Cultura 26/06/2004

IN RICORDO DI GIUSEPPE PONTIGGIA. GRANDE LETTERATO, MAESTRO IMPAREGGIABILE

Presentiamo uno sguardo d’insieme intorno all’opera dello scrittore. In occasione del primo anniversario della scomparsa, avvenuta il 27 giugno del 2003, sono tante le iniziative per perpetuarne la memoria. Sempre attento a individuare un forte legame con le esigenze della società, ne ha interpretato con grande lucidità le domande di senso più urgenti


C’è una sorta di parete divisoria tra il prima e il dopo Nati due volte. Una delimitazione comprensibile, che nasce dallo straordinario successo che ha riscosso sin da subito il romanzo più intenso e sofferto di Pontiggia.
Pubblicato nel 2000, ha sperimentato la ribalta della cronaca per via dei numerosi premi letterari assegnati, a partire dal prestigioso SuperCampiello; nonché per le molte edizioni che si sono susseguite e le altrettanto numerose traduzioni all’estero. Si è trattato dunque di un autentico successo, anche in termini di copie vendute, e non solo per il consenso pieno e senza riserve da parte della critica.
Una stupefacente rivelazione per quanti non si erano ancora accostati all’opera di Pontiggia.

Dattiloscritto di <i>Nati due volte</i>

Ed è proprio a partire da questo spartiacque, determinato dalla pubblicazione di Nati due volte, che prendo l’avvio nell’introdurre un autore che definirlo semplicemente “grande” non è sufficiente per apprezzarne in modo adeguato i meriti. L’aggettivo “grande” appare oggi riduttivo, in una società che non fa altro che amplificare, a fini commerciali, la presunta grandezza di un autore, salvo poi rendersi conto di quanto siano spesso spropositate alcune valutazioni di stampo giornalistico. Anche Giorgio Faletti è stato elevato a grande autore da parte di un critico letterario di un diffusissimo magazine. E’ necessario chiarire pertanto in cosa consista la grandezza di un autore. Sia ben chiaro, è ovvio che per il pubblico qualificato il dubbio non si pone minimamente. Occorre però spiegare il perché Pontiggia debba essere considerato un grande scrittore, facendo soprattutto percepire e comprendere tale messaggio – così incontestabile per quanto evidente – anche al lettore dell’ultimo periodo, che ha conosciuto Pontiggia solo con Nati due volte o comunque a partire da tale romanzo.


Al lettore non lettore – ovvero al lettore non abituale, che si è accostato al romanzo sulla disabilità, per via del tema trattato e non per una scelta di natura letteraria – occorre offrire la chiave di accesso e di lettura per orientarlo verso l’intera opera di Pontiggia, che in questo caso diventa una vera e propria scoperta di un grande autore, il quale, va detto, non è semplicemente un grande scrittore, ma molto di più. Giuseppe Pontiggia è infatti un pensatore. Ogni suo libro esprime pensiero, e non un pensiero qualsiasi, preso in prestito qua e là, ma un pensiero robusto e originale. Ecco dunque, per interderci, la sua grandezza. Consiste proprio in questa originalità, in una visione del mondo eletta a pensiero alto, capace di scendere nel profondo della verità senza fingimenti o atti consolatori.
E’ un pensiero robusto e originale, complesso, ma non tale da far desistere il lettore comune dall’avvicinarlo. La specificità di Pontiggia si delinea perciò in tutta la sua chiarezza e semplicità, in quanto estremamente comunicativa e alla portata di tutti. La semplicità d’altra parte è un valore e una qualità che non appartiene a chicchessia. E’ la conseguenza di un duro lavoro di paziente ricerca sulla parola; è un’attenzione al linguaggio e allo stile che non finisce mai, che non giunge a compimento con la pubblicazione. I libri di Pontiggia risentono di una attenzione costante e severa; anche a testo oramai pubblicato il lavoro di scrittura non ha termine. E’ il caso delle revisioni apportate a La morte in banca, L’arte della fuga, Il raggio d’ombra, La grande sera. Revisioni che non implicano una mancanza di compiutezza dei testi, ma denotano semmai una inarrestabile ricerca di perfezionamento, una tensione stilistica che non è da intendersi quale segno di incertezza da parte dell’autore, ma, al contrario, una concreto segno di grande sicurezza e padronanza, seppure espresso con spirito di umiltà. Ecco, tra l’altro, la spiazzante nota introduttiva riportata nella riedizione di un suo celebre romanzo, con il quale vinse l’ambìto Premio Strega:

Dopo la pubblicazione della Grande sera, nel 1989, mi sono reso conto che il testo presentava alcuni difetti non marginali. Parte della critica e dei lettori mi ha corroborato, per così dire, in questa inquietante persuasione. Dovessi riassumerli in modo schematico:

Ridondanze di colorito retorico (eccessi di antitesi, parallelismi, ossimori).
Aforisticità insistita.
Sentenziosità dei dialoghi.

