati necessita di un'azione promozionale e di marketing più aggressiva.

L'incidenza dei costi aziendali sul costo industriale sarà quindi sensibilmente superiore a quella delle altre fasce di prodotto e viene stimata al 25%.

Riepilogo

COSTO INDUSTRIALE: 3,13 EURO/LITRO

COSTO AZIENDALE: 0,77 EURO/LITRO

COSTO TOTALE: 3,88 EURO/LITRO

IVA (4%): 0,15 EURO

PREZZO FINALE: 4,03 EURO/LITRO

La politica commerciale

Anche questo prodotto, come per quello di fascia standard, non può essere venduto solo a prezzo pieno ma, al momento della sottoscrizione del contratto di fornitura con la GDO, vengono già pianificate campagne promozionali a prezzi scontati.

Anche per questo prodotto, come per quello standard, viene stimato che il 40% della fornitura venga venduto in offerta (3,99 euro/litro) e la restante parte a prezzo pieno (5,99 euro/litro). Si segnala che negli ultimi due anni l'incidenza delle vendite in offerta per gli oli della fascia premium sta aumentando, portandosi più vicina alla soglia del 50%.

I margini della GDO

Gli oli extra vergini di fascia premium hanno una rotazione più bassa di quelli standard. Anche per questa ragione, di solito, il loro posizionamento a scaffale è in zone meno visibili. Meno rotazione, infatti, significa fatturati più bassi e, ancor più importante per la GDO, una bassa remuneratività in ragione dello spazio occupato. La Grande Distribuzione, infatti, ragiona anche in termini di fatturato e utili per metro lineare di scaffale. Se il fatturato è più basso, per mantenere inalterati gli utili per metro lineare di scaffale, occorrerà alzare i margini.

E' quanto accade per gli oli di fascia premium, dove il margine medio della GDO, sul prezzo finale, sarà del 20%. Abbiamo quindi che sarà pari a:

- 0,79 euro/litro in offerta (3,99 euro a scaffale)

- 1,19 euro/litro nel restante periodo (5,99 euro a scaffale)

Il guadagno per l'industria

Stimando che il 40% della fornitura venga venduto in offerta abbiamo un margine medio del 3% circa.

Il guadagno su 100 bottiglie, delle quali 40 vendute in offerta e 60 a prezzo pieno, è di 13 euro.

Quanto guadagna l'industria e commercio oleari sul 100% italiano nel suo complesso?

Considerando il consumo totale di olio extra vergine a 540milioni di litri e che il Made in Italy valga il 12,5% del mercato, abbiamo che il consumo di Made in Italy nel nostro Paese è pari a:

540milioni x 0,125 = 67.500.000 litri

equivalenti a un utile per l'industria di:

67.500.000 / 100 x 13 = 8.775.000 euro

In questo caso, per l'industria olearia, più che il costo finale, seppur importante, sta diventando fondamentale l'incidenza delle vendite in offerta. Il margine, infatti, praticamente si annulla al di sopra del 45% delle vendite in offerta, per diventare negativo, ovvero generare una perdita, qualora le vendite in offerta superino il 49% della fornitura totale.

 

Facciamo ora una simulazione. Immaginiamo che la quotazione all'ingrosso dell'olio extra vergine d'oliva italiano raggiunga i 4 euro/kg, prezzo considerato abbastanza soddisfacente da parte della gran parte del mondo associativo olivicolo. Tutti gli altri valori resteranno immutati, ivi compresi i margini per GDO e industria/commercio, andando quindi ad analizzare a quali prezzi a scaffale dovrebbe essere venduto l'extra vergine Made in Italy.

Costi industriali

 

Costo aziendale al 25%.

Riepilogo

COSTO INDUSTRIALE: 4,45 EURO/LITRO

COSTO AZIENDALE: 1,11 EURO/LITRO

COSTO TOTALE: 5,56 EURO/LITRO

IVA (4%): 0,22 EURO

PREZZO FINALE: 5,78 EURO/LITRO

Margini della GDO al 20%.

Ecco il risultato:

L'olio extra vergine italiano andrebbe venduto:

- 8,39 euro/litro a prezzo pieno

- 5,99 euro/litro in offerta


Infatti, anche in questo caso, il margine medio per l'industria e commercio oleari è del 3% circa.

