Cultura 07/05/2005

“FRUTTO DELLA TERRA E DEL LAVORO DELL’UOMO”, OVVERO IL MONDO RURALE VISTO DALLA CHIESA

Presentiamo il testo integrale di un documento atteso da oltre trent'anni. Secondo i vescovi italiani è necessario coltivare uno stile nuovo, fatto di intelligente valorizzazione e di personalizzazione dei rapporti. Resta in primo piano la questione ecologica. Nessun giudizio, comunque. Molti i consigli


Il documento, dal titolo “Frutto della terra e del lavoro dell’uomo”, è stato elaborato dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei.
In questo testo, preceduto da una accurata presentazione di Gian Carlo Maria Bregantini, presidente della Commissione, si prendono in esame sia le evoluzioni del mondo rurale in una società che cambia, sia le posizioni della Chiesa attraverso le indicazioni di una pastorale che tenga in considerazione questo settore tanto trascurato e in molti casi anche vilipeso dell’economia.
La lettura del documento la consigliamo vivamente a credenti e non, perché ciò che tanto manca al mondo rurale è proprio uno spazio di riflessione e un’autonomia di pensiero.
“Il mondo rurale vive di stupore e di gratitudine, ma anche di sudore e di fatica”, avverte senza alcuna incertezza il vescovo di Locri-Gerace, monsignor Brigantini.
Buona lettura, sperando soprattutto che il testo susciti qualche reazione da parte vostra. (L. C.)


PRESENTAZIONE

”Coroni l’anno con i tuoi benefici,
al tuo passaggio stilla l’abbondanza
Stillano i pascoli del deserto
e le colline si cingono di esultanza
I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di grano.
Tutto canta e grida di gioia”.
(Sal 65,12-14)


Il mondo rurale vive di stupore e di gratitudine, ma anche di sudore e di fatica; e, oggi, di rapido cambiamento, che lo sta radicalmente trasformando, pur se non in modo omogeneo, con aree che mutano rapidamente volto, sotto le spinte delle nuove tecnologie e della crescente globalizzazione, e zone che resistono al nuovo, legate a forme di produzione e di vita più tradizionali ma anche a valori antichi e saldi. A oltre trent’anni dalla nota pastorale La Chiesa e il mondo rurale italiano, si è ritenuto opportuno riprendere e aggiornare quelle indicazioni pastorali, ponendosi anche in continuità con i messaggi pubblicati in occasione dell’annuale Giornata del Ringraziamento.

L’orizzonte di comprensione in cui ci poniamo è eucaristico: vogliamo poter dire il nostro grazie, con il pane e il vino nelle nostre mani levate al cielo, perché tutta la vita sia un grazie. Il documento parte da questa prospettiva eucaristica che santifica ogni lavoro, ma soprattutto il lavoro agricolo, da cui trae materia la nostra vita sacramentale: acqua, olio, pane, vino...
Di qui anche la scelta del titolo: Frutto della terra e del lavoro dell’uomo!

La ripartizione in tre capitoli permette una lettura globale dei cambiamenti in atto in questo mondo, per giungere così a una nuova evangelizzazione. I versetti biblici che li aprono, sono indicativi dei loro contenuti. “Il Signore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7). Questo richiamo alla creazione vuole esprimere il fondamentale rapporto antropologico che lega l’uomo alla terra e viceversa. Un rapporto che le nuove realtà sociali, su cui il capitolo si diffonde anche con appropriate considerazioni, hanno rafforzato. Mai come oggi ci sentiamo di dipendere dall’ambiente in cui viviamo. E il cibo, dono del mondo rurale, ne è il segno più essenziale. Il capitolo va letto come un tentativo di discernimento e va adattato alle situazioni locali. “La tua terra avrà uno sposo!” (Is 62,4). È un grido di fede, bellissimo, che qui viene utilizzato per esprimere il rapporto che oggi lega sempre più il mondo rurale con l’attenzione all’ambiente.
La questione ecologica è di grande valenza e interesse, trasversale, decisiva. Ogni agricoltore, fedele alla sua terra, specie nelle zone collinari e di montagna, si sente custode del creato per la sua difesa e valorizzazione. “Uscì il seminatore a seminare…” (Mt 13,3).

Il terzo capitolo è quello più direttamente pastorale. È dettato da grande amore, ma anche da grande consapevolezza. Oggi, il mondo rurale è profondamente cambiato anche di fronte alla fede. È necessario perciò uno stile nuovo, fatto di intelligente valorizzazione e di personalizzazione dei rapporti. Soprattutto le parrocchie rurali devono essere coinvolte, con strumenti che le rendano realmente missionarie anche tra le case della gente dei campi, dove lo stupore si mescola al disincanto e l’anelito di fede non sempre si concretizza in scelte conseguenti. Nessun giudizio. Molti consigli, molta passione, tanto cuore. E soprattutto la consapevolezza che questa parte rende il documento aperto, cioè bisognoso di incarnazione locale, con l’apporto di tutti. Non mancano nel documento le lacrime del mondo rurale: lo spopolamento, la presenza non sempre valorizzata degli immigrati, le tensioni per un’Europa sentita ancora lontana, una globalizzazione che penalizza. Tutto però viene assunto con atteggiamento pastorale, perché l’annuncio del Vangelo risulti incisivo e bello.

A chi è rivolto il documento? Prima di tutto alle Chiese che sono in Italia, perché sempre più si avvicinino a questo mondo e con esso ai piccoli e ai poveri, nello stile del Vangelo, in un’ottica di innovazione solidale, per narrare la fede con entusiasmo. Poi ai sacerdoti e parroci, un tempo per lo più provenienti da questo mondo per nascita; oggi, invece, molti dei sacerdoti più giovani non ne conoscono problemi e ricchezze.
Il testo vuole aiutare la conoscenza del mondo rurale e l’inserimento in esso, che comporta uno stile di vita autenticamente sacerdotale, fatto di sobrietà, povertà reale, vicinanza amicale, visita appassionata. E poi, il documento è un appello al mondo sociale e politico, perché non valuti gli interventi solo in chiave quantitativa, ma qualitativa: chi custodisce il territorio va accompagnato con intelligenti misure politiche ed economiche, che favoriscano la permanenza soprattutto nelle zone collinari e montane.

Dio benedica il nostro cammino e faccia fiorire di frutti di esultanza queste pagine. Le affidiamo alla intercessione di Maria, Terra del Cielo. Le sue immagini, accanto alle innumerevoli Croci, appartengono al paesaggio delle nostre campagne e delle nostre montagne e, insieme al volto sofferente del suo Figlio, accompagnano con sguardo di amore la fatica della gente dei campi e della montagna. Sia lei, in compagnia del suo sposo Giuseppe, a insegnarci l’arte della gratitudine di fronte ai doni di Colui che ogni giorno crea e ricrea la vita degli uomini.

Roma, 19 marzo 2005, festa di San Giuseppe
GianCarlo Maria Bregantini
Vescovo di Locri-Gerace, presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro la giustizia e la pace


INTRODUZIONE

Vicini alla gente delle campagne e delle montagne
1. La storia della Chiesa in Italia è profondamente segnata dalla diffusa presenza delle comunità cristiane nel mondo rurale. Ne hanno condiviso gioie e sofferenze, ponendosi vicino al cuore e alla vita del popolo delle campagne e delle montagne. Sono state un riferimento cercato e amato, simboleggiato dai campanili che svettano su pianure, colline e borghi montani e ne segnano il paesaggio. Questa vicinanza va oggi rinnovata per aiutare il mondo rurale a orientarsi in un contesto di cambiamenti epocali che rischiano di travolgerne identità e valori. È un’attenzione che va ribadita, e se possibile accresciuta, per offrire adeguate risposte pastorali alle sfide incombenti. L’intento di questo documento è di seguire i passi delle trasformazioni in atto nel mondo rurale, interpretarne la natura, accoglierne le opportunità, evidenziarne insidie e pericoli, al fine di elaborare coerenti indicazioni per una riqualificata presenza di Chiesa e per una nuova evangelizzazione. Sono indicazioni che vogliamo offrire in particolare alle parrocchie rurali, in linea con quanto indicato nella recente nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia.

Un nuovo documento dopo trent’anni
2. Non è la prima volta che i Vescovi italiani dedicano un documento al mondo rurale. La Commissione Episcopale per i problemi sociali, l’11 novembre 1973, pubblicò un testo dal titolo La Chiesa e il mondo rurale italiano. Fu una riflessione sistematica e qualificata, adeguata e incisiva, capace di leggere la situazione di quegli anni, per offrire ad essa risposte pastorali intelligenti e lungimiranti. Oggi il mondo agricolo è profondamente cambiato, pur se in modo diverso a seconda delle aree geografiche e della natura dei luoghi e dei terreni, perdendo in non pochi posti i tratti familiari e personalizzati tradizionali, per assumere un volto che lo assimila sempre più alle forme industrializzate di produzione dei beni. Dopo oltre tre decenni un intervento appare doveroso.

Sulla scia degli orientamenti pastorali del decennio
3. È pur vero che, ogni anno, la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace non ha mancato di offrire una riflessione puntuale in occasione della Giornata del Ringraziamento, che si celebra nel mese di novembre. Preziosi sono stati in queste occasioni anche i contributi di analisi e di proposte offerti dall’associazionismo cattolico e di ispirazione cristiana. In questi interventi si ha, di fatto, una progressiva e complessiva risposta alle sfide che di volta in volta si sono presentate. È apparso tuttavia opportuno, a questo punto del cammino, tracciare una riflessione più articolata, sulla spinta non solo delle richieste provenienti dallo stesso ambiente rurale, ma anche nella convinzione di dover declinare, pure per questo ambito, quanto gli orientamenti pastorali del decennio chiedono alle comunità cristiane per Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, un mondo che cambia anche per la gente della terra.