Ho lavorato oltre un anno alla correzione di questi difetti. Dalla revisione capillare, parola per parola, il testo è uscito non vistosamente – però profondamente modificato. Mi sembra più rapido, sfumato, ambiguo, ironico. Il lavoro sui dettagli ha finito per cambiare l’insieme. Io spero sia migliorato.


L’opera di Pontiggia, dunque, è assai ampia e complessa, di godibile fruibilità; non è però da confinare entro i limiti, seppure significativi, di Nati due volte. Si compone di ben sei romanzi e cinque saggi, ma ci sono anche alcune traduzioni importanti, da non trascurare; testi di grande respiro, che esprimono una nitidezza e uno spessore tali da non esaurirsi nel solo romanzo Nati due volte, ma comprendono assai egregiamente l’intero corpus, senza preclusioni. Tutti i libri di Pontiggia sono dunque testi pregevoli, meritano una continua rilettura, in quanto permettono di offrire sempre nuovi elementi di giudizio e nuove emozioni. Occorre piuttosto seguire il lettore dell’ultimo periodo – quasi accompagnandolo per mano – e aiutarlo a percorrere un viaggio alla scoperta di un mondo letterario avvincente e intrigante, che non conosce eguali in un periodo storico in cui l’originalità in letteratura ha pochi esempi di così rara efficacia.
Daniela Marcheschi, curatrice del “meridiano” appena fresco di stampa per le edizioni Mondadori, non ha esitato a definire “capolavoro” il romanzo Nati due volte; e d’altra parte non si può negare un così evidente successo di pubblico e critica, circostanza assai rara che si verifichi in modo unanime; ma tale capolavoro è tuttavia soltanto la punta di un prezioso diamante, perché è l’intera opera che va considerata, senza alcuna incertezza, di alto pregio e fattura.



Ora, a fronte di tale doverosa premessa, entriamo nel merito della figura di Giuseppe Pontiggia. Nato a Como il 25 settembre 1934, risiede negli anni della fanciullezza a Erba, dove vive con i genitori e i fratelli Giampiero ed Elena. Conosce ben presto il dramma con la tragica e mai chiarita morte del padre Ugo, ammazzato una sera di novembre da due uomini armati, nel 1943. La madre, Angela Frigerio, si ritrova da sola e in difficoltà economiche, si trasferisce dapprima a Santa Margherita Ligure, quindi a Varese e dal 1948 a Milano. Qui Pontiggia conclude gli studi classici e viene assunto in banca, cerca di far fronte alle necessità della famiglia. L’esperienza lo segna a tal punto da far scaturire l’occasione del primo libro, La morte in banca, un romanzo breve in cui appunto confluiscono pressoché fedelmente le vicende personali. Contrariamente a quanto si ritiene, sarà l’unico lavoro a carattere autobiografico; già, perché, nonostante il tema della disabilità lo riguardi in prima persona in qualità di genitore, Nati due volte non è invece un romanzo autobiografico nel senso proprio del termine, anche se vi confluiscono umori e ansie, drammi interiori e sofferenze laceranti.


Giuseppe Pontiggia non rinuncia agli studi e si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica, da studente lavoratore. Si alza all’alba per studiare, alle cinque , talvolta alle quattro. Studia sul tram. Studia ne ritagli di tempo durante le pause dal lavoro. Grandi sacrifici, non può certo lasciarsi “morire in banca”. Si laurea nel 1959 con Mario Apollonio, con una tesi sulla tecnica narrativa di Italo Svevo. Per il romanzo breve dell’esordio, Pontiggia riceve il decisivo sprone da Elio Vittorini; la prima stesura del testo risale al 1952-1953. Viene pubblicato nel 1959, ma nel frattempo vive un altro terribile dramma familiare, con la morte nel 1955 della sorella Elena. Un’incantevole bellezza di diciannove anni che però decide di rinunciare alla vita. Giuseppe e il fratello Giampiero – oggi poeta tra i più rappresentativi – nascondono alla madre la lettera di commiato. E’ una sofferenza atroce. Nel “meridiano” che raccoglie l’opera completa, la Marcheschi riporta una poesia che Pontiggia – il “Peppo”, per chi ha avuto la fortuna di frequentarlo ed entrare in rapporti di amicizia e profonda cordialità – scrive per l’amata sorella una poesia. Inizia con questi versi:

Chi ti dirà la piazza senza attesa
dei tuoi passi leggeri, l’immutata
piazza che ci accoglieva, e la deserta
fuga di prospettive desolate?


