L'arca olearia 12/02/2016

Chiuso il libro dei sogni, l'anno zero dell'olio d'oliva e la sua riserva indiana

Chiuso il libro dei sogni, l'anno zero dell'olio d'oliva e la sua riserva indiana

L'Italia, ormai, è una goccia nel mare dell'olio d'oliva mondiale. A dominare i mercati internazionali sono solo tre soggetti che ,presto o tardi, mangeranno quel che resta dell'industria olearia italiana. Nel contempo, da qualche anno, la Riserva indiana dell'Olio Vero si sta allargando ma fa ancora troppi errori


Siamo all’anno zero. All’età della pietra. Prendiamo atto dello stato delle cose. E’ inutile continuare a sbatterci, ad invocare crociate nel nome della qualità reale, dell’artigianalità della produzione, del “questo l’ho fatto io”, per combattere gli industriali, gli imbottigliatori, le agropiraterie – perché è ormai evidente che di questo si tratta – svestiamo i panni dei paladini, strenui difensori delle cultivar, dei polifenoli, delle tecniche di estrazione, nel nome del fascino dei sentori erbacei, di pomodoro, carciofo. Basta.

Chiudiamo il libro dei sogni, smettiamo di scrivere ogni giorno il diario che racconta la quotidianità della nostra tribù, quella chiusa nella Riserva Indiana dell’Olio vero.

Per una volta, osserviamo la situazione da un punto di vista diverso. Mettiamoci nei panni del 90% dei consumatori mondiali; di quelli che per il loro acquisto di olio si affidano ad un prezzo e solo per abitudine ad un marchio, di quelli per i quali l’olio è olio. Punto e basta. Questi sono i consumatori pietrificati, che nel tempo consolideranno sempre di più le loro abitudini alimentari, al massimo intimoriti dagli allarmi dell’OMS ed inconsapevoli appartenenti alla tribù dominante, immensa, quella dei Malnutriti, alimentati quotidianamente dall'industria, che mette a loro disposizione quanto negli anni sono riusciti a far diventare cibo. Dalla tribù dei Malnutriti ogni tanto fuoriesce qualcuno e crea piccole riserve: Vegetariani, Vegani.

Per la ‘Tribù dei Malnutriti’ l’olio italiano cos’è? E’ solo un marchio, ma talmente forte da non essere minimamente scalfito dalle denunce e dai sequestri operati dagli organi di controllo, dalle indagini delle procure, dal quella stampa ‘partigiana’ che dà risalto alle truffe ed ai raggiri. Olio tunisino importato senza dazi? 7.000 tonnellate di olio sequestrato perché commercializzato come italiano?

Quasi nessuno ricorda più l'operazione Arbequino del 2012 del procuratore di Siena Aldo Natalini.

Nulla di nuovo sotto il sole nelle inchieste di Guariniello, della DDA di Bari e del procuratore di Trani, Savastano. Niente. Non cambia niente. A schernirsi sono solo quelli della Tribù dell'Olio Vero chiusi nella Riserva, inconsapevoli anche della loro unica fortuna, che per l'industria non contano nulla, non esistono.

Alla resa dei conti nel piatto corre il rischio di rimanere solo l’‘italian sounding’, la sensazione di essere italiano. Quanto potrà mai durare un’azienda con un mercato forte solo di una sensazione? Se nessuno protegge a livello istituzionale la vera qualità della produzione italiana agro alimentare e preferisce lasciare l’‘Italian Sounding’ nelle mani ristoranti tricolori, pastifici tricolori, imbottigliatori tricolori, salumifici tricolori, … Troppe bandierine italiana sventolano in ogni dove, senza controllo.

Ma facciamo il punto, tanto per vedere come stanno le cose.
Il 65% dell'olio d'oliva mondiale è in mano a tre sole imprese: la mega cooperativa iberica Dcoop, l'anglo-spagnola Deoleo (Carapelli, Bertolli e Sasso) e la portoghese Sovena. Di fronte a questo strapotere le aziende italiane, a mano a mano, capitolano: Salov (Sagra e Filippo Berio) venduta ai cinesi, Oleifici Mataluni (Dante) che ha aperto recentemente a capitali stranieri. Poche le aziende realmente e interamente italiane che operano nel settore oleario. Alcune hanno delocalizzato tanto, vedi Colavita, ormai si può parlare di azienda americana più che italiana, altre, per lo più piccole e medie imprese, cercano di difendere quote di mercato, fatturati e margini con azioni al limite della legge. Autodifesa o danno per l'immagine dell'Italia, soprattutto in un momento in cui non sono solo più le indagini della magistratura a stanare i 'furbetti dell'olio', ma i giornali ed i media ad occuparsi, direttamente e attraverso prove comparative, della qualità dell'extra vergine che le aziende italiane confezionano e vendono, in Italia e all'estero. Il gioco è ormai stato scoperto.