Mutamenti in atto, prospettiva ecologica, impegno di evangelizzazione
4. Il presente documento è strutturato in tre parti. La prima tratta del rapporto tra la terra e l’uomo e ha l’intento di offrire un’interpretazione dei mutamenti in atto nel mondo agricolo, letti in chiave strettamente antropologica allo scopo di raccogliere le sfide più preziose. La seconda parte è una riflessione sul rapporto tra mondo rurale ed ecologia, prospettiva che oggi costituisce un modo nuovo e significativo di guardare al mondo agricolo, capace di incrociare tematiche attualissime e scottanti. La terza parte, infine, doverosamente la più intensa, tratta della nuova evangelizzazione da offrire al mondo rurale in profonda trasformazione, c on particolare riguardo al ruolo in essa della parrocchia. È la parte che più ci interessa, ma insieme quella che ha più bisogno di essere contestualizzata in ogni singola realtà diocesana, con l’apporto delle comunità parrocchiali e con il sostegno delle aggregazioni ecclesiali che, direttamente o indirettamente, vivono e operano nell’ambito del mondo rurale.

Capitolo primo
LA TERRA E L’UOMO

"Il Signore Dio plasmò l’uomo
con polvere del suolo
e soffiò nelle sue narici un alito di vita
e l’uomo divenne un essere vivente"
(Gen 2,7)


Plasmati dalla terra, viventi per il soffio di Dio
5. “Il Signore creò l’uomo dalla terra” (Sir 17,1): un vincolo inscindibile lega il genere umano all’ambiente della sua vita e del suo lavoro. Nella sua fragilità l’uomo (adam) ha origine dalla terra (adamah), per essere poi animato dal soffio divino. A questa stessa terra lo incatena anche la sua connessione con il peccato e, dopo averla irrorata del suo sudore, ad essa tornerà: “Tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!” (Gen 3,19). La terra non è solo una casa per l’uomo. È la sua origine e in qualche modo il suo destino: un destino di morte che la risurrezione di Cristo riscatta, aprendolo alla prospettiva eterna di “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21,1). Prima della creazione dell’uomo la terra è desolazione: “Nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo” (Gen 2,5). Dio plasma l’uomo e pianta un giardino, perché lo abiti, lo coltivi, lo custodisca. La terra, appena uscita dalle mani di Dio e affidata all’uomo, è un ambiente ben ordinato, ricco di piante che producono frutti e abitato da animali a cui l’uomo impone il nome, come segno della sua signoria sul mondo in rappresentanza del Creatore. Ma la solitudine dell’uomo è superata solo nel momento in cui Dio gli pone accanto qualcuno con cui condividere i beni che gli sono affidati, “un aiuto che gli fosse simile” (Gen 2,20). Plasmando la donna e conducendola all’uomo, Dio crea la famiglia umana, a cui in solido è affidato il giardino. Si completa così il disegno di Dio sulla creazione e sull’umanità.

Responsabili del dono di Dio
6. Il dono della creazione è affidato da Dio a tutti gli uomini e nessuno può esserne escluso. Gli uomini sono chiamati alla solidarietà e alla condivisione fin dall’inizio, sostenendosi reciprocamente nel lavoro e facendo parte gli uni gli altri dei frutti della terra. Sebbene il peccato abbia oscurato, nel segno del dolore e del sudore, il rapporto dell’uomo con la terra, questi ne rimane il responsabile, perché essa possa continuare a produrre frutti da cui trarre un pane che sia per tutti, il "nostro pane quotidiano" che invochiamo dal Padre di tutti e che, come ci ricorda la liturgia, è “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” (Messale Romano, Preghiera all’offertorio). Questa verità sull’uomo, sulla terra e sul lavoro resta il fondamento della comprensione di essi e del loro rapporto, nel mutare dei tempi. Le trasformazioni positive che la storia vi introduce sono frutto della ricerca umana; lo sono pure le sue contraddizioni, anche peccaminose. In ambedue la luce della fede sa cogliere il mistero che progressivamente si svela e chiede che si trovino sempre nuove modalità per esprimere il riconoscimento del dono ricevuto e la responsabilità verso di esso.

Sfide e opportunità nei mutamenti
7. Nel nostro tempo di rapidi cambiamenti il rapporto tra la terra e l’uomo è caratterizzato da alcuni fenomeni che lo hanno profondamente mutato rispetto al passato. Tali mutazioni costituiscono al tempo stesso delle sfide e delle opportunità. Le considerazioni che seguono illustrano alcuni aspetti di tale rapporto, ricco e complesso come la globalizzazione, l’allargamento dell’Unione Europea; l’innovazione culturale e tecnologica; il bisogno di un’agricoltura di qualità; il rapporto con l’ecologia; la trasformazione delle aziende. Si intende così offrire un’emblematica esemplificazione di opportunità che possono ridare slancio alla gente rimasta fedele alla terra, senza trascurare i fattori di incertezza e problematicità che interpellano la libera iniziativa dei soggetti e delle istituzioni.

La globalizzazione
8. Per diversi decenni le politiche agricole europee hanno permesso anche all’Italia di supportare i redditi degli operatori con forme di sostegno – diretto o indiretto – dei mercati dei prodotti agricoli. Importante è stata la protezione, realizzata tramite forme di dazio e altri strumenti, nei confronti della concorrenza a basso costo proveniente da altre aree geografiche. Il progressivo estendersi di tali interventi ha generato, però, un elevato costo finanziario per il bilancio comunitario e forme di "protezionismo" commerciale dagli effetti pesanti anche per alcuni produttori del resto del mondo, in Paesi in via di sviluppo che operano spesso in condizioni difficili. Con l’ingresso dell’agricoltura nel sistema di accordi multilaterali sul commercio, si è innescato un processo di liberalizzazione che favorisce una più aperta circolazione. basata sulla competitività, di prodotti agricoli anche provenienti dai Paesi in via di sviluppo. L’agricoltura entra, così, nel fenomeno coinvolgente della globalizzazione. Gli stessi accordi che cercano di favorire lo sviluppo dei Paesi più poveri agevolano l’esportazione libera di prodotti agricoli. Si diffonderanno in tal modo beni agricoli a prezzi decisamente inferiori a quelli attualmente praticati nei nostri mercati. La globalizzazione dell’economia ha messo in crisi il modello agricolo tutto sbilanciato a favore dei prodotti generici e privi di qualità. La nuova situazione di competitività chiede all’agricoltura europea un nuovo modello di sviluppo, che trovi nella differenziazione dei suoi prodotti e nel legame tra i territori l’elemento centrale di intervento pubblico. La ricchezza del patrimonio alimentare, con la sua storia, la sua tradizione, la sua cultura può rappresentare una leva strategica che consenta agli agricoltori di mantenere elevati livelli di benessere, soddisfacendo bisogni collettivi. Le politiche di cooperazione, che comunque vanno perseguite con impegno e continuità, possono contribuire a mutare gli equilibri interni all’agricoltura del nostro Paese come di tutti i Paesi europei. Come in altri campi della vita sociale, anche nell’ambito agricolo la globalizzazione può essere una risorsa oppure una fonte di maggiori squilibri. Questo vale per i nostri agricoltori in rapporto all’insieme della struttura economica e vale per i rapporti tra le agricolture di Paesi ricchi e Paesi poveri; avendo cura di non far prevalere mai interessi che penalizzerebbero irrimediabilmente i più deboli.

L’allargamento dell’Unione Europea
9. Altro importante fattore di cambiamento è l’ampliamento dell’Unione Europea, comprendente dal primo maggio 2004 venticinque Paesi e con prospettive di ulteriore espansione. Si realizza progressivamente il sogno di una Europa che, dopo secoli di terribili conflitti e guerre fra le nazioni, imbocca decisamente la via, seppur faticosa, della collaborazione e della crescita nell’unità. L’allargamento dell’Unione contribuisce a rimettere in discussione l’impostazione tradizionale delle politiche agricole. La politica agricola comunitaria ha avuto un ruolo fondante nella storia della Comunità e poi dell’Unione Europea, costituendo, fin dagli anni sessanta, una sorta di laboratorio dell’integrazione economica e sociale. Ma dalla fine degli anni Ottanta si sono manifestate difficoltà sempre più evidenti per eccedenza di produzione, squilibri nel settore, complicazioni nell’intervento pubblico. A partire dal 2003, al vecchio paradigma largamente basato sul sostegno dei prezzi agricoli si è sostituito un modello nuovo, che ha tre caratteristiche fondamentali: sostegno non più indiscriminato ma selettivo alle quantità prodotte, orientato alle famiglie rurali e subordinato alle "buone pratiche" agricole, incluso il benessere degli animali; valorizzazione di una produzione che tenga conto della biodiversità e della conservazione del territorio; attenzione alla domanda dei consumatori, quindi alla salubrità delle culture e ai prodotti tipici e di qualità. In queste prospettive innovative di agricoltura multifunzionale si colloca l’allargamento dell’Unione, che può indurre preoccupazioni sia per la dilatazione delle spese agricole determinata dall’accesso di nuovi Paesi, con la conseguente diminuzione delle disponibilità finanziarie, sia per la minaccia che sul piano commerciale ne potrebbe venire, in termini di perdita di competitività, per le imprese operanti nei vecchi Stati membri. Tali timori non possono però fermare il cammino dell’Unione Europea e vanno superati applicando criteri di gradualità e intervenendo con misure di sostegno allo sviluppo rurale dei nuovi Stati membri, valutando i benefici che, sul piano commerciale, potranno conseguire all’allargamento dei mercati. Ma non è solo l’utilità che deve guidare tali interventi, bensì la consapevolezza che solo una più equa e partecipata condivisione delle risorse agricole può favorire la condivisione più alta delle culture e della storia dei popoli e, in conseguenza, promuovendo orizzonti di pace.