Il guadagno sarà di 17,2 euro ogni 100 bottiglie, delle quali il 40% venduto in offerta e il 60% a prezzo pieno.

Qualcuno potrà legittimamente obiettare che i guadagni monetari, per industria e GDO, in questo caso, sarebbero ben più elevati. E' vero.

Bisogna tuttavia considerare che la GDO non abbasserebbe i propri margini in quanto un extra vergine in questa fascia prezzo avrebbe probabilmente una rotazione inferiore, da cui meno fatturati, con la conseguenza di dover mantenere alti margini per salvaguardare gli utili per metro lineare di scaffale.

Anche per l'industria è difficile ipotizzare una riduzione dei propri margini, non solo perchè a costi più alti ne risulta anche un'esposizione finanziaria superiore (il denaro ha un costo) ma anche perchè incrementa sensibilmente il rischio d'impresa. E' infatti ipotizzabile che l'incidenza delle vendite in offerta di un extra vergine ad un simile prezzo non sia del 40% ma superi il 49%, ovvero la soglia oltre la quale si avrà una perdita. Ricordate infatti lo studio di marketing che per le industrie rappresenta la stella cometa? 6 euro/litro è il prezzo massimo che il consumatore è disposto a spendere per un extra vergine premium e che coincide con il prezzo di vendita in offerta dell'olio extra vergine italiano in questa simulazione.

 

Conclusioni

Nell'ambito del mercato di massa, l'olio extra vergine italiano è nella fascia premium ed è quindi soggetto alle regole di marketing e di posizionamento di questa fascia di prodotto.

Solo un salto di qualità, ovvero immaginando la creazione di una fascia super premium in cui collocare l'olio italiano, potrebbe rendere possibile l'aumento delle quotazioni dell'extra vergine nazionale.

Si tratta tuttavia di una via molto impervia, che dubito l'industria e commercio oleario vogliano percorrere.

Diverse le ragioni. Una categoria super premium andrebbe a segmentare ulteriormente il “mass market” che, per l'industria e commercio oleari, è già piuttosto complesso e variegato. La fascia prezzo su cui si posizionerebbe un ipotetico super premium sarebbe molto vicina a quel mercato di nicchia su cui l'industria non ha interesse a entrare. Anche volendo, la creazione del super premium richiederebbe notevoli investimenti promozionali e di marketing, inimmaginabili considerando gli attuali esigui margini del settore.

Per semplificare e sintetizzare: o l'extra vergine italiano diventa un prodotto di nicchia oppure, rimanendo un prodotto di massa, pur della categoria premium, è difficilmente ipotizzabile un rialzo sensibile e strutturale delle quotazioni attuali.


di Alberto Grimelli

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Commenti 9

francesco vittori
francesco vittori
17 febbraio 2012 ore 14:17

sto leggendo in questi giorni con moltointeresse gli articoli su questo importante argomento. Mi interessava sapere se posso inserire in etichetta la quantità di polifenoli contenuta nel mio olio. Inoltre vedo sugli scaffali oli con la scritta bassa acidita' in evidenza rispetto agli altri parametri. Come è possibile che questo avvenga alla luce del sole?
Francesco

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
15 febbraio 2012 ore 19:32

Oggi girando un supermercato famoso che vende anche molti marchi dop di tutta Italia sono rimasto sconcertato.Leggi e rileggi le date di produzione e le scadenze non sono riuscito a trovare un olio prodotto quest'anno sia dop che normale extravergine.Addirittura c'erano oli dop ancora non scaduti della campagna di produzione 2009-2010(questo grazie alla geniale legge che dà, magari dopo i secondi sei mesi di riconferma della dop, altri diciotto mesi da quando lo mettiamo in bottiglia).I dop andavano dagli 8 euro ai 12 cioe' prezzi come se l'olio fosse fresco.Tutto perfettamente lecito,si capisce,ma si puo' distruggere la dop cosi',il consumatore che lo compra che idea si fara' della dop?Non andrebbero bene sedici mesi dalla produzione dell'olio? E' vero che ci sono oli eccelsi che partono con tenori altissimi di polifenoli e di sost aromatiche tali da reggere anche due anni,ma sono l'eccezione,molti oli dop prendono la certificazione con i parametri chimici e organolettici al limite del disciplinare gia' dall'inizio di questa,ma dopo 6+(+6)+18 mesi come sara' quell'olio in bottiglia,magari anche stato nello scaffale per molto tempo?Avra' quelle meravigliose caratteristiche di profumi,di piccante di sensazioni positive per cui un consumatore è spinto a spendere qualche euro in piu'?

