Editoriali 28/02/2014

La cucina italiana bistrattata dalle imitazioni


La cucina regionale italiana é tradizionale e si basa sull’uso dei prodotti locali.
Una condizione che trova difficoltà soprattutto all’estero, dando spazio alle imitazioni, con prodotti che richiamano un’inesistente immagine italiana, ma che italiani non sono, il cosiddetto italian sounding.
Sono prodotti alimentari generalmente di bassa qualità, confezionati con un nome o una bandiera italiana ma che nulla hanno d’italiano.
Una situazione da qualche tempo largamente nota e documentata, che comporta un notevole danno all’economia italiana e alla immagine stessa del nostro prodotto all’estero e che oggi, invece di diminuire, sembra vada aumentando anche per la crisi economica mondiale.
Un fenomeno che mette anche a rischio l’esistenza e l’immagine della cucina italiana all’estero, un aspetto non molto noto e che merita invece attenzione, partendo da una serie di puntualizzazioni e considerazioni.

Da qualche tempo, ad esempio, l’Argentina, paese nel quale vi é un’ampia presenza italiana, ha messo in atto una politica commerciale che potrebbe portare alla chiusura del mercato ai nostri prodotti tipici e tradizionali, e nel contempo incrementare le loro imitazioni.
Tutto questo avviene attraverso normative tecniche e procedure burocratiche, ma soprattutto con interventi indirizzati a sviluppare le produzioni locali.
La Secretaria de Comercio Interior argentina chiede soprattutto agli importatori di prodotti concorrenti alle produzioni locali (pasta, olio di oliva, salumi ecc.) un impegno a limitare tali importazioni, sollecitando anche la firma di una “nota d’impegno” a esportare prodotti per un ammontare equivalente a quello importato.
Su quest’ultima linea é facile immaginare come dopo i vini argentini, peraltro di sempre migliore qualità, vi sarà anche un olio d’oliva argentino, una pasta argentina e soprattutto una serie di formaggi e salumi argentini sempre più convenienti e di una qualità che andrà aumentando. Tutti questi prodotti di tipo italiano faranno concorrenza a quelli che l’Italia esporta in un mercato sempre più globalizzato. Il ben noto caso del formaggio grana moldavo che sta entrando in Italia, peraltro anche di buona qualità, dovrebbe insegnare.

Nella situazione brevemente delineata, quale é il ruolo di una cucina nazionale?
Prima di considerare la cucina italiana di tipo prevalentemente regionale e legata alle tradizioni é interessante rilevare che la cucina francese ha scelto la strada di usare gli alimenti scelti in base alla loro qualità, non esigendo una particolare origine.
In altri termini non importa che un olio di oliva extravergine sia francese, basta che sia di ottima qualità, e lo stesso serve per ogni altro alimento, ad esempio la carne di bovini Charolaise o Limousine può derivare anche da allevamenti argentini.
Quello che conta – dicono i francesi – é lo stile, la tecnica, il gusto francese che dà la specificità e la qualità alla loro cucina, senza dimenticare la capacità di scegliere il prodotto migliore per piatti che, in questo modo, possono essere diffusi e replicati in ogni parte del mondo, superando gli ostacoli di barriere commerciali.
Una cultura della qualità indipendente dal luogo di origine, bisogna sottolineare, non é completamente estranea alla cucina italiana.
Basta pensare alla pasticceria italiana che – soprattutto per il cioccolato, lo zucchero e tante altre materie prime alimentari – non fa riferimento a un’origine italiana. Ancora più evidente é il caso del caffè italiano, o all’italiana, che ha invaso il mondo e che é italiano come scelta della materia prima, miscelazione e trattamento, modo di produzione e di presentazione e via dicendo.

Se si esamina senza pregiudizi la cucina italiana é facile costatare che vi sono piatti nei quali l’origine della materia prima é importante, ma altri nei quali é essenziale la qualità delle materie prime, non la loro provenienza territoriale, soprattutto da quando si sono allentati i legami con la stagionalità.
A questo proposito é utile qualche esempio.
Quali sono i legami territoriali per le tagliatelle, le lasagne o i tortellini della cucina bolognese? La farina? Le uova? Le carni per il ragù o il ripieno? Certamente no, perché non sono codificati dalla tradizione e soprattutto si sono evoluti nel tempo. Solo il formaggio deve essere grana, preferibilmente ma non necessariamente Parmigiano, ma anche Padano, perché la città di Bologna, sia pur di poco, é fuori dal territorio di produzione del Parmigiano Reggiano.
Senza contare che le larghe maglie dei disciplinari delle DOP e ancor più delle IGP permettono di ottenere qualità molto diverse di prodotto!
In modo analogo bisogna considerare che queste ricette sono sempre più destagionalizzate e possono essere riprodotte alla perfezione anche fuori del territorio d’origine.
A ben vedere la tipicità dei piatti bolognesi di pasta presi come esempio dipende in parte dalla qualità delle materie prime (farina, uova ecc.) ma soprattutto dalla capacità di chi li prepara, a iniziare dalla sapienza e manualità delle sfogline che fanno la pasta. Le sfogline non devono essere necessariamente di nascita o di lunga consuetudine bolognese e possono perfettamente operare anche fuori Bologna!
In modo analogo é per molte altre ricette regionali italiane.