Ricapitoliamo:
1) l’industria olearia italiana è solo un marchio;
2) il consumatore acquista senza preoccuparsi del contenuto (è tutto extra vergine);
3) il contenuto è Spagna, Tunisia, Grecia, Italia, …;

Cosa accadrà nei prossimi anni non è così difficile da immaginare. L'industria olearia italiana, così come l'abbiamo conosciuta, è destinata a scomparire o a giocare un ruolo assolutamente secondario sulla scena internazionale. La Tribù dei Malnutriti continuerà a comprare olio come ha sempre fatto, senza preoccuparsi dell'origine spagnola, tunisina, greca, senza preoccuparsi minimamente di chi sia la proprietà del 'marchio', ma lasciando che il marketing possa continuare a giocare con l'immortale l'Italian sounding'. Non è una novità, è accaduto in molti altri settori dell'agroalimentare: Pernigotti è turca, Orzo Bimbo è della multinazionale Novartis, Peroni, Birra Moretti, Buitoni, San Pellegrino, Perugina... Andiamo avanti? No, fermiamoci, altrimenti al problema di prodotto, dovremmo affiancare l'incapacità manageriale e le falle frutto del passaggio generazionale.

Ma allora, se dovesse accadere questo, coloro che vivono nella Riserva indiana dell'Olio Vero corrono il rischio di essere gli unici ad avere a che fare con l'olio italiano vero. Ma allora è questo il motivo per cui, da qualche anno la Riserva indiana dell'Olio Vero si sta allargando. Giorno dopo giorno vi si affacciano generazioni diverse di produttori, desiderosi di confrontarsi, di guardarsi in faccia tra colleghi e con i consumatori.

Gente questa, che non vuole uscire dalla Riserva, ma entrare. Hanno capito che nella Tribù dell'Olio Vero ci sono diventati portatori sani di un messaggio, forte della qualità reale del loro lavoro. Che hanno abbandonato la bruschetta, hanno studiato ed ora vogliono completare con le loro storie le sensazioni percepite dal naso nel bicchiere da degustazione. E’ gente questa che ha capito che per crescere non bisogna soltanto gridare ai quattro venti che l’olio è buono e fa bene, ma che c’è bisogno di una comunicazione mirata, destinata a quelli che hanno a cuore la qualità della tavola quotidiana. Quelli che evadono dalla Tribù dei Malnutriti, che non hanno più fretta e sono desiderosi di dedicare tempo alla scelta di quello che mangiano.

Mi fermo qui. Devo partire per Lucca.
Una delle Capitali italiane della Riserva Indiana dell’Olio Vero.
Lì suonano una musica che mi piace.
Non è Sanremo.

di Maurizio Pescari

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Commenti 3

Francescantonio Carfa
Francescantonio Carfa
22 febbraio 2016 ore 12:58

Complimenti per il Suo articolo.
Mi ha ispirato a scrivere questo breve resoconto della giornata di ieri. Spero Le piaccia.

LA TRIBÙ DI SOLOPACA

Ah, le gite fuori porta, le amo!
Soprattutto se di domenica, con la propria famiglia, decise con un guizzo rapido della mente mentre a colazione mandi giù l'ultimo sorso di una spremuta d'arancia.
Amori miei, oggi si va a Solopaca!

A Roma fa bel tempo, il traffico è scorrevole, metto un bel blues di sottofondo in macchina e due ore passano in fretta.

Lasciata l'autostrada a Caianello, il panorama cambia.
È la magia degli svincoli.
Entriamo in una dimensione più vera, più attuale. Il manto stradale perfetto e levigato cede il posto ad uno imperfetto e trascurato, a macchia di leopardo, tante sono le buche multiformi che si susseguono una dietro l'altra. Con uno sforzo benevolo, in tutto questo ci vedo dell'arte. Un'arte tutta italiana.