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
05 febbraio 2012 ore 15:25

Sig. Breccolenti,
è già possibile inserire in etichetta alcune caratteristiche chimiche dell'olio e nello specifico: acidità, perossidi, cere e assorbimento all'ultravioletto. La normativa prevede che non sia possibile indicarne solo alcune, ma o tutte o nessuna. Inoltre non è possibile indicare i valori di uno di questi parametri in maggiore evidenza rispetto agli altri. Questo per evitare strumentalizzazioni promozionali che tendano a evidenziare un parametro (es bassa acidità) rispetto agli altri, posto che solo il quadro analitico nel complesso fornisce indicazioni realistiche sulla qualità dell'olio.
Nelle caratteristiche chimiche indicabili in etichetta mancano i biofenoli. La ragione è banale. Al momento in cui è stato varato il regolamento sulle indicazioni chimiche ancora non vi era un metodo ufficiale per la determinazione dei polifenoli nell'olio. Il metodo (HPLC) è stato varato dal COI nel novembre 2009 e da allora nessuno ha chiesto di estendere anche questo parametro nelle indicazioni facoltative in etichetta. Anche in questo caso esiste una ragione. Acidità, perossidi, cere e assorbimento all'ultravioletto sono esami analitici piuttosto semplici ed economici mentre l'HPLC è abbastanza dispendioso. Salvo convenzioni particolari, un'analisi completa può costare 300 euro o più. L'incidenza sui costi al litro per un'azienda di piccole dimensioni (1000 litri di extra vergine) è 30 centesimi. Naturalmente senza contare i costi supplementari per la stampa delle etichette che potrebbero essere utilizzate solo per quella determinata partita di olio o annualità. Avremo così volumi di stampa delle etichette bassi e costi alle stelle. Oltre a questo vi sono i rischi connessi ai controlli. Se le autorità, esaminando l'olio preso da un qualsiasi scaffale, trovassero valori diversi da quelli indicati in etichetta, eleverebbero quasi certamente verbale, obbligando il piccolo prodotture a difendersi. Vincerebbe ma a quali costi?
Da quando è stato introdotto il reg. 640/2008 che regolamenta le indicazioni organolettiche in etichetta queste, in buona parte, sono scomparse dalle bottiglie. Si è mai chiesto il perchè? Dovrebbero essere proprio i piccoli produttori ad avvantaggiarsene maggiormente, avendo l'occasione di poter differenziare il proprio olio al meglio. Perchè non lo fanno allora? Il sistema, economico e burocratico-amministrativo, scoraggia dall'intraprendere tale strada. Parli con qualche piccolo produttore. Non si stupisca se si sentirà dire che è meglio indicare il meno possibile in etichetta. Assistendo a una lezione dell'Icqrf (ex represisone frodi) sull'etichettature dell'extra vergine non c'è da dar loro torto, glielo assicuro.
"Ma a chi fa tanta paura la dicitura in etichetta "acidità 0,3,perossidi 8,polifenoli 400" ?". Fa paura a tutti gli attori della filiera nel momento in cui viene costruita, come uso ormai nella Ue e in Italia, un sistema burocratico complesso e ingestibile.
"A chi fa paura un consumatore cosi'?" A qualcuno sì. Al pari di quanto succede in altre filiere, a partire dalla vitivinicola, l'industria e commercio sa di non perderci. Il mass market dominerà sempre il mercato, con percentuali largamente maggioritarie. Anzi ne beneficerebbe, perchè si attutirebbero gli scontri, quasi quotidiani, tra gli attori del settore. Quando Teatro Naturale propose, in un documento per il Risorgimento dell'Olio Italiano, la suddivisione, a livello di strategia di marketing e di promozione, tra olio artigianale e di massa, con tutto quello che ne consegue, ottenemmo l'appoggio di Federolio e Assitol ma non di Unaprol, che infatti fece fallire il tavolo.
A lei le conclusioni.