Il modello sempre più seguito dai francesi é anche attuato dalle scuole di cucina italiana, in Italia e all’estero, che insegnano come fare una cucina italiana scegliendo i prodotti più adatti e migliori offerti dal mercato, di origine italiana, ma non solo.

Provocatoriamente, per fare una buona cucina italiana, é meglio un olio DOP italiano di bassa se non cattiva qualità, o un buono se non ottimo olio extravergine di oliva euroasiatico o, nel futuro, californiano o argentino?
Sulla linea ora indicata s’inserisce anche il ruolo dell’industria che costruisce le macchine per le produzioni agroalimentari e di cui l’Italia mena giustamente vanto.
Sono le macchine per la lavorazione del pomodoro o i nuovi frantoi per la produzione dell’olio di oliva che, inventate in Italia ed esportate in tutto il mondo permettono la produzione all’estero di preparazioni alimentari simili a quelle italiane e a livelli qualitativi comparabili a quelli italiani.
Sotto l’aspetto qualitativo, non si differenzia un concentrato di pomodoro che la stessa macchina produce in Italia o in Cina, partendo dalle stesse varietà genetiche di vegetale.
É quello che avviene anche nella produzione di formaggio grana in paesi europei che usano le stesse attrezzature dei caseifici italiani.
La mondializzazione delle tecniche industriali agroalimentari e le esportazioni di macchinari italiani interesserà altri continenti.
Molto si é detto sul “fatto in Italia” (made in Italy), ma un’altra, nuova prospettiva, peraltro già iniziata, é quella del “fatto dall’Italia” (made by Italy) non solo in Italia, ma anche all’estero.
Un’industria che in Italia produce cibi di stile italiano (pasta, salumi ecc.) usando materie prime d’origine anche non italiana (semola di grano duro americano, carni suine olandesi ecc.) in paesi esteri costruisce stabilimenti nei quali produce, con le stesse attrezzature e soprattutto tecnologie usate in Italia, i medesimi prodotti che distribuisce con il proprio marchio, ovviamente italiano.
Questo accade già per la pasta, ma anche per i salumi e altri prodotti seguiranno.
É quello che succede per le automobili giapponesi assemblate o costruite in Europa, che hanno un marchio giapponese, una concezione e una qualità giapponese.
In questi casi non é facile sostenere che si tratta di falsificazione e tanto meno di “pirateria” industriale.
Il made by Italy in paesi stranieri si sta inoltre ampliando alla grande ristorazione organizzata (GRO) nella quale il nome e soprattutto lo stile e la qualità italiana sono importanti.
Per quanto riguarda l’America Settentrionale il “mangiare italiano”, e quindi la cucina italiana, non é più soltanto quella delle pizzerie o dei ristoranti di lusso, ma sta entrando nelle case degli americani con i piatti pronti di marchio italiano, fatti da industrie italiane, sulla base di ricette italiane interpretate e adattate alle condizioni locali.
Questo made by Italy ricalca in modo speculare quanto le GRO multinazionali stanno facendo in Italia, dove utilizzano prodotti DOP (Formaggio Parmigiano Reggiano DOP) e IGP (Speck Alto Adige IGP) per “italianizzare” ricette internazionali.
Fenomeno d'altra parte simile a quanto avviene in Francia sull’uso di carni tipiche di razze bovine locali negli hamburger di una nota catena di fast food.
Nel quadro della GRO sono da comprendere anche i convenience food, alimenti già pronti, componenti e pasti completi, per es. verdure/insalate pronte, minestre pronte, salse pronte, piatti dietetici congelati, pizza, pietanze da scaldare con microonde ecc.
Queste preparazioni soddisfano il bisogno dell’utilizzatore di accelerare i tempi di preparazione, sono pensati e apprezzati soprattutto da chi lavora, dai single, dalle persone con poca esperienza in cucina o poco tempo a disposizione e dalle persone anziane.
Anche per far fronte alla pressione del tempo per servire molti ospiti, la ristorazione fa capo alla merce precotta e o prelavorata che può essere elaborata velocemente.
L’evoluzione della tecnologia alimentare va verso l’offerta di prodotti con forti prestazioni di servizio (convenience food) e marcate caratteristiche di freschezza che vengono genericamente raggruppati sotto la denominazione di “alimenti minimamente trattati” (fresh cut o minimally processed) o “quarta gamma” secondo la terminologia di origine francese.
Il complesso quadro brevemente puntualizzato pone una serie d’interrogativi per quanto riguarda la cucina italiana all’estero, anzi agli “esteri” con le loro molteplici differenze.
Anche per motivi culturali, diversa é la situazione nordamericana da quella sudamericana, o dell’emergente oriente e via dicendo.
Altrettanto diversa é la condizione di piatti che sono necessariamente legati all’origine italiana se non regionale di uno o più ingredienti, da quelli che invece non hanno questa stretta colleganza, come gli esempi sopra indicati.
Delicato é anche l’uso nella cucina italiana dei prodotti made by Italy.