L’innovazione culturale e tecnologica
10. Il primo compito dell’agricoltura e dell’intero sistema agro-alimentare è la produzione di alimenti in grado di soddisfare la domanda delle popolazioni. Rispetto a tale obiettivo le nuove tecnologie agricole e alimentari hanno offerto in questi anni cibo abbondante e a basso costo e costituiscono una vera opportunità per risolvere la piaga della fame nel mondo. Ciò tuttavia non impedisce il permanere di una situazione mondiale assai difficile, con circa 750 milioni di persone classificate dalla Fao come sottonutrite. Va riconosciuto che il problema della fame, con la sua drammatica rilevanza etica e politica, non dipende tanto dalla disponibilità complessiva di cibo a livello globale, quanto dalla distribuzione non equa delle capacità di produzione e da fattori di arretratezza e ingiustizia economica e sociale, per i quali troppi esseri umani non hanno ancora un adeguato accesso agli alimenti anche in aree e Paesi del mondo autosufficienti quanto alla produzione agricola. Il problema della fame è infatti intrinsecamente connesso a quello della povertà, in quanto è parte sia delle sue cause che dei suoi effetti. Le tecnologie agricolo-alimentari da sole non sono sufficienti a spezzare tale circolo vizioso, se non intervengono anche cambiamenti nelle priorità politiche, nell’organizzazione sociale e nell’ordine economico, come richiesto dal "diritto al cibo", impegno vincolante dei Governi dei Paesi in via di sviluppo, secondo quanto convenuto nei Summit mondiali sull’alimentazione degli ultimi anni. La storia dei successi tecnologici ottenuti nella soluzione dei problemi alimentari ha peraltro evidenziato dei limiti, connessi soprattutto al fatto che molte tecnologie di elevata efficacia produttiva hanno comportato, non solo nei Paesi in via di sviluppo, effetti collaterali indesiderati e pressioni su altre risorse, come l’uso intensivo di prodotti chimici e un grande fabbisogno di acqua. Si inserisce qui anche il tema dei nuovi stili di vita che, ispirati a sobrietà, dovrebbero indirizzare verso una maggiore condivisione. Occorre inoltre sempre considerare che ogni tecnica può costituire uno strumento di progresso, purché rispetti il criterio di una corretta applicazione, nel rispetto dei principi morali che salvaguardano la dignità della persona e il bene comune.

Il bisogno di un’agricoltura di qualità
11. Sebbene l’agricoltura, con la perdita della sua importanza tradizionale, sembri essere sempre meno rilevante sia a livello socio-culturale che nel coinvolgimento di operatori, emergono tuttavia nuovi legami tra la terra e l’uomo, anche nelle culture urbane e industriali. In particolare si registra la crescente richiesta di un’agricoltura di qualità e non tanto di quantità; una qualità rispettosa della salute, dell’ambiente e delle esigenze delle nuove generazioni. Si diffonde fra i consumatori la ricerca di prodotti per una sana alimentazione, con la conseguente preferenza per prodotti locali e la richiesta di informazione sui processi di produzione. Nelle società ricche è cresciuta, come mai prima, l’attenzione dei consumatori verso i contenuti non solo di qualità intrinseca ma anche culturali del cibo. Non sempre tuttavia questa forte domanda si traduce in un adeguato riconoscimento economico della qualità; mentre i maggiori costi di un’agricoltura di qualità non sempre trovano compenso nei prezzi di mercato, soprattutto per i produttori agricoli. Sul riconoscimento della qualità sta molto puntando l’azione delle organizzazione agricole e dei singoli agricoltori, ad esempio attraverso lo strumento dei marchi e delle certificazioni. Si tratta di tendenze significative, in quanto il riconoscimento economico della qualità può rappresentare, un’opportunità per il futuro di molti giovani agricoltori, disposti a investire nella terra ma ostacolati da problemi finanziari, di incertezza del futuro, di accesso alla terra stessa quando questa, spesso per ragioni esterne all’agricoltura, è oggetto di manovre speculative che impediscono l’emergere di nuovi veri agricoltori. È ovvio, d’altra parte, che la qualità ha dei costi, da ripartire equamente tra produttori e consumatori, evitando speculazioni e sotterfugi. La qualità infatti è un diritto strettamente connesso con l’obbligo di tutelare la salute e l’accesso a questo diritto non può essere determinato in modo selettivo sulla base delle capacità economiche dell’utente. In ogni caso, un adeguato controllo del mercato potrebbe incentivare i piccoli produttori, reimmettendoli in un circuito commerciale che, al momento, li penalizza.

Il rapporto con l’ecologia
12. La città, che continua a espandersi, non deve violare il mondo agricolo, ma deve rispettarne terreni e spazi. Essa si deve piuttosto intrecciare in modo positivo con l’habitat agricolo, affinché le diverse esigenze non si scontrino tra loro, consentendo al territorio agricolo di essere un luogo diversamente caratterizzato rispetto alla città, uno spazio più vivibile e qualitativamente più elevato, sempre però organicamente connesso con lo spazio urbano. La crisi di taluni stili di vita cittadina ha in buona parte rovesciato la direzione di una rincorsa che per lungo tempo è stata quella del mondo rurale verso i modelli urbani. Il crescere di una generalizzata coscienza ambientale è un’occasione importante per il mondo agricolo, poiché favorisce un processo in cui esso può diventare un riferimento per le culture urbane che vanno alla ricerca di una migliore qualità della vita. Per questo è di importanza fondamentale che il mondo rurale ritrovi pienamente nuovi e più avanzati equilibri con l’ambiente naturale. Verso ciò conducono non solo le politiche agricole, ma pressioni della stessa cultura agreste e montana, desiderosa di non perdere, anzi di rivitalizzare, valori basilari, nonché opportunità di nuovo sviluppo come quelle offerte dai mercati della qualità e dell’agricoltura multifunzionale. L’ecologia è, oggi, una sfida e un valore, perché i mutati stili di vita, introducendo esigenze nuove e diverse opportunità, spesso purtroppo relegano in secondo piano i controlli sullo sfruttamento delle risorse energetiche e sullo smaltimento di rifiuti e scorie, mettendo a repentaglio l’equilibrio biologico e ambientale. È necessario perciò un impegno educativo specifico e qualificato, in particolare verso le nuove generazioni, perché imparino ad amare e rispettare la natura, mantenendone la bellezza e rendendola sempre accogliente e feconda. Su questo tema dell’ecologia torneremo con maggiore approfondimento nella seconda parte della nota.

Le aziende agricole
13. Le aziende agricole, un tempo spina dorsale del mondo rurale, sono oggi frequentemente a conduzione individuale e non più familiare. Sempre più spesso appaiono non come un terreno con l’abitazione dell’agricoltore e della sua famiglia, ma come una realtà differenziata, multifunzionale, sede di varie attività. La loro gestione coinvolge sempre meno la famiglia ed è affidata per lo più a uno solo dei suoi componenti, con ampio uso di mezzi meccanici e con saltuarie collaborazioni di familiari o esterni. Tra questi cresce il numero di persone provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea, soprattutto durante la stagione della raccolta dei prodotti. Questa trasformazione del mondo agricolo esige che le varie aziende si colleghino tra loro, siano ben inserite nel territorio e vengano difese e valorizzate. A sostenere ulteriormente questa integrazione è la catena agro-alimentare, che permette di seguire in tutte le fasi i singoli prodotti, creando così un legame più vasto con il territorio e insieme una più sicura certificazione dei prodotti stessi. Ciò favorisce nuove realtà di collegamento all’interno del mondo agricolo e tra mondo agricolo e territorio, anche con inedite opportunità pastorali.

Valori permanenti
14. I cambiamenti economici e socio-culturali degli ultimi decenni hanno avuto profondi influssi sul mondo rurale, in Europa come nel resto del mondo. Pur in presenza di tante mutazioni, nel mondo rurale restano tuttavia intatti molti valori tradizionali, anche se vissuti oggi in modo diverso. Segnaliamo tra questi la ricerca della qualità del cibo, l’accoglienza, la solidarietà, la condivisione della fatica nel lavoro.

La qualità del cibo
15. Non più ricercato per semplice soddisfazione di esigenze vitali, ma, considerata la possibilità di gratificazione del gusto consentita dalla varietà e freschezza dei prodotti, il cibo si fa oggi, per molti, ricerca di qualità, cultura, legame con l’ambiente, tipicizzazione personale. La possibilità di scelta del cibo oggi presente nel mondo occidentale deve portare a un’ulteriore valorizzazione del mondo agricolo, perché dietro le nostre tavole c’è la terra e dietro la terra c’è il lavoro dell’agricoltore, cioè le mani e la fronte di chi ha seminato, lavorato, raccolto per offrire i frutti. Ciò richiede anche di educare i consumatori nella scelta dei prodotti, in modo che ogni tavola preferisca la produzione del luogo, quella più genuina ma anche più sobria ed essenziale, quella che ha culturalmente un maggior legame con la propria storia.