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
05 febbraio 2012 ore 12:41

Lei sig. Grimelli sintetizza bene quello che è lo stato attuale delle cose,anche se non sono daccordo con gli aggettivi tipo "ottimo"(ottimo per me è un termine inscindibile) e con gli esempi che lei riporta(le auto).Pero' non ho ancora ben capito il suo pensiero sulla vera sostanza del problema che risintetizzo qui:etichettatura con parametri chimici completi,parametri piu' stretti per l'extravergine con introduzione dei polifenoli a partire da un minimo di 100-150(o l'introduzione di un doppio binario "alta qualità vera" con parametri chimici ristretti),campagne informative promosse sia a livello di associazioni sia da enti istituzionali,nelle scuole fino ai medici di base (che ad oggi poco sanno del valore salutistico di un buon olio o in quali oli si trovino le caratteristiche benefiche).Ma a chi fa tanta paura la dicitura in etichetta "acidità 0,3,perossidi 8,polifenoli 400" ? Un problema di posto in etichetta? Addirittura concorrenza sleale per aver scrito la verità? Ma soprattutto, a chi fa tanta paura un consumatore informato e istruito che quando si trova davanti a una bottiglia è in grado veramente di dire "spendo poco, non mi interessa niente dei polifenoli" o "spendo piu' perche' i polifenoli sono ottimi per la salute ma soprattutto per trenta o quaranta centesimi in piu' al giorno vale la pena comprare un olio migliore in tutto? A chi fa paura un consumatore cosi'?

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
04 febbraio 2012 ore 16:54

Gent. Sig. Breccolenti,
non dimentichi mai che stiamo parlando di mass market.
I parametri di qualità di un mass market rispetto a quelli di un mercato di nicchia sono necessariamente diversi, dovendo soddisfare esigenze diverse.
E' errato, a mio parere, dare un'univoca scala di valori, di punteggi, di qualità a oli che si presentano nei due mercati.
Sarebbe come mettere in competizione una Fiat Croma con una Ferrari California. Non c'è gara, sotto tutti i punti di vista. Le prove comparative, così come ogni genere di comparazione, andrebbe fatta tra simili. Ne consegue che le due auto potrebbero avere anche voti uguali in test e prove su strada, fermo restando che appartengono a segmenti diversi e quindi questi voti sono tra loro non confrontabili.
Occorre solo applicare un simile ragionamento al mondo dell'olio, il che rappresenterebbe un salto culturale di non poco conto. Un salto culturale, tra l'altro, facilmente comprensibile dal consumatore abituato, forse anche solo inconsciamente, a distinguere i differenti segmenti di mercato.
E' questo il punto nodale, ovvero lo scopo che mi sono prefisso quando ho realizzato l'inchiesta: dimostrare che gli oli ARTIGIANALI di olivicoltori e frantoiani e gli oli DI MASSA di industria e commercio appartengono a mondi diversi.
Le logiche, commerciali, promozionali e di qualità, sottintese agli extra vergini artigianali e agli extra vergini di massa sono tanto diverse da rendere i due mondi incomparabili, ben distinti e non miscibili.
In sintesi esistono extra vergini di ottima qualità anche nel mass market ma l'ottima qualità del mass market non è confrontabile con quella di un mercato di nicchia. Le attese, le aspettative, le esigenze del consumatore sui due prodotti sono molto diverse.
E questo è l'ulteriore passo. Se il consumatore su un extra vergine artigianale ha già delle aspettative bisogna capire quali sono. Se, viceversa, è disorientato, occorre fornire noi produttori di nicchia un'immagine, un'idea, una prospettiva, un'emozione che soddisfi esigenze, attese, aspettative magari ancora non compiute o ben rappresentate ma certamente latenti.
Un passo alla volta però...
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
04 febbraio 2012 ore 16:00

