L'arca olearia 18/05/2013

Aboliamo panel test e parametri chimici per l'olio d'oliva! La classificazione commerciale sia fatta dai nuovi consumatori

Aboliamo panel test e parametri chimici per l'olio d'oliva! La classificazione commerciale sia fatta dai nuovi consumatori

Le definizioni di qualità formatesi nella regione mediterranea, secondo Deoleo, hanno bisogno di essere ripensate. I consumatori in nuovi mercati sono stati abituati a oli inodori e incolori. Per l'industria olearia spagnola occorre rivedere linguaggio e regole


Basta con l'extra vergine che deve avere la sensazione di fruttato e deve essere privo di difetti.

Basta con parametri chimici che imbrigliano le aziende olearie e che creano un “quadro giuridico torbido”.

Questa in estrema sintesi la posizione di Deoleo, colosso iberico che detiene i marchi Carapelli e Bertolli, emersa in base alla relazione annuale assembleare.

Occorre sostituire i termini extra vergine, vergine, olio d'oliva raffinato con parole più vicine al consumatore e questo significa far tabula rasa di una classificazione che “è stata elaborata dal punto di vista delle caratteristiche tecniche, non delle qualità percepite dai consumatori”.

La valutazione della qualità dovrebbe andare “al di là del metodo sensoriale semplicistico o delle analisi fisiche e chimiche.”

Ancora più chiara Deoleo in un seguente passaggio: "la rigidità delle leggi e dei regolamenti attuali impedisce al settore dell'olio d'oliva di esprimere diverse qualità con denominazioni appropriate... I consumatori in nuovi mercati sono stati abituati a oli inodori, incolori e grassi che a malapena influenzano il gusto del cibo e sono utilizzati solo per aiutare nei processi culinari”.

La parola d'ordine è flessibilità per permettere di creare nuova segmentazione. Deoleo vorrebbe insomma avere più margine di manovra per evidenziare le proprietà dell'olio d'oliva per la salute o i suoi diversi usi, come ad esempio per friggere o come condimento.

L'azienda spagnola ha anche annunciato di stare ripensando la terminologia descrittiva dell'olio extra vergine d'oliva, così soppiantando quella esistente.

Quella prospettata da Deoleo è una vera e propria rivoluzione dettata da esigenze commerciali. Emerge infatti chiaramente, dai numeri presentati, che le vendite nei paesi maturi stanno frenando mentre cresce esponenzialmente l'export verso mercati lontani. Il mondo dell'olio d'oliva mediterraneo si dovrebbe dunque piegare alle necessità dei nuovi paesi consumatori. Una strategia affatto nuova per Deoleo che, già quando si chiamava Sos Cuetara, fu l'unica impresa privata europea ad aderire alle consultazioni sui nuovi standard commerciali lanciati da Australia e Nuova Zelanda per gli oli d'oliva.

Occorre dar molto credito a questa posizione di Deoleo perchè sicuramente vi investirà denaro ed energie, magari cercando anche di cooptare opinion leader e politici. La capacità di lobbing, a Madrid e Bruxelles, è notevole. La strada è tracciata. Ne va delle prospettive di crescita della società.

Nulla di personale, cari olivicoltori e frantoiani: business is business.

Sarà la strada giusta? Non lo so. Mi limito ad osservare che altri colossi, come Coca Cola e McDonald, hanno esportato non solo un prodotto ma anche un modello di consumo, con pochi mirati adattamenti alle realtà locali.

In ogni caso Deoleo, dopo esser riuscita a far diventare l'olio extra vergine una commodity, ora vuole demolire gli ultimi baluardi a difesa della tradizione mediterranea, ovvero i parametri chimici e organolettici, portando la legislazione dell'olio d'oliva ad avvicinarsi e uniformarsi a quella degli oli di semi, considerati naturali competitor. Sempre oli vegetali sono o no?

E' chiaro che anche valori aggiunti, come la dieta mediterranea, diventerebbero semplici leve di marketing, svuotate però del loro significato più profondo. Non esporteremmo più uno stile di vita e di consumo ma uno slogan commerciale.

L'olio extra vergine d'oliva, il 3% del mondo degli oli vegetali, non sarebbe più una Ferrari ma diventerebbe un'utilitaria come tutte le altre. Niente di più democratico, egualitario e popolare. Ma perchè svilire una storia millenaria? Perchè banalizzarla facendola diventare solo uno spot pubblicitario?

Spazzar via parametri chimici e panel test significa buttare a mare la qualità intrinseca del prodotto per abbracciare unicamente la qualità percepita.