Forme nuove per l’accoglienza
16. Permane sempre viva la virtù dell’accoglienza, tipica del mondo rurale, che oggi si caratterizza in modo nuovo in tre forme: l’agriturismo, l’accoglienza dei neo-rurali, l’impatto con l’immigrazione extracomunitaria. L’agriturismo risponde a bisogni diversi, come la vicinanza alla natura, la gioia di cibi genuini, la ricerca di tranquillità. Il contatto con lo stile di vita di una famiglia agricola, fatto di semplicità e di cordialità, può contribuire a ritrovare la genuinità di sentimenti e atteggiamenti che la cultura delle città sembra aver dimenticato. Sempre più numerosi sono i cosiddetti "neorurali", gente che abbandona l’ambiente urbano per andare a vivere in campagna, pur continuando a lavorare in città. Quando la scelta dei nuovi venuti si incrocia con la positiva accoglienza da parte dei già residenti, l’incontro diventa fecondo per tutti: chi già vive in campagna allarga i propri orizzonti e si confronta con culture diverse; chi arriva dalla città respira e fa propri i valori antichi del mondo rurale. La scuola e la parrocchia, in questo quadro, diventano palestre vivaci di tale integrazione. Queste nuove presenze, a loro volta, frenano almeno in parte lo spopolamento del territorio rurale e l’impoverimento dei servizi indispensabili: scuole, trasporto pubblico, servizio sanitario, strutture commerciali, ecc. L’impatto dell’immigrazione extracomunitaria, che oggi è uno dei fattori necessari e decisivi per il mantenimento stesso del mondo agricolo, sta lentamente cambiando il volto anche dei paesi più interni e marginali. Li costringe a un’apertura inaspettata alla mondialità, a misurarsi con il cammino ecumenico e con il dialogo interreligioso, da valorizzare adeguatamente nelle comunità civili e religiose.

Rinnovare la solidarietà
17. Il mondo rurale ha provvidenzialmente conservato forme e gesti tradizionali di solidarietà: comunanze, usi civici, aiuto reciproco fra vicini, prestito di generi alimentari, di denaro e di macchine agricole, scambio di manodopera. Sono forme di condivisione che vanno confermate e valorizzate. In particolare è opportuno rilanciare le forme associative di solidarietà, come le cooperative e le casse rurali, oggi banche di credito cooperativo, nate all’interno delle comunità ecclesiali, che per oltre un secolo sono state elementi di garanzia e fonti di sviluppo sociale, economico e culturale. Queste istituzioni di mutualità vanno incrementate nei luoghi dove ancora hanno una debole presenza, anche attraverso un fecondo intreccio tra Nord e Sud d’Italia. Dove invece costituiscono una presenza ormai consolidata, è urgente recuperare le motivazioni originarie, per poter rispondere, in modo fedele ai valori, alle domande nuove del territorio. Tale solidarietà va allargata oltre i confini nazionali, per divenire sostegno e accompagnamento di zone del Sud del mondo economicamente più fragili. In questo contesto assumono particolare interesse le azioni di solidarietà a distanza e le iniziative dalla forte valenza etica come il commercio equo e solidale, il banco alimentare, la banca etica.

La fatica del lavoro
18. Tradizionalmente associata all’agricoltura è pure l’attenzione per il significato della fatica e la sua accettazione come sforzo fisico necessario per conseguire i frutti della terra. Nonostante la meccanizzazione e la modernizzazione, il lavoro agricolo assorbe tempo, ha orari poco comodi, espone alle intemperie, domanda energia fisica e abilità manuali. La tradizione cristiana riconosce grande importanza a questi aspetti del lavoro agricolo, apprezzando il servizio di chi spende le proprie energie sulla terra, per produrre ciò che è necessario alla vita, in sintonia con l’opera del Creatore. “Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo Crocifisso – ha ricordato Giovanni Paolo II nella Laborem exercens – l’uomo collabora in qualche modo con il Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità” (n. 27).

Capitolo secondo
IL MONDO RURALE E L’ECOLOGIA

”La tua terra avrà uno sposo”
(Is 62,4)


Una novità che chiede responsabilità
19. Il rapporto tra mondo rurale ed ecologia è oggi indubbiamente una novità rispetto a trent’anni fa, quando il tema ecologico era appena abbozzato. È un settore di grande valenza, che coinvolge in modo diretto la responsabilità verso il creato. Le nuove istanze economiche e ambientali si intrecciano però con precisi interrogativi etici, di cui vogliamo richiamare alcuni profili.

La sicurezza alimentare
20. La sicurezza alimentare è uno dei punti nodali dell’agricoltura moderna finalizzata a ottenere prodotti adeguati nella quantità, ma soprattutto salubri, ben distribuiti e controllati, nella logica della qualità piuttosto che della quantità. Nei Paesi caratterizzati da redditi elevati la sicurezza alimentare non riguarda tanto il problema dell’accesso al cibo quanto quello della sua salubrità. Anche in questi ultimi anni numerosi episodi hanno mostrato che la ricerca di un interesse economico immediato può determinare usi superficiali e colpevoli delle tecnologie agricole, con gravi rischi per la salute di molti Le conseguenze possono essere particolarmente gravi se alla concentrazione di attività produttive sempre più complesse non corrispondono controlli adeguati, come è accaduto con la diffusione del morbo cosiddetto della "mucca pazza". La sicurezza alimentare richiede impegno e attenzione da parte dei diversi operatori del processo di produzione e distribuzione alimentare, ma anche da parte degli organismi pubblici. Alle autorità pubbliche compete, in particolare, la vigilanza in materia di sicurezza degli alimenti e la verifica degli effetti, diretti o indiretti, delle nuove tecnologie e dei nuovi prodotti alimentari sulla salute dell’uomo e sull’ambiente.

Gli organismi transgenici
21. Una particolare attenzione va prestata, soprattutto, alla valutazione dei possibili effetti degli organismi transgenici sull’uomo e sull’ambiente, dai punti di vista biologico, produttivo, economico e sociale. Accanto a grandi opportunità teoriche, tali tecnologie presentano rischi di cui, allo stato attuale delle conoscenze, è difficile dare una valutazione adeguata. Su un argomento così delicato ci pare opportuno fare diretto riferimento a quanto saggiamente esprime il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (cfr. nn. 472-480). In particolare sembrano ineludibili queste considerazioni: “Le moderne biotecnologie hanno un forte impatto sociale, economico e politico, sul piano locale, nazionale e internazionale: vanno valutate secondo i criteri etici che devono sempre orientare le attività e i rapporti umani nell’ambito socioeconomico e politico. Bisogna tener presenti soprattutto i criteri di giustizia e solidarietà […]. Comunque non si deve cadere nell’errore di credere che la sola diffusione dei benefici legati alle nuove biotecnologie possa risolvere tutti gli urgenti problemi di povertà e di sottosviluppo che assillano ancora tanti Paesi del pianeta” (n. 474). La possibile irreversibilità di taluni processi e l’incertezza legata alla parzialità delle conoscenze esigono nel campo degli organismi transgenici una particolare cautela, unita a ulteriori sviluppi nella ricerca scientifica.

I prodotti tipici
22. All’invito alla cautela nel settore delle biotecnologie si unisce anche quello a potenziare la strada della tipicità dei prodotti agricoli tradizionali. È questo oggi un filone produttivo altamente ricercato e apprezzato, capace di creare nicchie di mercato remunerative, stimolanti anche sul piano sociale e culturale oltre che economico. Di fronte all’omologazione crescente dei gusti e alla massificazione distributiva alimentare, il mondo agri colo può offrire un proprio orientamento sul modello economico, sociale e culturale di sviluppo, fondato su un sapiente recupero della tradizione agricola e alimentare, nelle forme tipiche dei diversi territori. Si apre in tal modo un’opportunità di sviluppo per le aree rurali, che a partire da tale scelta possono anche rafforzare la propria funzione, espandendo le potenzialità economiche in connessione con nuove attività di ristorazione, di agriturismo, di trasformazione e commercializzazione, che si sviluppano attorno ai prodotti tipici.

Agricoltura e difesa del territorio
23. In questo contesto, gli agricoltori appaiono oggi non solo produttori di beni materiali fondamentali, ma sempre più custodi di un territorio amato e servito, nel suo spessore culturale e, ovviamente, prima ancora nella sua identità fisica. Il territorio non può sopravvivere nelle sue funzioni di utilità all’uomo senza chi lo lavora. È una consapevolezza che fa vedere le cose non in termini di efficienza ma di efficacia e di interdipendenza. I paesi rurali delle zone interne, pur non concorrenziali sul piano numerico in una prospettiva puramente economica, sono invece fondamentali sul piano qualitativo e dell’equilibrio territoriale complessivo, perché custodiscono vastissime zone, la cui sicurezza permette ad altre zone, più popolose, di vivere in dignità, ricchezza e bellezza. La conservazione del territorio, affidata alle talvolta povere comunità rurali della montagna e della collina, ha un ruolo vitale per la sicurezza dell’agricoltura di pianura e per le città, attraverso il delicato equilibrio dei complessi sistemi idrogeologici ed ecologici che caratterizzano il nostro Paese. Agli abitanti delle zone rurali interne vanno garantiti gli stessi diritti e la stessa dignità dei cittadini e degli agricoltori che operano in pianura.