Grazie Grimelli, per ora mi è chiaro. Il mercato è fatto dall'acquirente, sia attraverso la FORZA della proposta da parte della GDO, che d alla capacità di discutere da LEADER la scelta dei prodotti/fornitori per lo meno fino alla fascia 3 di questo mercato. Data l'eccedenza dell'offerta è certamente capace anche di dare spazio al proprio PRIVATE Label, una volta acquisita la fedeltà del consumatore, con i suoi selettori e classificatori di qualità, territorio per territorio.
Si tratta di un classico, tuttavia condizionato da una STRATEGIA dinamicamente attiva e CON CAPACITA' della formazione di un TREND di qualità, sostenuto da ottimi DRIVERS (qualità gastronomica percepibile e percepita, qualificata e testimoniata; trasparenza di origine e affidabilità della fedeltà del prodotto e del processo, qualità di aspettative di SALUTE e di PIACERE; altri drivers favorevoli, più legati ai territori d'origine, non dimentichiamo il valore legato alla simbologia e alla sacralità storica e di costume).
Non è poco, per cui rimango attento ma sempre ottimista di poter creare ALLEANZE vincenti o meglio CONVINCENTI. Ovviamente occorre dare il PESO a questa reazione che non è presumibile che possa durare una o solo poche stagioni, ma deve assicurare un'alleanza a medio lungo termine.
Mi fermo per dare spazio alle osservazioni. Anche le più passionali sono utilissime.

Non sono tappe inconsuete: il rapporto tra GDO e fornitori è sempre selettivo. Effetto di incroci di tradizione e di interesse

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
04 febbraio 2012 ore 14:23

Made in Italy

Spesso viene considerato il biglietto da visita dell'industria olearia. Il fiore all'occhiello. L'extra vergine in questione deve quindi essere di ottima qualità, ovvero superiore ai normali standard qualitativi utilizzati per gli scambi internazionali di olio extra vergine d'oliva.

Deve, cioè, essere inappuntabile tanto sotto il profilo chimico quanto sotto quello organolettico.

Una contestazione su questa fascia di prodotto avrebbe infatti ripercussioni negative in termini d'immagine per l'intera azienda. Una perdita di credibilità che genererebbe ricadute anche sugli altri prodotti in portafoglio

Le vorrei alcune cose su questo punto,sig. Grimelli.Che cosa vuol dire ottimi ma soprattutto chi lo dice che sono ottimi?Solo il fatto di essere Made in Italy?O lo dice lei perche' li ha assaggiati?
Non sappiamo i quantitativi di nulla all'interno di quegli oli,sappiamo che rientrano nei parametri dell'extravergine che sono larghissimi.Sappiamo che hanno preso un punteggio pari o superiore a 6,5 al panel ma quanto non si sà;tra 6,5 e 9 che è il punteggio massimo c'è un abisso in qualita'.Non mi addentro neanche sulla questione dell'italianita',ci sono dei controlli adibiti a questi,anche se la miglior cosa,perche' non ci siano dubbi ma soprattutto per non dare la possibilita'a cronisti d'assalto di crearne,renderei la metodica del DNA per il riconoscimento varietale che ha dato quell'olio, ufficiale.
Meglio dire degli oli decenti(a parte qualche eccezione di buoni),leggermente al di sopra della media degli extra,ma nulla di piu' e questo lo dico io che li assaggio spesso,visto che nulla è dato di sapere nell'etichetta,a parte l'Italianità.
Non esageriamo con i termini sig. Grimelli,se si dice ottimi bisogna dimostrarlo con qualcosa,non basta essere made in Italy.
Dimenticavo di dirle che per me ottimo è un olio che ha un punteggio del panel intorno a 8 e piu',ha polifenoli sopra a 250 mg/kg,ha perossidi sotto 12 e mi tengo largo,acidita' sotto a 0,5.Ci sono poi anche gli eccellenti,ma questi sono ancora un'altra cosa.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
04 febbraio 2012 ore 10:04