Sono versi intensamente lirici, dolenti. Inediti. Compaiono tra le carte private di Pontiggia. Nel testo compare la parola “fuga”. Il tema della fuga ricorre spesso nei suoi libri. Il protagonista della Morte in banca, il giovane Carabba, si propone di fuggire da quel luogo di angosciante e spersonalizzante ipocrisia ch’è l’istituto di credito in cui lavora per necessità, le aspirazioni lo portano però altrove. La fuga dalla quotidianità frustrante e ripetitiva apre a nuove prospettive e costituisce per il giovane protagonista un’ottima prova di maturazione.


Già a partire dall’esordio narrativo avvenuto nell’ambito dei “Quaderni del Verri”, frequenta gli ambienti neoavanguardistici. Condivide i programmi della storica rivista letteraria diretta da Luciano Anceschi. Entra a far parte di quel mondo sin dall’anno di fondazione, nel 1956, in qualità di redattore. Nel 1961 prevalgono tuttavia gli aspetti che lo allontanano, rispetto a quelli che invece lo attraggono. Non condivide più i modi di concepire il “farsi” della letteratura, abbandona la redazione, ma non smette di collaborare.


Nel 1961 inizia la stesura del secondo libro, L’arte della fuga, che pubblicherà nel 1968 da Adelphi. Un lungo lavoro di gestazione. Si troveranno tutti i temi dei lavori successivi. Si tratta di un libro sperimentale, arduo perfino per i lettori più robusti. Non viene infatti compreso, viene anzi ignorato da pubblico e critica. I temi portanti dell’Arte della fuga saranno sviluppati in seguito in maniera più fruibile. E’ un testo oggettivamente difficile, impervio, ma attrae per la molteplicità dei livelli di lettura. Colpisce per il linguaggio intensamente lirico, la ricchezza di temi e situazioni. Suddiviso per “sequenze”, quasi fossero, ciascuna, tanti microromanzi, frammenti autonomi di storie, Pontiggia riprenderà nei libri successivi buona parte del materiale narrativo posto qui in evidenza.



Nel periodo di tempo in cui lavora a L’Arte della fuga Pontiggia sposa il 9 luglio 1963 Lucia Magnocavallo, la cui frequentazione risale al 1957; e collabora con la casa editrice Adelphi, soprattutto a partire dal 1965. Qui contribuirà a scelte editoriali importanti, come quella di portare all’attenzione generale Guido Morselli.
Nel 1969 nasce Andrea, tetraparesi spastica distonica il verdetto della disabilità.
Ecco quanto dichiara nel corso di un’intervista nel 2000; è un brano che la Marcheschi riprende all’interno del “meridiano”:

Quando la disabilità è dovuta a incuria, incapacità, cinismo, i genitori non sanno rassegnarsi, proprio perché tanto dolore è provocato da ragioni futili. Il senso di impotenza e ribellione, di fronte al destino, genera un’angoscia spaventosa.

Il lavoro editoriale prosegue intanto intenso e inarrestabile, ma Pontiggia sa essere padre attento e sensibile. Affronta i problemi dell’handicap accettando la realtà senza modificarla in funzione delle proprie paure o aspettative. A partire dal 1971 inizia a collaborare con il mondadoriano “Almanacco dello Specchio”, ne firma gli editoriali insieme con Marco Forti. E intanto la sua biblioteca si amplia sempre più; da buon bibliofilo, e lettore, cerca sempre nuovi libri. “La costruzione di una biblioteca – dice – è la distruzione di un reddito”. Per l’amore dei libri sostiene sforzi economici notevoli, ma oggi la sua biblioteca comprende oltre quaranta mila volumi.