Giovani in agricoltura
24. La nuova visione del mondo rurale come custode del territorio comporta una specifica attenzione al mondo giovanile. È necessaria una nuova cultura che valorizzi la dignità di chi sceglie di rimanere a lavorare in campagna, sia nelle zone pianura che in quelle collinari e di montagna. A tale dignità deve contribuire l’azione educativa della famiglia, della scuola, della comunità ecclesiale. Perché i giovani possano restare, occorre anche garantire ai piccoli comuni le condizioni necessarie per una dignitosa qualità della vita, con servizi adeguati e opportunità di scambi relazionali. Occorrono inoltre nuove politiche che favoriscano l’accesso dei giovani al mercato fondiario e degli affitti, strumenti fiscali adeguati, incentivi alla messa a disposizione delle terre, sostegno nella fase iniziale dell’attività aziendale, politiche che premiano il progetto più che il soggetto. Per questo motivo uno degli spazi più importanti è l’accesso a forme di credito agevolato per i giovani agricoltori, anche di fronte alla preoccupante tendenza del crescere dell’età media degli operatori agricoli.

”Sorella acqua”
25. Nodo fondamentale che coinvolge mondo rurale ed ecologia è oggi l’uso saggio dell’acqua, bene primario, decisivo per lo sviluppo e la crescita del mondo rurale in tutti i suoi aspetti. Buona parte del nostro Paese non ha problemi di approvvigionamento idrico, mentre in alcune aree l’acqua è scarsa non per ragioni naturali ma per cattiva organizzazione del suo uso e talvolta per ragioni speculative. La qualità delle acque, fortemente peggiorata negli ultimi decenni, oggi tende a migliorare in molte aree, anche se rimane sempre minacciata e molto resta da fare, come suggerisce la nascita recente di una estesa e più decisa politica europea dell’acqua. C’è in Italia molto spreco di questa risorsa, sia per lo scarso valore che non pochi erroneamente le attribuiscono, sia per un sistema di gestione e distribuzione che è inadeguato e necessita di profonda modernizzazione. Il futuro apre incognite importanti, in Italia e in tutti i Paesi nel mondo, sia per la continua crescita del consumo sia per l’eventualità che il cambiamento climatico alteri le disponibilità. Anche se esistono al riguardo visioni diverse, non si può escludere che intorno all’acqua si possano determinare nei prossimi anni nuovi conflitti e contrapposizioni in alcune parti del mondo, ma anche in alcune regioni del nostro Paese. La risorsa idrica assume una notevole importanza anche in funzione dei nuovi scenari della politica agricola comunitaria europea e delle dinamiche dei consumi alimentari. Nella misura in cui si privilegia una produzione di qualità, la disponibilità di acqua abbondante e di buona qualità può risultare determinante. Al riguardo ci sembra opportuno ribadire alcune convinzioni e orientamenti. L’acqua, anzitutto, è un bene di tutti e per tutti. Il suo valore impareggiabile è ben avvertito dal cuore di san Francesco, per il quale l’acqua “è multo utile et humile et pretiosa et casta”. Essa non va sprecata ma custodita con uno stile di vita sobrio, a cominciare dalle famiglie. È necessario fare adeguati investimenti per salvaguardare tale bene: dighe, canalizzazioni, acquedotti, ecc. L’acqua nel mondo rurale è anche fonte di distruzione, in occasione di alluvioni o siccità. Per questa ragione c’è bisogno di un controllo attento e rispettoso del territorio, evitando cementificazioni, eccessive trivellazioni, ecc.

Capitolo terzo
PER UNA NUOVA EVANGELIZZAZIONE DEL MONDO RURALE

”Uscì il seminatore a seminare…”
(Mt 13,3)


Annunciare il Vangelo della terra e del lavoro dell’uomo
26. La consapevolezza della situazione socio-culturale e in particolare dei cambiamenti in atto nel mondo rurale chiede che si superi ogni atteggiamento di nostalgia o di mitizzazione di un mondo che non c’è più, sapendo accettare con intelligenza il nuovo che avanza. Ma insieme chiede di collegare meglio la campagna con la città, di tessere legami tra le diverse realtà agricole, di creare habitat ben progettati e qualitativamente nuovi, di valorizzare nella sua dignità chiunque lavora la terra, con un particolare riguardo verso i giovani contadini, pochi numericamente ma ben motivati sul piano vocazionale. La Chiesa dovrà averne particolare cura e sostenerli, oltre che formarli sul piano evangelico. Questa consapevolezza deve ispirare anche le scelte pastorali da attuare per sorreggere l’annuncio evangelico e l’edificazione delle comunità cristiane diffuse sul territorio agricolo, perché il Vangelo della terra e del lavoro possa essere da tutti condiviso come prospettiva di piena umanizzazione. È decisiva oggi una nuova spinta evangelizzatrice, che sappia riproporre con forza quanto la parola di Dio dice al mondo della terra. Nello stesso tempo è necessario anche affrontare i punti di debolezza con cui l’azione pastorale si deve oggi confrontare. Occorrerà poi individuare gli strumenti pastorali e culturali con cui realizzare la nuova evangelizzazione nel mondo rurale, avendo riguardo ai segni sacramentali che hanno la loro origine dalla terra, dono di Dio. Vogliamo offrire alcune indicazioni al riguardo.

Il creato parla di Dio
27. La custodia dell’ambiente e la responsabilità verso gli altri uomini nell’uso dei beni della terra ha per i credenti un originario riferimento nel racconto della creazione. È quasi un primo Vangelo, una parola di salvezza che ci viene incontro dalle pagine iniziali della Bibbia (cfr. Gen. 1-3). Il mondo non è frutto del caso, ma dono dell’amore di Dio. In esso egli lascia trasparire la sua vicinanza, la sua provvidenza e la sua attenzione per tutti gli esseri viventi, in particolare per l’intera famiglia umana (cfr. Sal. 104). Per questo motivo noi vediamo nel mondo un grande segno d’amore, in cui possiamo incontrare colui che in Gesù Cristo ci ha amati fino alla morte. La terra è lo spazio in cui è possibile fare esperienza di Dio, luogo in cui egli si manifesta (cfr. Sal 18,1-7). Non a caso dalla successione delle stagioni e dalle vicende del mondo agricolo Gesù ricava alcune delle sue parabole più belle (cfr. Mt 13). L’agricoltore che aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra diventa, nella parenesi cristiana, icona per tutti coloro che aspettano la venuta del Signore (cfr. Gc 5,7-8). La coltivazione della terra viene proposta in tal modo come scuola di vita.

Coltivare e custodire il giardino
28. La terra affidata all’uomo che la lavora è come un giardino, che Dio ha consegnato alle sue abili mani. L’uomo è stato posto in questo giardino “per coltivarlo e custodirlo” (Gen 2,15). Se è un giardino, va tenuto come bene prezioso: lavorare la terra con rispetto è anche esserne i custodi, presidiarla, impedirne il degrado e garantirne la funzione per uno sviluppo sostenibile. In questo senso andrà ben compresa l’idea di "dominio", che ci viene proposta nel testo del primo racconto della Genesi: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni vivente che striscia sulla terra” (Gen 1,28). Soggiogare e dominare sono, nel linguaggio biblico, caratteristiche del governo di un re saggio, che ha cura dei suoi sudditi e ne cerca il bene. Dominare la terra non significa trattarla senza criterio, con l’arroganza di chi ne può disporre a piacimento, ma abitarla responsabilmente, come custodi e giardinieri, per tutelarne l’integrità, anche con l’aiuto della tecnica. Il lavoro dell’agricoltore è quello che più di tutti può far comprendere che la terra è solo affidata all’uomo; egli non è il proprietario; ne ha diritto d’uso e non d’abuso. Egli, infatti, può seminare, ma poi deve aspettare il raccolto. Lo ricordava il Santo Padre Giovanni Paolo II agli agricoltori a Vescovio in Sabina: “A voi è dato di sentire, dentro la vita che sboccia, il mistero perenne della creazione” (19 marzo 1993). Da ci ò emerge anche che l’uomo è nella terra partner di Dio, persona a cui egli si rivolge. Così Dio gli riconosce dignità e libertà.

La terra: un dono per l’intera famiglia umana
29. Dio solo è il Signore del creato; a lui solo esso appartiene (cfr. Sal 24,1-2). Egli, però, lo affida agli uomini e alle donne, come a degli amministratori. Ci ricorda il Concilio Vaticano II: “Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e popoli, così che i beni creati devono, secondo un equo criterio, essere partecipati a tutti, avendo come guida la giustizia e compagna la carità” (Gaudium et spes, n. 69). Giovanni Paolo II ha richiamato in modo incisivo l’ipoteca sociale che grava sulla proprietà privata: “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra” (Centesimus annus, n. 31). La dottrina sociale cristiana rigetta da una parte la negazione della proprietà privata e dall’altra la sua assolutizzazione. In essa infatti si riconosce una garanzia per l’esercizio dell’autonomia personale e familiare, così da costituire una delle condizioni delle libertà civili; ma essa è soltanto uno strumento in vista del rispetto della destinazione universale dei beni. La funzione sociale del lavoro, della terra su cui si lavora, dei mezzi di produzione è dunque parte integrante della consapevolezza di appartenere all’unica famiglia dei figli di Dio (cfr. Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, nn. 176-181).