Gent. Sig. Lo Scalzo,
la ringrazio perchè mi permette di chiarire un punto illustrato nella premessa del primo articolo ma forse poco notato: tutti gli esempi forniti sono altamente rappresentativi della rispettiva fascia di riferimento ma è chiaro che vi possono essere delle differenze rispetto ai valori riportati.
Un'analisi economica di scenario, come questa, deve necessariamente basarsi su delle medie.
Gli stessi costi per l'industria indicati sono suscettibili di qualche variazione. E' chiaro infatti che vi sarà un potere negoziale diverso, rispetto ai fornitori, tra chi acquista decine di migliaia di tonnellate di olio e chi poche migliaia, tra chi acquista milioni di bottiglie e chi solo qualche centinaia di migliaia. Si tratta magari di pochi centesimi ma, come abbiamo avuto modo di riscontrare, in questo business anche pochi centesimi possono fare la differenza.
Quando entrano in gioco, poi, differenze nelle politiche commerciali e promozionali che interessano non solo l'industria ma anche la GDO, il quadro si complica ancor di più.
Faccio un esempio.
Il numero di referenze, ovvero di prodotti a scaffale, ha un'incidenza sui costi della GDO. Tanto più alte sono, tanto più queste spese (gestionali, amministrative, logistiche ecc) saranno elevate. E' però indubbio che più referenze significa maggiore scelta per il cliente. Un'insegna può tenere i suoi prezzi lievemente più elevati pur di garantire tale variegata offerta ai propri clienti.
Al contrario vi sono insegne della GDO che stanno attuando una politiche di forte riduzione del numero di referenze, proprio per contenere i costi e avere prezzi medi inferiori a scaffale. Il loro valore aggiunto, nel rapporto col cliente, sarà il prezzo.
I rapporti tra industria/commercio oleario e GDO risentono anche di tali differenti strategie commerciali e promozionali.
I contratti con la GDO sono molto flessibili, non solo rispetto alle singole voci di cui sono composti ma anche in rapporto alla durata che è spesso annuale, se non semestrale. La GDO tende infatti sempre più a rinegoziare di continuo le condizioni di fornitura, senza una diretta e automatica parametrazione ma anche in ragione di contingenze economiche. E' difficile, ormai, che un contratto siglato a inizio anno arrivi senza modifiche a dicembre. Extra sconti, contributi promozionali, contributi volantino, richieste per ulteriori offerte promozionali... In altre parole è un continuo braccio di ferro.
La GDO sa di avere il coltello dalla parte del manico. L'industria/commercio non può fare a meno della Grande Distribuzione, che rappresenta il suo principale canale di vendita.
In quale misura, invece, il mercato di nicchia ha bisogno della GDO?
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
04 febbraio 2012 ore 00:38

Grazie Grimelli per il riferimento messo a disposizione dei lettori TN, di cui mi considero parte interattiva. L'ipotesi ha gli attributi di apparire realistica in questo momento, che è agitato da una elevata volatilità di tempi e prezzi che forse non riesco ad apprezzare in pieno. Mi aspetto che tra grandi fornitori e grandi acquirenti si pratichino accordi contrattuali sia a breve che a medio termine, con obiettivi e premi, con variazioni automatiche in base a variazioni di costi parametrabili limitati entro variabili concordate.
La fascia acquisice l'importnaza che le è attribuita, quello di sostegno/guida di profitto per linea di prodotto.
Non ora, ma al prossimo round, la pregherei di chiarire, per quanto ne sappiamo liberamente, di dare un' indicazione ai lettori sulla statistica e variabilità di questi parametri di contrattazione e delle statistiche rilevabili ad una certa data di questi genere di contrattazioni tra fornitori e GDO.
Statistiche doganali locali erano accessibili dogana per dogana, oltre che su basi ISTAT - EUROSTAT se la regolamentazione contempla le definizioni di varietà di tipologia di prodotto, per una ricostruzione delle correnti di flusso, in e out.
Non ho notizia di quanto sia praticata questa metodologia di monitoraggio che in genere rappresenta il servizio più importante di informazione/conferma/controllo su movimenti e tendenze.

Se riuscisse a pubblicare uno schema altrettanto chiaro e semplificato della interpretazione del quadro statistico accessible e delle barriere all'accesso alle informazioni che le Camere di Commercio potrebbero trovarsi a superare avremmo contribuito a conferire a tutta la materia la trasparenza necessaria per lo sviluppo di strategie d'interesse per tutto il comparto.

Ovviamente mi sono espresso per grandi linee, offrendomi ai risolini di chi sa e conosce il mercato, ma non mi meraviglierei di recepire anche insulti per l'ingerenza,

Grazie ancora per la sua disponibilità