Ogni tanto rivolgo lo sguardo verso le colline e le ampie vallate. Le distese di vigneti mi riempiono gli occhi e colmano quel bisogno di natura che tante zone della metropoli offrono con troppa parsimonia.

Ogni tanto dietro qualche curva mi appare improvvisamente un'insegna imponente che recita: Mozzarelle di bufala campana. I mulinelli di acquolina in bocca incalzano, ma il tempo è tiranno e non mi lascio tentare. Voglio arrivare puntuale alla conferenza che si tiene alla sala consiliare del comune di Solopaca.
Che nome strano questo paese. Mi ricorda una qualche tribù di Indiani d'America della catena montuosa degli Appalachi. Che vorrà significare?
Wikipedia è mia amica e mi insegna che "L'origine è incerta. Secondo alcuni il nome deriva dal latino Sol opacus, ossia paese poco soleggiato. Secondo altri il nome deriva dal latino sub pagus, cioè villaggio 'che è sotto', riferendosi alla sua posizione geografica, sotto il monte Taburno".
La descrizione non è menzognera. Non appena ci avviciniamo al paesino, un massiccio si erge imponente davanti ai nostri occhi. Dei nuvoloni attorniano la punta del monte e il sole che ci ha accompagnato durante tutto il viaggio scompare improvvisamente.

Poco male. La conferenza si tiene all'interno dell'edificio comunale e la sala è gremita di persone che seguono con interesse un argomento diverso da quello per cui la cittadina è conosciuta:
L'OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA.
Si parla di Xylella fastidiosa, si spiega come avviene l'analisi sensoriale dell'olio ed infine intervengono alcuni imprenditori locali che raccontano la loro esperienza.

Un giovane trentenne spiega timidamente al pubblico come la sua attività di trasformazione del nocciolino di oliva in biomassa combustile sia stata avviata con tutte le incertezze ed i rischi che una situazione economica instabile comporta ed incita altri giovani come lui a non aver paura a sviluppare una propria idea imprenditoriale, purché ci si creda fino in fondo.
Un altro imprenditore invece, ormai non più giovane, da molti anni nel commercio dell'olio di sansa di oliva, tra i suoi vari discorsi, elogiando dapprima le qualità dell'olio extravergine di oliva cerca buffamente di convincere gli ascoltatori che anche il suo prodotto faccia bene alla salute dell'uomo ed in particolare alla circolazione del sangue.

Due atteggiamenti e personalità così diversi che il presidente di un'associazione di assaggiatori di olio, invitato a consegnare i premi ai partecipanti della XV edizione del concorso Filo D'Olio, ha puntualmente esaltato nel primo caso e redarguito nel secondo.
Una donna dalla saggezza infinita, questo presidente. Una figura profetica, paladina del vero olio extravergine di oliva.

Il concorso viene vinto da un produttore che scopro avere molta esperienza in campo.
Voglio assaggiare il suo olio.
È un monocultivar Ortice.
All'olfatto si offre ampio ed elegante con note di pomodoro quasi maturo e ricco di sentori vegetali quali lattuga e sedano mentre al gusto riscontro note balsamiche di salvia e menta con un apporto di amaro e piccante dalla giusta intensità.
Mi metto a conversare un po' con questo brav'uomo. Gli stringo la sua mano callosa e sapiente e, prima di salutarlo, gli dico: voglio il tuo olio nel mio negozio!

Di ritorno a casa penso dentro di me:
questi sono i posti che voglio visitare, questa è la gente che voglio frequentare, questa è l'Italia che voglio!

Andrea Ricci
Andrea Ricci
15 febbraio 2016 ore 21:42

Bell'articolo: triste analisi della deriva del gusto e della qualità del cibo italiano e spiraglio di ottimismo nel notare una nicchia di appassionati che cresce. Scegliere cibo genuino è un sano e giusto atto politico oltre che rispetto per noi stessi.

nico sartori
nico sartori
13 febbraio 2016 ore 13:12

Una bellissima foto dello stato dell'arte, bravo Maurizio, abbiamo bisogno di comunicatori bravi e non prezzolati. GIi indiani perseverano e crescono, e nel frattempo esercitano una funzione sociale di mantenimento del paesaggio. Il bel paesaggio italiano, argomento tanto caro ai discorsi dei politici, che però fattivamente non salvaguardano, non permettendo di creare una riserva degli oli di qualità, ma obbligandoli nella bolgia degli extravergini.
Nico Sartori