Non importa quello che fai in campo e in frantoio. Non importa che regole segui. Non importa quali varietà usi. Importa solo che il tuo prodotto non faccia male, poi ci penserà il marketing a modellare l'olio sulle esigenze del consumatore. Magari bisognerà aggiungere qualche polverina ma poco male se il consumatore sarà soddisfatto. Il margine operativo lordo salirà, gli utili cresceranno, gli azionisti saranno felici e contenti e gli amministratori potranno staccarsi ricchi benefit.

E' questo il futuro dell'olio extra vergine d'oliva?

di Alberto Grimelli

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Commenti 17

Raffaele  Giannone
Raffaele Giannone
17 giugno 2013 ore 18:44

PANEL ....DI COMPLEMENTO.

Un dibattito che sembrava ormai archiviato sembra riprenda vita e condivido con Grimelli il compiacimento nel confronto fra le varie posizioni.
Quanti Bova o Aymerich ancora??
Che si possa aprire un varco nella "falange dei panelisti"?

Ripeto di non essere aprioristicamente contrario all'analisi sensoriale che mi ha insegnato tanti aspetti prima ignorati o sottovalutati, pertanto buona e lunga vita al panel test.
Quello che mi permetto di proporre è fermare questa improbabile corsa al rialzo sul valore e sulle competenze del panel, in buona sostanza penso che per individuare una truffa o un'alterazione dolosa dell'olio (scopo essenziale dei controlli e delle classificazioni) bastino le ormai sofisticatissime analisi effettuate scientificamente .

Certo tutto è manipolabile e falsificabile, ma quantomeno avremo sempre il vero vantaggio del "metodo scientifico" ovvero la ripetibilità, la misurabilità, l'indipendenza da sistemi di riferimento, la descrizione numerica.

Come sempre succede quando si afferma che le soluzioni sono due....e poi appare la terza....alle quattro soluzioni proposte da Grimelli aggiungerei questa:
5) mantenere il panel come analisi a latere, con finalità complementari e consultive, magari per distinguere un fruttato medio da uno forte, ma demandare la classificazione vincolante ai fini commerciali e legali ai vari parametri chimici noti agli addetti ai lavori ed universalmente accettabili anche in sede di convenzioni internazionali.

So che la mia proposta potrà essere seguita da altre migliori, rivista e corretta, ma quantomeno apre ad una sostanziale semplificazione dell'attuale stato già tanto complicato, ma evidentemente non ancora tanto da far mancare chi (vedi prima proposta delle quattro) vorrebbe esasperare ancora di più la funzione del panel.

Riguardo all'esempio enologico, sarà pure un riferimento di discussione, ma non dimentichiamo che il vino, per arrivare a questo livello qualitativo, normativo e di controlli è dovuto passare sotto la grande falce purificatrice dello scandalo metanolo...
Come ebbi già modo di paventare sulle pagine di TN, speriamo che non ci si debba augurare una simile strage anche per l'olio d'oliva....

Grazie per l'attenzione e scusate le parole di troppo.
Raffaele Giannone, olivicoltore molisano

Emanuele Aymerich
Emanuele Aymerich
17 giugno 2013 ore 13:51

Vorrei dire alla Sig.ra Bova che non è l'unica ad essersi trovata in situazioni simili, è successo pure a me per un famoso concorso, ma io il campione da verificare ce l'avevo e quindi ho potuto togliermi lo sfizio di farlo verificare e poter riscontrare con certezza la presa per i fondelli. Da allora gli inviti per i concorsi finiscono subito nel cestino, già il mondo dei concorsi mi interessava poco...