La terra: un’eredità per le generazioni future
30. In questi ultimi anni l’accresciuta coscienza ecologica, anche in campo ecclesiale, ha aiutato a comprendere che il criterio della condivisione non riguarda soltanto gli uomini a noi contemporanei, ma va applicato anche in senso temporale. La terra è un’eredità ricevuta da chi ci ha p receduto e da lasciare alle generazioni che verranno, preservandone responsabilmente l’integrità. C’è da rispettare una vocazione ecologica dell’umanità, che ha profonda rilevanza per il lavoro e l’economia (cfr. Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, nn. 466-487). Per chi lavora la terra e vive di essa le esigenze di giustizia e solidarietà si trovano strettamente intrecciate a quelle della sostenibilità, come caratteristiche di un lavoro attento alla vita e alle esigenze di questa generazione come di quelle future. Proprio perché di Dio, infatti, la terra è casa di tutti, spazio affidato a tutti gli uomini e le donne perché possano trovarvi di che vivere, lavorare, gioire. D’altra parte, la possibilità di poter vivere tutti bene della terra e con la terra non può essere affidata solo all’azione individuale: occorre l’attenzione di tutti, quasi una sorta di "patto per la terra" (cfr Os 2,23-24) tra i soggetti coinvolti. Solo la corresponsabilità di un popolo che se ne faccia carico, infatti, può fondare un rapporto vivibile con la terra; solo una comunità che la ama può coltivarla in modo sostenibile e con criteri di giustizia e solidarietà.

Il posto dell’uomo nel creato
31. Se da una parte lo sviluppo della sensibilità ecologica ci aiuta a riscoprire la responsabilità dell’uomo nei confronti del creato e delle generazioni future, occorre però non dimenticare che l’uomo resta al centro del creato e di tutto il progetto di Dio. La salvaguardia del creato ha come obiettivo quello di rendere sempre fruibile il creato per gli uomini e le donne di oggi e di domani. Il creato non è infatti un idolo né un feticcio, ma un bene che è stato affidato all’uomo. Va quindi combattuto un falso naturalismo, che non vede gerarchie nella creazione, e certe forme di ideologia animalista, che pongono gli esseri animati tutti sullo stesso piano. Solo l’uomo e la donna sono creati per se stessi e solo loro sono dotati del soffio divino, l’anima razionale, che li rende immagine e rappresentanti del Creatore in mezzo al creato e scopo per cui il creato esiste.

La domenica e lo sguardo sul creato
32. La sguardo contemplativo sulla terra e sul creato è evidenziato nel settimo giorno della creazione, quando Dio si pone di fronte alla sua opera in atteggiamento di riposo, con stupore e meraviglia: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco era cosa molto buona” (Gen 1,31). Anche l’uomo, nel settimo giorno della settimana, il giorno del riposo, è chiamato a guardare al suo lavoro con lo stesso sguardo di stupore e ammirazione. Questo è il giorno che dà significato a tutti gli altri giorni. È il giorno della festa, che libera l’uomo dalla assolutizzazione del lavoro e del profitto e lo orienta a relazioni più intense, con se stesso, con la famiglia, con gli altri e con Dio. Nel mondo rurale sembra venuta meno la preoccupazione, un tempo molto insidiosa, di fare della domenica un giorno di ulteriore fatica e guadagno. Ma ora si rischia la domenica diventi un giorno vuoto, catturato dai facili miti del consumo. Occorre mantenere alto il valore della domenica, nella gratuità di relazioni familiari e amicali serene, nella gioia di un creato finalmente contemplato nella sua bellezza incantata. Tutto ciò richiede che al centro della domenica sia posto l’incontro con il Signore e con la comunità dei fratelli nella celebrazione dell’Eucaristia. A chi lavora in città ma abita per scelta in campagna suggeriamo in particolare di valorizzare in pieno il momento assembleare della domenica come occasione preziosa di incontro tra chi vive immerso nella cultura rurale e chi in quella urbana. La parrocchia favorisca queste occasioni, offrendo anche luoghi e opportunità di dialogo e di scambio, soprattutto tramite i figli che frequentano la stessa scuola e la stessa parrocchia.

L’Eucarestia e i frutti della terra
33. Al centro della domenica, suo vertice e suo alimento, si colloca la celebrazione eucaristica. Al momento dell’offertorio noi poniamo sull’altare i doni che sappiamo di aver ricevuto da Dio, ma al tempo stesso riconosciamo che essi sono ”frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. Trasformati nel Corpo e nel Sangue di Cristo, quel pane e quel vino diventano il dono che dall’assemblea dei credenti si innalza al Padre, fonte della vita. È una prospettiva che la liturgia ci ripropone anche verso la conclusione della prima preghiera eucaristica, con una invocazione che coinvolge tutti i doni, non solo quelli diventati Corpo e Sangue del Signore: “Per Cristo nostro Signore tu, o Dio, crei e santifichi sempre, fai vivere, benedici e doni al mondo ogni bene”. Eucaristia è ringraziamento per tutta la storia della salvezza, di cui la creazione costituisce l’inizio. Ai frutti della terra sono legati anche i sacramenti e i sacramentali: acqua, pane, vino, olio... La creazione, trasfigurata per la potenza dello Spirito che agisce nell’Eucaristia e negli altri sacramenti, viene innalzata sopra il suo stesso significato storico e diventa segno della creazione nuova. Questo vale in modo particolare per l’Eucaristia, nella quale la presenza vivente di Cristo permane anche dopo la celebrazione, presenza del Risorto in mezzo a noi per attirarci a sé e attirare il cosmo intero verso il Padre, espressione in atto di un dinamismo di trasformazione impresso nella materia a partire dall’incarnazione e dalla redenzione. La presenza del Signore Gesù nell’Eucaristia è come la garanzia, la promessa fedele e il richiamo perenne che tutte le realtà del cosmo sono incamminate verso di lui e che il Signore Risorto alla destra del Padre le attira a sé in un modo irresistibile. “Il disegno del Padre – come diciamo, infatti, in una bella antifona della preghiera dei Vespri – è fare di Cristo il cuore del mondo”. Ma il segno del pane e del vino diventa anche un preciso ed esigente modello di vita. In quel segno Gesù offre a noi tutta la sua vita di Figlio di Dio fatto uomo, la sua esistenza data per amore. L’Eucaristia mette in moto un dinamismo di condivisione e di servizio. Attraverso di essa il credente è spinto a donarsi ai fratelli, a diventare egli stesso Eucaristia, prolungamento del dono di Gesù nelle mille situazioni della vita e di fronte agli innumerevoli volti del prossimo. L’Eucaristia, che per la sua stessa materia si affida ai prodotti della terra, deve diventare il vertice della pastorale nel mondo rurale. Vivere l’Eucaristia come luogo del dono e fonte della capacità di dono dei fedeli trova nell’ambiente rurale un contesto e motivazioni senza uguali. La sua celebrazione va attentamente curata e fortemente legata ai ritmi della vita dei campi.

La comprensione religiosa del tempo e delle stagioni
34. La vita liturgica della comunità cristiana in rapporto al lavoro della terra non è però legata solo all’Eucaristia domenicale. Sono molte le forme con cui si esprime la devozione e la pietà della nostra gente dei campi. Si tratta di rivalutare e dare maggiormente un senso di fede a tali espressioni, a cominciare dalla preghiera a Maria che, nella tradizione di molti luoghi, segna l’apertura e la chiusura della giornata lavorativa. Non siano abbandonate in particolare le antiche rogazioni, occasione preziosa di valorizzazione dei ritmi delle stagioni. La stagione che muta è infatti come il fiorire della pianta e come la crescita dei figli. Ci dona il gusto di un tempo non conquistato, ma regalato. Le modalità delle rogazioni tengano conto del contesto della comunità che le celebra, valorizzando l’antico patrimonio di preghiere e gesti. La terra, le piante e gli animali hanno i loro ritmi che esigono rispetto, non tollerano di essere stravolti e diventano per noi un monito continuo. Il giorno e la notte, il riposo settimanale, le stagioni, l’anno sabbatico, l’anno giubilare nella Bibbia sono richiami a rispettare i ritmi del creato e a ritrovare il tempo per se stessi e per Dio. Il messaggio di fede chiede di essere adeguatamente riproposto, oltre che nel normale cammino liturgico – ricco di frequenti richiami alla bellezza del creato e alla dignità dell’uomo che lo lavora –, anche in particolari circostanze. Tra queste emerge la festa annuale del ringraziamento, che resta un momento privilegiato non solo per il mondo rurale ma per la pastorale di tutta la comunità, perché il rapporto corretto con la creazione riguarda tutti i credenti.

Nuova evangelizzazione e discernimento
35. Le indicazioni che abbiamo individuato nell’analisi del mondo agricolo devono trovare concreta traduzione nell’azione pastorale. Vale anche per il mondo rurale la richiesta di un nuovo slancio per annunciare il Vangelo: “Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera società” (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 1). Il rischio più grave che si può correre è quello della semplificazione, di ridimensionare cioè la complessità e di ignorare i cambiamenti, riproponendo letture tradizionali per situazioni inedite. Occorre un discernimento delle situazioni, che sappia leggere la realtà nella sua problematica articolazione, facendo tesoro anche delle scienze umane, alla luce della parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa. Tutti devono sentirsi chiamati a riscoprire la fantasia dell’evangelizzazione, che può trovare ispirazione dalla stessa variegata e molteplice bellezza della creazione. Attraverso forme e linguaggi nuovi occorre ridare voce alla realtà creata, per intendere il messaggio di Dio Padre che ha fatto bene ogni cosa per riempire di grazia e di gioia il cuore di ogni creatura. Si tratta di riprendere in modo nuovo una traccia sempre feconda nella storia della comunità cristiana, che a partire dal creato, trasfigurato dalla risurrezione di Cristo, ha sempre trovato strade di annuncio e catechesi per giungere al Creatore.