Nel novembre del 1970 inizia la stesura del romanzo Il giocatore invisibile. Pubblicato nel 1978, ottenne un largo consenso di critica e pubblico; e si tratta senza dubbio di uno dei libri stilisticamente più riusciti e avvincenti, per la sapiente e brillante articolazione delle vicende narrate. Fa ricorso a un linguaggio aperto a più livelli di scrittura, frutto di un accurato lavoro che ha visto Pontiggia impegnato nella stesura in un arco di tempo piuttosto esteso, che termina nel 1977. Un lavoro meticoloso, tanto che Anceschi, in una lettera alla Marcheschi del 1983, scriverà di lui che:

…non è un uomo, e scrittore, che possa pensare di scrivere un libro all’anno come certi produttori di manifatture che son dimenticate l’anno dopo. E’ duro, tenace con se stesso, di una cultura assai poco frequentata, e di misteriose esplorazioni di libri.

Così si legge nel risvolto di copertina del Giocatore invisibile: “Dalle pagine di una rivista di filologia classica un lettore anonimo attacca un professore all’apice della sua carriera. Il motivo occasionale: un’etimologia inesatta. Le ragioni vere: passioni clandestine, amori inconfessati, rivalità, gelosie.. Nella ricerca del nemico inafferabile, crolla il castello di certezze culturali ed esistenziali del professore, sfidato, come gli altri personaggi, in una partita impari con il ‘giocatore invisibile’ dei loro destini”.
Ciò che emerge dal libro sono i controversi sentimenti umani, le paure, le debolezze, le perfidie, presentate con implacabile verità ma con toni misurati nel loro destino tragico.


Inizia intanto la collaborazione con il “Corriere della sera” e il settimanale “Europeo”. Nella stesura degli articoli affronta non solo temi letterari, ma indaga con grande lucidità i fatti di cronaca e costume. Tale approccio lo ispirerà peraltro nella scelta della trama del successivo romanzo, Il raggio d’ombra, liberamente tratto da una storia vera accaduta nel 1927. Si tratta dell’amara vicenda di un evaso politico che chiede rifugio presso alcuni compagni di clandestinità, che farà poi arrestare rivelandosi una spia. Anche qui, come per gli altri romanzi, il tema della simulazione ritorna evidente. Pubblicato nel 1983, il romanzo non convince del tutto l’autore, infatti a distanza di cinque anni dalla prima edizione effettua dei ritocchi stlistici e formali, ma soprattutto integra e arricchisce il profilo di alcuni personaggi, tanto da conferire all’opera una prospettiva più ampia e articolata.
Un romanzo complesso nelle sue dinamiche e negli intrecci, in cui affiora l’insolubilità dell’enigma che lo muove, l’impossibilità di giungere a una risposta ben precisa.


Nel 1984 esce per Adelphi il volume Il giardino delle Esperidi, in cui raccoglie i saggi apparsi su “Verri”, “Corriere della sera”, “alfabeta”, “Linea d’Ombra” e su altre riviste. Il libro viene accolto con successo dalla critica. Non va dimenticato che l’impegno letterario di Pontiggia si è espresso nella duplice veste di narratore e saggista, ma si tratta di libri senza una linea di demarcazione netta: alcuni testi narrativi sono da ritenersi tali in quanto rientrano nel convenzionale appellativo di “romanzo”, ma anche i suoi saggi manifestano l’incedere simile a un’opera di narrativa. Ciò va precisato perché è bene comprendere, e riconoscere, l’elemento di novità che lo scrittore Giuseppe Pontiggia ha introdotto con la sua opera. In un’epoca in cui a varie riprese si è parlato di “morte del romanzo”, Pontiggia ha saputo procedere oltre le convenzioni, sia quando ha scritto libri di narrativa nel senso proprio del termine, sia quando si è accostato al genere saggistico in quanto tale. Non sono osservazioni di scarso rilievo, queste, perché implicano un impegno ben preciso, e perciò voluto, nell’individuare nuovi canali espressivi, attraverso uno studio accurato e proficuo di almeno cinquant’anni di sperimentazione sul linguaggio. L’adesione iniziale alla redazione del “Verri” – e dunque la frequentazione della neoavanguardia – ha lasciato in lui alcuni segni importanti; poi nel tempo non ha più condiviso le scelte di alcun suoi compagni di viaggio, ma d’altra parte gli esiti felicissimi della sua scrittura dimostrano il conseguimento degli obiettivi che si era proposto, ovvero di giungere a una concezione nuova del linguaggio, fuori dagli schemi precedenti, più aderente alle esigenze della società, ma senza essere accondiscendente. In un’intervista che mi ha rilasciato nel 1995 dichiarò in maniera perentoria che:

Quel che non bisogna chiedere a una scrittura letteraria è un messaggio esplicito, evidente, facilmente riconoscibile; la scrittura creativa infatti ha per sua natura un carattere polimorfo, polisenso, ambiguo, complesso.
Sono convinto che il messaggio fondamentale debba essere l’apprendimento della realtà, l’arricchimento della coscienza, una maggiore lucidità di sguardo. Queste esperienze, a mio avviso, hanno un valore incommensurabile per l’uomo; sono convinto che la letteratura abbia una funzione straordinariamente positiva e importante, perché consente di fare esperienze, altrimenti escluse, di conoscenze, di interiorità, e anche di coraggio, di eticità.


Ebbene, non a caso si definisce “scrittura etica” quella di Pontiggia. A partire dal 1985 inizia a tenere corsi di scrittura creativa al Teatro Verdi di Milano. E’ l’occasione per formare nuove generazioni di scrittori o comunque di validi lettori. I corsi li tiene anche all’estero, in Francia e Svizzera.


Nel 1989 è la volta del romanzo La grande sera, in cui il tema della fuga è anche qui elemento caratterizzante. In un pomeriggio di giugno come tanti, un professionista scompare volontariamente senza lasciare tracce di sé, abbandonando così nell’angoscia i propri cari. Si costruisce una storia carica di attese e di tormenti, una utile occasione per analizzare in modo implacabile una società che si affida a falsi valori. Alcuni dei personaggi negativi del romanzo sono privi di impulsi vitali, ma ad essi si affiancano altre figure, in grado di affermare la propria identità in maniera dignitosa e convincente. L’uomo in fuga lascia però un segno al nipote, del denaro perché possa realizzare i propri sogni e soprattutto la possibilità concreta nel rendere possibile il distacco in piena autonomia del ragazzo dalla opprimente famiglia in cui vive. Nonostante le apparenze, si tratta di un romanzo “sperimentale”, anche se – come lui stesso ha sostenuto in un’intervista rilasciata a Grazia Cherchi – “vi è un punto d’incontro tra chiarezza ed enigmaticità, semplicità e complessità, linguaggio diretto e linguaggio allusivo”. La critica si divide; chi lo accoglie con disorientamento, da Pampaloni a Giuliani, e chi invece con benevolenza, da Moravia a Canali. Con questo romanzo vince il premio Strega.


Nel 1992 pubblica Le sabbie immobili, un libro arioso, divertente e ricco di spunti satirici sulla società italiana, compresa quella letteraria. Ironizza su molti luoghi comuni e rende piacevoli alcune analisi impietose dei comportamenti umani. Sono saggi brevi, quelli di Pontiggia; infatti già a partire da quelli del Giardino delle Esperidi, sono scritti in forma succinta, con un periodare concentrato e denso, tale da assumere in molti casi la forma letteraria a lui congeniale, l’aforisma.
Nel caso specifico de Le sabbie immobili è la società e la politica italiana ad essere al centro della satira. Il libro si aggiudica il Premio Satira politica Forte dei Marmi proprio per la “veste inedita di fustigatore dei costumi attraverso il linguaggio”.


Nel 1993 pubblica un libro di straordinaria bellezza, si tratta di Vite di uomini non illustri, diciotto microstorie, quasi fossero altrettanti romanzi in miniatura. Ottiene un consenso unanime di critica e pubblico, sorprende per l’elemento di novità che apporta. Il genere di vite di uomini illustri è antichissimo, ma Pontiggia lo rovescia e si concentra su diciotto ritratti di gente comune. Ne mantiene tuttavia lo schema classico di riferimento, ovvero: data di nascita, eventi principali della vita, opere significative, dettagli della vita e data di morte.


Nel 1996 esce la raccolta di saggi L’isola volante. Vi confluiscono saggi che ha scritto nel corso di un decennio e che rielabora per adeguarli alla struttura unitaria del libro. Tra i temi trattati, oltre alla consueta attenzione riservata ai classici, vi sono le riflessioni di ordine morale, sulla violenza esercitata ai danni degli indifesi per esempio. Nel dicembre dello stesso anno inizia la collaborazione all’inserto “Domenica” del “Sole 24 Ore”; poi a partire dal febbraio 1997 inizia la rubrica mensile intitolata “Album”, una forma di diario mensile in cui si sofferma su questioni che divagano dalle note critiche letterarie a ragionamenti intorno a temi di stretta attualità o a vicende storiche per il piacere e la necessità di rievocarne la memoria per non ripetere gli errori commessi dalle generazioni precedenti.
Nel 1998 pubblica un altro libro di saggi dal titolo I contemporanei del futuro, un originale ed erudito “viaggio nei classici” che ha però la grazia di essere godibilissimo e di piacevole lettura; anche se in quest’ultimo libro, contrariamente agli altri, abbandona – ma solo nella prima parte – il caratteristico stile di scrittura per sequenza brevi.