In una situazione complessa come quella ora tratteggiata, per l’estero é necessario fare una sia pur schematica distinzione tra almeno “tre cucine italiane”: bassa cucina, cucina industriale, alta cucina, ognuna con le sue differenze.
Distinzione che ricalca in parte quanto é già avvenuto in Italia.
Molto difficile é intervenire sulla bassa cucina che anche all’estero, come in Italia, si qualifica come “cucina italiana”, a iniziare dalle pizzerie o dai locali che a basso prezzo offrono la “pizza pepperoni” (con insaccato piccante) o la “pasta bolognese” dove spaghetti sono accompagnati da polpette di carne o meatball. É questa una cucina nella quale i prodotti italian sounding trovano uno spazio imposto dal differenziale del loro prezzo rispetto quello dei prodotti importati. Sotto un certo riguardo é forse più opportuno che gli americani pensino che la pizza che trovano nei fast food del loro paese sia una loro invenzione e un proprio patrimonio culturale, per poi scoprire la pizza italiana quando arrivano in Italia.
Altrettanto arduo é intervenire efficacemente sulla cucina industriale dei “piatti pronti all’italiana”, che per insormontabili condizioni di economia industriale impiega largamente prodotti generici o al massimo made by Italy. Una cucina che inoltre utilizza sistemi di produzione, conservazione, distribuzione e consumo che non possono essere riferiti alle tradizioni d’origine italiana, partendo dal loro uso tramite riscaldamento a microonde, imposto dalla ineludibile richiesta del cliente di un “cibo rapido” o convenience food anche in casa.
Importante per l’Italia e soprattutto per il made in Italy é e rimane l’alta cucina, analogamente a quanto é per l’alta moda, l’arredamento di qualità, l’oreficeria e l’orologeria esclusiva, le automobili di pregio, settori nei quali un alto prezzo non é un ostacolo, anzi assume un valore simbolico, elitario e di prestigio.
I prodotti di prestigio, come l’alta cucina, non possono e non devono contendere con le derrate, i manufatti, le prestazioni e le offerte di servizi di largo e larghissimo consumo, nel quale il prezzo contenuto ha un ruolo decisivo.
Nell’alta cucina tutto deve essere perfetto, o tendere alla perfezione, e deve soddisfare le esigenze di una ristretta cerchia sociale. É nell’alta cucina che trovano posto i migliori prodotti italiani, per i quali assume particolare importanza la marca od una elevata specificazione: una semplice DOP o IGP, ad esempio, é insufficiente, come dimostra la DOP Champagne che vede il prevalere della marca con tutte le sue diverse specificazioni di qualità, annata e inevitabilmente di prezzo.
Non bisogna inoltre dimenticare che i beni di alta qualità sono anche di produzione limitata. É vero che a New York oggi si può mangiare la “vera” pizza con la mozzarella di bufala che arriva fresca, per via aerea dall’Italia, ma per quanti pizze? Certamente non il milione di pizze che si consumano in quella città. In modo analogo per bisogna ricordare per la gran parte dei prodotti tipici italiani.

I ristoranti italiani all’estero con un’alta cucina e con i loro grandi cuochi sono gli unici che possono diffondere, sostenere e difendere i prodotti alimentari italiani d’elevata qualità e di élite.

di Giovanni Ballarini

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