Le parrocchie rurali
36. Protagoniste di questo nuovo slancio pastorale sono in primo luogo le parrocchie rurali. Ci sembra bello raccogliere alcune indicazione suggerite dalla nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: “La presenza della parrocchia nel territorio si esprime anzitutto nel tessere rapporti diretti con tutti i suoi abitanti, cristiani e non cristiani, partecipi della vita della comunità o ai suoi margini. Nulla nella vita della gente, eventi lieti o tristi, deve sfuggire alla conoscenza e alla presenza discreta e attiva della parrocchia, fatta di prossimità, condivisione, cura. Ne sono responsabili il parroco, i sacerdoti collaboratori, i diaconi; un ruolo particolare lo hanno le religiose, per l’attenzione alla persona propria del genio femminile; per i fedeli laici è una tipica espressione della loro testimonianza” (n. 10). Si tratta di atteggiamenti che assumono una particolare connotazione nel contesto rurale. Non può mancare una parola di ringraziamento ai sacerdoti che hanno dedicato tutta la propria vita nelle piccole parrocchie rurali, sparse in montagna e in pianura, spesso in condizioni di isolamento. Oggi questa diffusa presenza può entrare in crisi a causa della diminuzione complessiva del numero dei sacerdoti. È bene però che sia sempre assicurata anche alle comunità più piccole la presenza di una guida pastorale. Questa oggi si articola in una molteplicità di carismi e ministeri, in cui accanto al sacerdote si pongono le figure di diaconi, religiosi e religiose, laici. Qualora la presenza in loco di un parroco non fosse possibile, si articoli l’azione di queste figure sempre con riferimento al sacerdote, attivando forme di coordinamento e collaborazione come le unità pastorali. Crediamo che la stessa vita religiosa e la tradizionale esperienza monastica – oggi vissuta anche in forme innovative, spesso numericamente piccole ma alla ricerca di un più forte radicamento nel territorio –, nonché il filone eremitico riscoperto in tante diocesi, possano essere di grande aiuto alle parrocchie, specie di campagna e di montagna, a servizio di comunità poste in luoghi marginali. Se in ogni ambiente pastorale la famiglia è decisiva, nel mondo rurale lo è ancora di più. Per questo motivo si attuino tutte quelle forme che coinvolgono la comunità familiare, a partire dalla formazione dei figli: anche nelle campagne, “cristiani non si nasce, si diventa” (Tertulliano, Apologetico, 18, 4). La famiglia rurale ha strumenti più immediati di accompagnamento nella fede dei figli, potendo valorizzare i segni naturali, i cicli delle stagioni, lo stupore di fronte alla bellezza del cosmo, le parabole evangeliche, i salmi della Bibbia.

Per un rinnovato annuncio
37. Una seria difficoltà, anche per la pastorale del nuovo mondo rurale, è quella della scarsa trasmissione della memoria storica, e quindi della difficoltà a valorizzare e trasmettere la fede delle generazioni precedenti. I mutamenti socio-economici non interessano solo le forme dell’impresa agricola, la sua attività o il profilo professionale dell’imprenditore agricolo, ma generano forti mutazioni antropologiche, che toccano la consapevolezza della fede e sfidano l’azione pastorale. La vita delle comunità rurali dovrà trovare nuovi ritmi, che sappiano additare a tutti un nuovo modo di vivere la quotidianità. Se si indebolisce l’ethos rurale tradizionale, la comunità cristiana è chiamata a offrire nuovi punti di riferimento per una vita personale e sociale buona e giusta. In questo senso andranno attentamente valorizzati gli apporti positivi che possono venire dai "neo-rurali", che spesso si trasferiscono in campagna spinti dal desiderio di autenticità, di "prossimità", di libertà, di verità. Si incontra qui di frequente una rinnovata ricerca di senso, un anelito alla trascendenza, una sensibilità per il creato, una comprensione più profonda del mondo, della vita, dell’uomo. Ma nuove sfide per la parrocchia rurale vengono anche dall’allargamento dei suoi confini, per vallata, per centro di attrazione di servizi, per comprensorio urbanistico, paesaggistico, per bacino idro-geologico. Lo spazio rurale si amplia e si interseca sempre più con quello urbano, assumendone anche alcune caratteristiche. Restano, comunque, alcune connotazioni in positivo: la più intensa e possibile vita di relazione, le maggiori opportunità di aggregazione, un implicito e diffuso contatto attivo con la natura, con l’ambiente che dà a tutti la possibilità di diventare più consapevoli. La parrocchia come comunità, come rete, come interazione di laici, sacerdoti e religiosi può radicarsi in un comune tessuto di appartenenza territoriale, di solidarietà e di amicizia. La parrocchia rurale è chiamata a ritrovare il suo ruolo. Il passato ci richiama a una parrocchia come centro di socialità e di accoglienza, cui tutti potevano fare riferimento: punto significativo di aggregazione territoriale, elemento di identità e di convivenza sociale. Se il passato non può certo tornare, tuttavia, anche oggi le parrocchie rurali o le unità pastorali sono chiamate a diventare centri attivi di animazione socio-culturale, rivisitando e recuperando, in vesti nuove e più efficaci, le tradizioni religiose del mondo rurale che offrono segni di coesione ed elementi di identificazione alle comunità agricole. In questo contesto parlare di nuova evangelizzazione non significa certo una novità di contenuti, ma sicuramente una novità di metodi, di linguaggio e anche di entusiasmo, di gioia nel comunicare il messaggio di salvezza. Significa soprattutto cercare forme più adeguate per parlare di Dio, di Gesù Cristo, della Chiesa in modo da reinventare domande di vita e proporre esperienze concrete di Vangelo vissuto. Scelta pastorale qualificante potrà essere la costituzione di gruppi di giovani, di anziani, di famiglie che, superando il rischio di un certo isolamento culturale, ripropongano un modo di vivere la fede da protagonisti, capaci di elaborare risposte nuove sul territorio, in dialogo con le istituzioni e le realtà sociali che hanno a cuore il bene comune. La formazione degli operatori pastorali assume un’importanza particolare: sono necessarie una educazione umana, una formazione religiosa e una qualificazione pastorale specifica, capace di sintesi e di abilità operative. In particolare, il pastore dovrà vivere nel segno della disponibilità a essere educato e contemporaneamente a educare gli altri con la vita di fede, con il contributo e il supporto delle virtù umane e delle qualità pastorali; modello sarà la saggezza del Padre che, come un agricoltore, sa piantare, proteggere e coltivare (cfr. Gv 15,1).

L’associazionismo per la pastorale d’ambiente
38. Il mondo rurale, nella sua storia e nelle sue tradizioni culturali, è stato espressione autentica di una progettualità culturale, ispirata cristianamente. In passato infatti la cultura elaborata dal mondo rurale è stata una sintesi significativa di fede e di vita, esprimendo valori, istituzioni e atteggiamenti che erano frutto di una sincera inculturazione della fede in quel contesto. Oggi più che mai è fondamentale il compito specifico delle associazioni di ispirazione cristiana che operano nel mondo rurale affinché attraverso una formazione umana e religiosa adeguata, una testimonianza di fede credibile, una collaborazione fraterna e uno sforzo di elaborazione trovino la forza di proporre una sintesi culturale che esprima l’impegno fondamentale dei cristiani di ordinare il mondo a Dio, contribuendo alla realizzazione piena dell’uomo e all’umanizzazione del suo lavoro. Il mondo rurale può contare al proprio interno su organizzazioni che ispirano la loro missione alla Dottrina sociale della Chiesa. La Chiesa italiana, mentre sente di dover esprimere un doveroso grazie per quanto in questi anni è stato fatto dalla Coldiretti come anche da altre associazioni d’ambiente, guarda con grande attenzione a queste realtà. Dalla loro esperienza e competenza apprende l’analisi e la valutazione delle complesse trasformazioni in atto. Essa vuole farsi carico del loro rinnovamento nella fedeltà al messaggio evangelico, che si realizza non senza un certo travaglio; le sostiene e le incoraggia, nella consapevolezza che, attraverso i loro membri, sono chiamate a svolgere un importante ruolo per la crescita del Paese nella solidarietà e per un rinnovata pastorale degli ambienti rurali. Il ruolo dei sacerdoti e dei consiglieri ecclesiastici risulta essenziale nell’accompagnamento dei laici e delle loro aggregazioni laicali. La formazione spirituale, l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa, il sostegno alla crescita della socialità, la difesa dell’autonomia laicale, la formazione a rapporti di giustizia e di solidarietà, la cura per una piena collaborazione con la pastorale ordinaria e con la pastorale sociale e del lavoro costituiscono alcuni capitoli fondamentali del servizio presbiterale alle aggregazioni laicali. Le aggregazioni ecclesiali tradizionali e quelle che si ispirano a nuovi modelli devono coltivare il radicamento nel territorio per annunciare il Vangelo nel peculiare contesto sociale e pastorale del mondo agricolo. Sarà opportuno a tale proposito privilegiare la prospettiva educativa intesa come trasmissione della fede, insieme al patrimonio della coltivazione della terra, nell’ambito della famiglia e del vicinato.