Pontiggia non ha mai cercato il mercato editoriale, sempre attento a individuare un forte legame con le esigenze della società, interpretandone le domande di senso, non ne ha mai sposato i meccanismi perversi che puntano in via esclusiva al best-sellers. E’ questo l’elemento di forza che ne caratterizza l’opera, destinata a restare sempre attuale nel tempo. Pontiggia ha avuto il suo vasto pubblico, seppure “strutturalmente” elitario; con Nati due volte, pubblicato nel 2000, anche in ragione del tema trattato, ha guadagnato ampi consensi di pubblico, un pubblico più vasto, che comprende anche i cosiddetti non-lettori, coloro che si sono avvicinati a uno scrittore per caso, scoprendone però, attraverso il tema della disabilità che li ha attratti, la straordinarietà di una scrittura altamente etica, capace di infondere un sapere ricco di contenuti, oltre a un valore letterario che si inserisce di diritto nel filone della grande letteratura lombarda del Manzoni e del Gadda.
Il libro ha riscosso un successo senza precedenti. Vi confluisce la storia personale dello scrittore, ma, nonostante ciò, non è affatto autobiografico. E’ un libro molto sofferto, perché la propria esperienza di genitore di un figlio disabile è messa qui allo scoperto con tutti i drammatici risvolti che ne conseguono. Scandito in capitoli brevi, colpisce per l’essenzialità delle frasi e l’incisività dei messaggi. La dedica è altrettanto significativa:

Ai disabili che lottano
non per diventare normali
ma se stessi.


Magistrale il capitolo conclusivo, come d’altra parte ogni altro capitolo. Il fatto che in diversi critici abbiano individuato in Nati due volte un capolavoro non è affatto casuale. Alcuni capitoli, come ha ammesso lo stesso autore, sono stati alquanto dolorosi da scrivere. E’ un libro intenso, profondo, capace di affrontare il problema della disabilità con grande efficacia e senza mai cadere nell’ovvio. C’è tutto, un groviglio di sentimenti che si incrociano, c’è paura, rabbia, delusione, fastidio, dolore, angoscia, sensi di colpa e di impotenza, ma soprattutto vi è una pacifica seppure sofferta accettazione della realtà. Il padre, soccorso dal figlio, alla fine apprende la capacità di superare il limite imposto dalla disabilità, supera nonostante sia molto difficile, lo stridente contrasto con quanto la società impone secondo la logica di elevare a modello il culto di un corpo sano e prestante. In tutto ciò si affaccia il cinismo, l’incompetenza, la crudeltà di una burocrazia senza cuore, la viltà o l’incapacità dei medici.


In ultimo c’è da segnalare la raccolta di saggi riunita sotto il titolo di Prima persona, pubblicato nel 2002, altro testo in cui il saggio si fa narrazione. Alcuni dei testi che hanno costituito la rubrica “album”, pubblicata a cadenza mensile sulle pagine del supplemento domenicale del “Sole 24 Ore”, sono state riscritte e rielaborate attraverso tagli, integrazioni e ampliamenti. Compaiono vari registri di espressione, come al solito; tra questi colpisce lo spazio riservato alla denuncia verso certe disfunzioni imperdonabili da parte dello Stato, dalla tutela dei pedofili al problema dei falsi invalidi.


Di Pontiggia è oggi disponibile sotto il titolo Opere quasi l’intera produzione, nella collezione “i Meridiani”. In settembre sarà pubblicato invece un volume che riunisce per la prima volta alcuni testi sparsi o introvabili, sotto il titolo di Residence delle ombre cinesi, dei racconti brevi e un saggio sul linguaggio autoritario. Infine, non vanno dimenticati alcuni suoi lavori dedicati ai ragazzi. Nel 1979 ha pubblicato la favola Cichita la scimmia parlante; mentre è dell’80 il racconto per bambini dal titolo Il nascondiglio.


di Luigi Caricato