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
17 giugno 2013 ore 11:08

Mi fa molto piacere che si sia animato il dibattito intorno a questo tema. E' utile, interessante e stimolante. Un amico, recentemente, mi ha giustamente ricordato che è decisamente più importante confrontarsi con chi non la pensa come te, per crescere e progredire.
Venendo al tema.
A mio avviso bisogna distinguere tra strumento (legge) e applicazione (burocrazia), altrimenti si fa confusione rischiando, non sarebbe la prima volta in Italia, di gettare via il bambino con l'acqua sporca.
Il panel test è utile oppure no? Ovvero la valutazione sensoriale dell'olio extra vergine d'oliva deve essere considerata all'interno dei parametri di genuinità e purezza? Detto in termini più semplici, un olio difettato, può fregiarsi comunque della categoria commerciale olio extra vergine d'oliva?
E' un dibattito nient'affatto scontato e banale. Il mondo del vino l'ha risolto in maniera diversa rispetto all'olio. Vino è anche se difettato, se però ci si aggiunge qualsiasi ulteriore certificazione allora deve passere un panel test. Da più di vent'anni il mondo dell'olio ha deciso che un olio difettato non può essere incluso nella massima categoria commerciale degli oli di oliva. Questa, a pensarci bene, è una grossa differenza rispetto al mondo del vino. Vino è vino. Non è una classe di categorie commerciali che, in qualche modo, vanno differenziate.
Personalmente ritengo che un olio extra vergine d'oliva debba essere, almeno, privo di difetti e col sentore di frutto dell'oliva.
Si tratta di una regola semplice, che, come spesso accade, è stata burocratizzata all'eccesso. Se ci pensiamo bene per la sua applicazione alla lettera non serve che venga identificato il difetto prevalente nè che l'intensità percepita sia omogenea tra i panel. Niente di tutto questo accade nei panel delle Camere di commercio per i vini. Se è difettato sei fuori. Poi sta al produttore e/o imbottigliatore, per migliorare, informarsi sulle ragioni della bocciatura.
Nel settore dell'olio, cioè, abbiamo assistito al classico caso di una legge che, personalmente, reputo giusta, ma di una applicazione astrusa e complicata.
Le strade, a questo punto, sono quattro:
quella indicata da Wenceslao Moreda (http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/14703-panel-test-per-l-olio-d-oliva-sotto-attacco-per-salvarlo-occorre-farlo-evolvere-in-un-laboratorio-sensoriale.htm) ovvero una progressiva professionalizzazione del panel, con inquadramento sempre più rigido e schematico
semplificare il panel test secondo la strada indicata dal mondo del vino: se è difettato è bocciato, senza ulteriori complicazioni
abolire il panel test per la categoria commerciale e tenerlo solo per l'alta qualità, Dop/Igp...
abolire il panel test tout court

Una riflessione merita anche l'esperienza della signora Bova, a cui va la mia personale solidarietà, ma che esula, a mio avviso, dalla bontà o meno del metodo panel test.
Nel suo caso il problema è a monte. Se l'olio non è stato prelevato dalle sue cisterne, come lei sostiene, allora che olio è arrivato al panel test? Può benissimo essere che sia arrivato un olio difettato e quindi da bocciare. Lo stesso, però, poteva accadere per quanto riguarda per i parametri chimici.
Se “magheggio” con i campioni allora ogni risultato diventa possibile, indipendentemente dal metodo analitico applicato.

Buona lettura a tutti
Alberto Grimelli

Raffaele  Giannone
Raffaele Giannone
17 giugno 2013 ore 10:04

CONFUSIONE o ESIGENZA di SBUROCRATIZZAZIONE ?

Ho atteso con fiducia e qualche contributo dal "fronte" dei diretti operatori dell'olio ( e dell'olivo) è finalmente arrivato!
Solidarietà e condivisione alla signora S.Bova e al sig. Bovoli (sarà un caso l'assonanza...?!).

Nessuna furia oscurantista, caro e stimato Grimelli, ma un disperato anelito alla semplificazione (non al semplicismo e men che mai alla "confusione creata ad arte"...)

Il panel è utile alla diffusione sulle conoscenze in fatto di amaro e piccante, di avvinato o morchia...e sia...teniamoci pure il panel "consultivo".
Ma per favore snelliamo le commissioni, i supervalutatori, i certicatori, i gabellieri, il controllori e i controllori dei controllori...

Il mio amato professore di matematica me la fece amare perchè mi disse che era l'unica scienza (come le altre sulla matematica basate) indenne dalle miserie umane, ergo affidiamoci, sia pur senza furore positivistico, alle oggettive analisi chimiche, combattiamo le frodi sia nel commercio, sia nell'agire dei servi del profitto che non è sempre e solo economico, ma anche carrierismo, potere, presenzialismo, etc.

La difesa acritica del panel sa tanto..di ..morchia!

Un saluto a tutti.
Raffaele Giannone dal Molise.

