L'arca olearia 24/03/2017

L'intensificazione colturale degli oliveti s'ha da fare con scienza e coscienza

L'intensificazione colturale degli oliveti s'ha da fare con scienza e coscienza

Sono molte le varietà nazionali che, in alcuni areali, possono produrre bene in sesti fino a 1000 piante ad ettaro e produzioni, anche in asciutta, assolutamente competitive rispetto ad altri modelli colturali. Mantenere il valore aggiunto del prodotto mediante l'identità "cultivar-territorio" è una scelta strategica per l'Italia olivicola


A partire dalla metà del secolo scorso tutte le coltivazioni arboree da frutto si sono indirizzate verso sistemi colturali in grado di migliorare o facilitare la fase più impegnativa ed onerosa della coltivazione: la raccolta dei frutti. In molte specie questi risultati sono stati ottenuti selezionando varietà a taglia più contenuta, oppure applicando nuove forme di allevamento associate a portainnesti con bassa vigoria. In generale questi impianti che oggi consentono un elevato grado di meccanizzazione risultano essere basati sull’intensificazione colturale.

Questo processo ha però interessato solo marginalmente l’olivo. Va ricordato infatti, che nel passato anche per l’olivicoltura furono proposte soluzioni colturali che si ispiravano proprio a quei modelli intensivi che, nel frattempo, si stavano affermando in frutticoltura. Quei sistemi erano sostanzialmente riconducibili nell’aumento della densità d’impianto con olivi allevati su asse centrale, oppure prevedevano forme di allevamento tali da costituire una parete continua (palmetta). Nell’olivo però i risultati non furono sempre all’altezza delle aspettative e gli insuccessi, associati ad uno scarso interesse a modificare l’olivicoltura tradizionale, scoraggiarono ulteriori tentativi.

A quel tempo, fu ritenuto che la pianta dell’olivo non si prestasse bene alla coltivazione intensiva; l’accrescimento della pianta in condizione di competizione, soprattutto per luce e nutrienti, finiva per favorire lo sviluppo di gemme vegetative a scapito di quelle a fiore, determinando quindi gravi situazioni di squilibrio vegeto-produttivo. Per quelle prove in coltura intensiva furono perlopiù utilizzate varietà tradizionali, generalmente vigorose e rustiche che mal si prestavano a potature energiche di contenimento.

Negli ultimi venti anni la comparsa di sistemi olivicoli ad alta densità (idonei per la raccolta in continuo) è stata possibile solo grazie all’individuazione di alcune varietà dalle caratteristiche compatibili con la coltura intensiva; ovvero dotate dei requisiti quali: la bassa vigoria, precocità di fioritura (già al secondo anno d’impianto) habitus compatto e auto-fertilità. Ad oggi queste varietà idonee e collaudate, sono meno di una decina e quasi tutte straniere.

Se da un lato questo modello si presenta come una buona opportunità per le nuove realtà olivicole in diversi Paesi del mondo, l’esiguo numero di varietà impiegabili potrebbe invece costituire un limite per le produzioni territoriali, dove l’identità “cultivar-territorio” rappresenta il valore aggiunto del prodotto.

Questi sistemi, nei quali le varietà hanno un ruolo chiave, sono tuttavia in evoluzione. E’ verosimile infatti che in un prossimo futuro il numero di cultivar idonee sia destinato ad aumentare. Già oggi, tra le novità più significative, sono da segnalare esperienze condotte in Toscana dall’az. Giganti –Rapolano (SI) che hanno permesso di individuare alcune varietà e selezioni del germoplasma toscano in grado di adattarsi alla coltura intensiva. Questi oliveti con sesti d’impianto di circa 1000 piante ettaro, sono stati progettati calibrando le distanze tra le piante in funzione della loro vigoria.

Produzioni medie in oliveti intensivi (Siena)

Le opportunità per effettuare la raccolta in continuo non sono però oggi precluse neppure per i sistemi tradizionali purché costituiti da oliveti con sesti regolari e con una chioma sufficientemente contenuta in parete. Di recente infatti è disponibile una nuova macchina (Athena) in grado di effettuare la raccolta su parete laterale in continuo, tra i suoi vantaggi la possibilità di raccogliere fino a 4,8 m di altezza, rispetto ai 3m delle comuni vendemmiatrici, ma soprattutto, può operare la raccolta su impianti con tutti i tipi di cultivar.

Per l’olivicoltura la raccolta costituirà sempre la fase più cruciale della produzione, non solo per i costi ad essa legati, ma anche perché questa operazione contribuisce in modo importante alla qualità del prodotto; E’ sempre più chiaro infatti che, per ottenere olii di elevata qualità, non solo occorre una buona gestione delle fasi di estrazione in frantoio, ma è altrettanto fondamentale partire da un’ottima materia prima, costituita da drupe sane, integre, raccolte nel periodo ottimale di maturazione e frante nell’arco di breve tempo. Ecco che sistemi di raccolta veloci ed efficienti risultano funzionali a questi obiettivi, consentendo la riduzione dei costi di raccolta ed allo stesso tempo di mantenere elevata la qualità del prodotto.

Oggi, con una produzione di olio nazionale giunta ai minimi storici e con un deficit produttivo da colmare, per quei territori laddove le condizioni agronomiche lo consentono, queste nuove opportunità appaiono promettenti per sviluppare nuovi modelli di olivicoltura, da realizzare probabilmente con soluzioni diversificate, ma sicuramente capaci di conciliare produttività e qualità.

di Aleandro Ottanelli

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