Il mondo rurale che non cambia
39. Il mondo rurale non è omogeneo in Italia. Se in molti luoghi esso è in forte trasformazione, in altre aree l’agricoltura conserva caratteri fortemente tradizionali. In tali ambiti una pastorale sociale deve poter dire parole di giudizio e di speranza, di fronte a fenomeni che meritano particolare attenzione e sostegno. Ci riferiamo in particolare al mondo della pastorizia, alle zone di allevamento non intensivo, al complesso fenomeno della forestazione, specie in certe zone del Sud del Paese, allo spopolamento crescente delle zone di montagna. Questi mondi vanno aiutati a confrontarsi criticamente con l’intera realtà rurale che cambia, per evitare irrigidimenti e cristallizzazioni, a danno di tutti. Pur diversi tra loro, tutti questi fenomeni richiedono che ci sia negli operatori pastorali rispetto per cogliere i valori antichi che tali mondi conservano e che nelle trasformazioni non devono andare perduti. Occorrono molta comprensione e molta vicinanza. Si aiutino, in particolare i giovani ad aprirsi al nuovo conservando il cuore antico, in modo che non avvenga contrapposizione polemica fra passato e presente, né sterile nostalgia. Si accompagnino le nuove generazioni verso scelte coraggiose, economicamente più redditizie, che permettano loro di restare legati alla propria terra. Fondamentale in questo lavorio di lievitazione, silenziosa ma tenace, sono le scuole e la formazione professionale. La parrocchia da parte sua, con una catechesi lungimirante, vinca le paure, spezzi schemi culturali angusti, formando nel contempo una coscienza critica capace di discernimento.

Di fronte a una montagna che invecchia e si spopola
40. In non poche aree del nostro Paese, soprattutto del Nord, l’invecchiamento della popolazione indebolisce il tessuto comunitario di paesi e borghi montani. Al Sud invece a incidere sul tessuto sociale è il fenomeno dello spopolamento dei paesi di montagna, cui contribuisce non tanto l’invecchiamento della popolazione, quanto il degrado economico e sociale, che rende oscuro il futuro per le giovani generazioni. Inoltre, un po’ ovunque, tendono a scomparire i piccoli comuni montani, fattore importante di tradizionale coesione sociale. Si tratta di fenomeni che preoccupano e che ci interpellano come Chiesa, nelle scelte pastorali. La montagna oggi è un bene di tutti, appartiene a tutti e tutti dobbiamo farci carico della sua sopravvivenza. Se aumenta l’abbandono della montagna o il suo sfruttamento puramente turistico, scomparirà prima di tutto una cultura ricca di umanità, di valori, di spiritualità e di ospitalità. Crescerà poi il danno ecologico, a scapito di tutti, perché mancheranno proprio coloro che curano nel vivo questo giardino di Dio. Le risposte da suggerire non sono facili, anche se non si può non chiedere un’attenzione specifica dello Stato per tali situazioni. Per quel che ci compete, dobbiamo cercare di assicurare in ogni caso una presenza pastorale, che se oggi è ulteriormente resa complessa dalla diminuzione dei presbiteri, deve poter valorizzare la varietà dei ministeri per una pastorale efficace, sempre però coordinata dal presbitero, magari ora costretto al servizio di più realtà parrocchiali.

Contro ogni forma di illegalità
41. È necessario pure affrontare pastoralmente il delicato problema della malavita organizzata in ambienti rurali delle regioni meridionali, a cui è collegato anche il fenomeno del caporalato. Si tratta di situazioni moralmente riprovevoli, che frenano la crescita dei territori e lo sviluppo del bene comune. Colpiscono spesso le realtà più isolate e indifese, contribuendo pesantemente allo spopolamento delle campagne. Esse ci stimolano a scelte di testimonianza e di promozione umana in fedeltà al Vangelo. Richiedono la costante vigilanza da parte delle comunità cristiane a incitamento della doverosa azione delle comunità civili; l’educazione e l’impegno nel promuovere la cultura della legalità; la valorizzazione di segni esemplari nell’uso per pubblica utilità e attraverso forme sociali avanzate dei beni confiscati alle mafie; la diffusione di progetti di cooperazione e di solidarietà, come quelli che vengono attivati, anche con il sostegno della Conferenza Episcopale Italiana, nel cosiddetto "Progetto Policoro"; la lotta contro ogni chiusura individualistica e impaurita, consapevoli che chi resta isolato e da solo si perde sempre. Sono indicazioni, queste, che nascono dalla convinzione che la forza del Vangelo e la sua diffusione capillare nelle famiglie costituisce un tessuto difensivo e connettivo capace di generare speranza, laddove questi tristi fenomeni vogliono cancellarla.

Incontro di culture e annuncio del Vangelo
42. La presenza crescente di immigrati nella realtà rurale pone nuove sfide alla comunità cristiana. Come ricordano gli orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, “occorre tener presente che ormai la nostra società si configura sempre di più come multietnica e multireligiosa. Dobbiamo affrontare un capitolo sostanzialmente inedito del compito missionario: quello dell’evangelizzazione di persone condotte tra noi dalle migrazioni in atto” (n. 58). In questi anni la comunità ecclesiale “fedele al Vangelo della carità, ha svolto con generosità un ruolo attivo e solidale nell’accoglienza”. Ma ora per la pastorale si “configura un capitolo nuovo, sostanzialmente inedito, dell’impegno missionario, aprendo spazi inediti per mostrare come al centro del Vangelo della carità ci sia la carità del Vangelo” (Lettera del Consiglio Episcopale Permanente alle comunità cristiane su migrazioni e pastorale d’insieme, n. 1). Come ci ha ricordato Giovanni Paolo II, occorre oggi passare dall’accoglienza all’incontro delle diverse identità: “Nasce così la necessità del dialogo fra uomini di culture diverse in un contesto di pluralismo che vada oltre la semplice tolleranza e giunga alla simpatia. Una semplice giustapposizione di gruppi di migranti e di autoctoni tende alla reciproca chiusura delle culture, oppure all’instaurazione tra esse di semplici relazioni di esteriorità o di tolleranza. Si dovrebbe invece promuovere una fecondazione reciproca delle culture. Ciò suppone la conoscenza e l’apertura delle culture tra loro, in un contesto di autentica comprensione e benevolenza” (Messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni, 2004). Su questa base di simpatia e comprensione si stabilisce anche il terreno per una testimonianza esplicita del Vangelo e per un annuncio di esso che, rispettoso delle persone, sia tuttavia fedele al mandato del Signore di “fare discepoli tutte le genti” (Mt 28,19).

CONCLUSIONE

Un perenne "grazie" al Creatore della terra
43. La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, offrendo all’attenzione delle comunità ecclesiali e di quanti vivono la realtà del mondo rurale queste riflessioni, intende riproporre come chiave di lettura il rapporto fondamentale di relazione tra Dio, l’uomo e la terra, secondo la fede cristiana. Come ha ricordato Giovanni Paolo II, la realtà umana non si giustifica senza il riferimento al Creatore: “La creatura, senza il Creatore, svanisce” (Gaudium et spes, n. 36). Questo riferimento trascendente […] ci impegna ad un perenne “grazie – ad un atteggiamento eucaristico appunto – per quanto abbiamo e siamo” (Mane nobiscum Domine, n. 26). Da questo atteggiamento di ringraziamento, scaturisce la consapevolezza profonda che i beni della terra sono donati da Dio per l’umanità tutta, nessuno escluso, e affidati alla famiglia umana perché ne usi con responsabilità. L’uomo non è il padrone ma l’amministratore del giardino della terra. La terra con i suoi ritmi è un richiamo per l’uomo a rispettare i tempi del lavoro e i tempi del riposo, un richiamo al giorno della contemplazione, al giorno del Signore, quello che oggi celebriamo sulla terra e che un giorno vivremo eterno nel cielo.

Preghiamo
44. Alla scuola di Maria, umile fanciulla di Nazaret, donna dell’ascolto, dell’azione e dello stupore, affidiamo al Signore queste considerazioni, rivolgendoci a Lui con la preghiera che la liturgia suggerisce nelle Rogazioni per la benedizione della campagna:

Guarda benigno, o Padre, le nostre campagne; dona alle zolle assetate il refrigerio della pioggia, alle nostre famiglie l’armonia e la pace; allontana il flagello delle tempeste e fa’ che nel tranquillo svolgersi delle stagioni sia fecondato e rimunerato l’impegno quotidiano per il benessere della nostra gente e di tutti gli uomini. Circonda del tuo amore i lavoratori della terra; fa’ che non si estingua nelle nuove generazioni la luce della tua verità e il dono della tua grazia; resti vivo e coerente il senso dell’onestà e della generosità, la concordia operosa, l’attenzione ai piccoli, agli anziani e ai sofferenti, l’apertura verso l’umanità che in ogni parte del mondo soffre, lotta e spera, perché non manchi mai ad ogni uomo, la casa, il pane e il lavoro. Risplenda la luce del tuo volto, o Padre, sulle case e sui campi e la tua benedizione ci accompagni nel tempo della semina e del raccolto, della mietitura e della vendemmia; fa’ che al termine dei nostri giorni possiamo ricevere dalle tue mani il frutto delle opere buone compiute nel tuo nome.
Amen.


di T N