SERENA BOVA
SERENA BOVA
16 giugno 2013 ore 18:52

Esistono dei progetti che servono a evitare gli imbrogli è vero: uno di questi è la preparazione ECCELLENTE del campione da mandare ai concorsi che poi guarda caso differisce dal prodotto venduto...
Ecco perché esistono le analisi ma mi permetta di dissentire sulla bontà dei panel test e le spiego perchè.
Ad uno di questi progetti ho aderito volontariamente anche io col mio olio gli anni passati ma quest’anno non ho ritenuto giusto parteciparvi perché non avevo raggiunto la quantità minima richiesta dalle norme di quel progetto e mi ero fatta da parte. Un bel giorno però mi arriva via posta elettronica il risultato negativo di alcune analisi riguardanti il progetto dell'anno in corso, quest’anno,campagna 2012, appunto. Risultato del panel test negativo, motivo per cui non posso quest’anno aderire al progetto stesso; ma io non avevo fatto, ripeto, quest’anno richiesta di aderire a quel progetto. Alla mia richiesta di chiarimenti, l’ispettrice delegata dalla capofila mi manda due documenti: quello delle analisi chimiche e sensoriali e quello del certificato di prelievo. Eh sì, il prelievo che la signora sostiene di aver fatto in mia presenza dalla mia cisterna che conservo presso il frantoio di cui mi avvalgo per la molitura delle mie olive anche se in quel momento… io non c’ero! Se mai c’è stato un prelievo, incontro nel quale, se fosse vero tutto ciò, la signora avrebbe dovuto rilasciarmi contestualmente un campione e un documento che attestasse appunto l’avvenuto prelievo e che io avrei dovuto firmare di mio pugno, ovviamente. Quest’ultimo è il secondo documento che mi manda allegato alla mail e che invece io vedo per la prima volta, inoltre esso porta in calce una mia firma falsa e si vede, e anche molto chiaramente, non c’è bisogno neppure della perizia calligrafica, non foss’ altro che per il cognome che precede il nome, cattiva abitudine di queste parti che io non ho mai avuto. Esiste però, ripeto, quel risultato delle analisi sensoriali… negativo (ca va sans dire, viste le premesse) che butta discredito sul mio operato. Tale risultato, inoltre, non corrisponde a quello fatto dal laboratorio a cui mi rivolgo, nella fattispecie appunto nel risultato delle analisi sensoriali. Solitamente, mi rivolgo ad un laboratorio di Verona, io che opero in provincia di Benevento, proprio perché non voglio ingerenze “locali”. Qualcuno mi ha detto che forse i palati settentrionali sono meno raffinati di quelli meridionali sia pure in fatto di olio, allora mi sono rivolta alla CCIAA di Napoli (col mio olio, non ho preparato nessun campione all’uopo perché mi preme sapere SU TUTTO e in primo luogo a me se so fare bene questo lavoro o no) e ovviamente quei difetti NON sono stati riscontrati.
In quelli del fantomatico campione della signora del progetto sono stati riscontrati dei difetti nel test sensoriale che NON posso accettare perché:
Il riscaldo avviene quando una volta raccolte le olive, magari anche ad un punto di maturazione molto avanzato, si aspetta troppo tempo prima della molitura, io solitamente raccolgo le olive appena invaiate e corro subito, lo stesso giorno, al frantoio;
Il rancido avviene perché l’olio viene conservato male e questo non è il caso del mio frantoio pluripremiato per essere l’unico nella zona a rispettare certi criteri che non sto qua a ripetere perché noti a chi di competenza.
Ho capito che c’era il disegno di farmi fuori da tale progetto, va bene, ma poteva esserci un altro modo più elegante che buttare discredito sulla fatica, il lavoro, gli sforzi, i sacrifici, gli investimenti di chi lavora seriamente ed onestamente.
Credo inoltre che gli autori di questo disegno non siano stati molto intelligenti perché i difetti che loro dicono di riscontrare sono discutibili in quanto mettono in dubbio dei metodi di lavorazione che invece sono il fiore all’occhiello della produzione del mio olio, con più furbizia avrebbero potuto inventarsene altri.
Allora, è ancora valido il panel test? Secondo me NO perché fatto dagli uomini probabilmente anche con numerosi difetti alle papille gustative e all'olfatto, anche se non amo la chimica in questo caso la prediligo e allora evviva le indiscutibili analisi chimiche, rimettendoci però alla clemenza dell’analista ed alla sua serietà che evidentemente certi colleghi "panelisti" non hanno.

NICOLA BOVOLI
NICOLA BOVOLI
15 giugno 2013 ore 13:26

Carissimi,
di cosa vi stupite? Doleo continuerà a fare quello che ha sempre fatto la produzione industriale: Costruire in laboratorio un olio industriale di basso prezzo ed approfittare di tutti gli strumenti finanziari e di marketing a sua disposizione per invadere il mercato mondiale. Non a caso hanno comperato tutti i nostri marchi (Carapelli e Bertolli in testa) e imbottigliano l'olio nei nostri territori utilizzando i nostri stabilimenti per gabellare nel mondo un olio di bassa qualità e di alto margine per chi lo commercializza.
Ma l'olio di Doleo è e sarà sempre un prodotto industriale fabbricato in laboratorio che nulla ha a che vedere con il Vero Olio Extravergine d'Oliva ricavato artigianalmente nei nostri frantoi da olive dei nostri territori frante a poche ore dalla raccolta stessa.
Ma per fortuna in Italia, in Europa ed in tutto il mondo l'Olio Extravergine artigianale è sempre più apprezzato da consumatori informati ed intelligenti.
Doleo ed il suo olio non può e non deve essere un concorrente degli oli di qualità prodotti artigianalmente nei nostri frantoi specie se aderiscono ai disciplinari DOP o IGP.
Nicola Bovoli - olivicoltore e Frantoiano in Vicopisano - Pisa - Toscana - Italia.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
24 maggio 2013 ore 17:40

