Economia 07/09/2023

L'inflazione fa rinunciare al Made in Italy a tavola

L'inflazione fa rinunciare al Made in Italy a tavola

La spesa diventa più frequente, l’attenzione al risparmio fa piazza pulita della fedeltà al canale di acquisto, e si scelgono sempre meno cibi legati alla tradizione mediterranea


La situazione economica complessiva di austerity per via della congiuntura geopolitica internazionale sta facendo cambiare le abitudini di acquisto alimentare agli italiani, secondo l'ultimo rapporto Coop.

Gli italiani però sono disposti a tutto pur di non rinunciare alla qualità di quello che mangiano, è anche vero che molti di loro sembrano in procinto di arrendersi alla guerra contro un’inflazione che ha rincarato di oltre il 21% il costo dei beni alimentari e che non promette di arrestarsi prima dei prossimi due anni (il 72% dei manager del settore ritiene che l’inflazione alimentare non tornerà sotto il 2% prima del 2025).

I carrelli degli italiani diventano leggerissimi. -3,0% la variazione delle vendite a prezzi costanti nei primi 7 mesi dell’anno e in previsione 2024 su 2023 il 60% dei manager intervistati si aspetta un risultato in ulteriore seppur modesto calo (-0,5%). 

Dopo la riduzione delle quantità acquistate, con l’arrivo dell’autunno – e l’ulteriore aumento dei prezzi – gli italiani sembrano pronti a cambiare nuovamente strategia grazie ad un quotidiano impegno per contenere gli sprechi, alla rinuncia ai prodotti non strettamente necessari e a quelli a maggiore contenuto di servizio. Così la spesa diventa più frequente, l’attenzione al risparmio fa piazza pulita della fedeltà al canale di acquisto, discount e Mdd sembrano ancore di salvezza; otto italiani su 10 indicano nel primo il modo per mitigare l’effetto dell’inflazione, altrettanti acquisteranno più marca del distributore a discapito della marca industriale.

La rinuncia al Made in Italy a tavola: bisogno o scelta?

In questo contesto, se è sempre più articolata l’identità alimentare della parte economicamente e culturalmente più attrezzata del Paese, nell’ultimo anno sono raddoppiati quanti – oramai 1 italiano su 5 soprattutto baby boomers e appartenenti alla lower class -dichiara di aver perso ogni riferimento identitario abbandonando anche i dettami della cultura tradizionale, delle tipicità e del territorio. Una deriva che potrà continuare nei prossimi mesi e metterà in discussione il concetto di alimentazione italiana e dieta mediterranea, a partire dal consumo di frutta e verdura (-15,2% il consumo negli ultimi due anni e per il 16% degli italiani si ridurrà ancora).

Ciò peraltro non significa che non si facciano strada, magari ancora in fasce minoritarie della popolazione, nuove tendenze a tavola. E a fronte del plant-based le cui vendite fanno registrare un +9% anno su anno, appare con evidenza la già avvenuta demonizzazione degli zuccheri (i prodotti sugar free battono tutti i free from) e i segnali in prospettiva parlano chiaro: 15% la percentuale che nei prossimi 12/18 mesi farà uso di prodotti senza o con poco zucchero. Il fitness poi arriva nel piatto e si conferma la predilezione per le proteine e per l’healthy (alimentazione sportiva, frutta secca, bevande salutistiche crescono), oltre alla volontà di contribuire con la propria dieta al miglioramento delle sorti del pianeta. Già oggi, 5,1 milioni di italiani dichiarano di alimentarsi a spreco zero, 2,8 si definiscono reducetariani e 1,4 sono i cosiddetti climatariani (ovvero coloro che usano prodotti a basso impatto C02). A farne le spese è soprattutto la carne, il 39% del campione dichiara di essere disposto a ridurne il consumo. D’altronde sulla tavola di un futuro nemmeno troppo lontano, della carne rimarrà solo il sapore: nella top 5 dei nuovi cibi che secondo gli italiani compariranno in tavola nei prossimi 10 anni figurano i prodotti a base vegetale con il sapore di carne (31%) e la carne sintetica prodotta in laboratorio (28%).

di C. S.