Gentile Sabrina Zonta,
in Spagna vi sono ottimi produttori di eccellenti extra vergine d'oliva.
Pur ammettendo che non conoscevo QVEXTRA! so bene che la Spagna oliandola, al di là degli stereotipi, non è solo produzione di massa.
Abbiamo anche pubblicato un articolo, qualche tempo fa, sull'argomento: Occhi aperti. La Spagna oliandola sta seguendo le orme dell'Italia sull'alta qualità (http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/15840-occhi-aperti-la-spagna-oliandola-sta-seguendo-le-orme-dell-italia-sull-alta-qualita.htm).
E' tuttavia una realtà innegabile che la Spagna olearia è anche Deoleo e che Deoleo ha il proposito dichiarato di far diventare l'olio extra vergine d'oliva una commodity, al pari degli oli di semi.
I produttori iberici che hanno come messaggio “Wow... che Extra!” debbono farsi sentire se vogliono tutelare l'olio d'oliva. Poche invece le reazioni sulla stampa spagnola alla proposta Deoleo.
Mi chiedo il perchè.
In ogni caso Teatro Naturale continuerà a seguire anche le vicende in terra iberica, senza scordarsi dei suoi produttori d'alta qualità.
Saluti dall'Italia.
Alberto Grimelli

Sabrina Zonta
Sabrina Zonta
24 maggio 2013 ore 11:36

Gent.mo Sig. Grimelli,
Ho appena letto il suo articolo e vorrei chiarire la posizione di certi produttori spagnoli.
Io lavoro per una frantoio in Andalusia e posso assicurarle che la proposta suggerita da DEOLEO, non rappresenta l'opinione dei produttori spagnoli di oli qualitativi o semplicemente di tutti quelli che cerchiamo di produrre oli d'oliva extra vergine.
Siamo in molti a produrre rispettando i criteri di qualitá ed ad insistere che il panel test é per il momento l'unico e solo parametro che permette di fare la differenza tra un olio extra vergine ed uno adulterato.
Il voler eliminarlo compromette i valori qualita, salute e bontá dell'olio. Questo lascerebbe via libera, inondando il mercato con qualunque prodotto. Chiunque abbia un minimo di conoscenza in materia di olio sa che le proprietá nutritive dell'olio extra vergine non hanno nulla a che vedere con l'olio d'oliva. Il consumatore é giá confuso con le attuali etichette, non oso pensare quale sarebbe il futuro se eliminiamo il panel test.
Non so se é al corrente ma si é costituita in Spagna all'inizio 2013 un'associazione chiamata QVEXTRA! che ha proprio come obiettivo la difesa dell'extra vergine e l'attribuirgli il suo giusto valore. Le ragioni? Varie, ma la principale é che si vuole dare una garanzia al consumatore finale. Tutti gli aderenti a QVEXTRA! sono produttori che producono un olio extra vergine di qualitá alta o PREMIUM, dimodoché quando si sceglie un olio con il marchio QVEXTRA, l'unica esclamazione possibile dev'essere: ''Wow ..che Extra!'' .

A parte il lavorare per un frantoio, all'essere un'appasionata d'olio, sono una consumatrice. Se a questo aggiungiamo che sono mediterranea, l'olio fa parte della mia tradizione. I miei ricordi sono associati a una merenda fatta con olio e pane. Ma non un olio di girasole o di semi. Un olio che all'assaporarlo con il pane, mi ricordava l'erba del prato appena tagliato nella nostra casa in Toscana, alla compota che mia mamma aveva fatto, l'olio mi faceva sognare.

Mi auguro che in futuro si prenda un po´piú sul serio il valore della dieta mediterranea di cui l'olio extra vergine fa parte. Che tutti ci sentiamo fieri e desidiamo di proteggerla e valorarla esattamente come facciamo chi con il Colosseo, chi con l'Alhambra e chi con il Partenone.



Sabrina Zonta (FINCA DUERNAS)

Redazione Teatro Naturale
Redazione Teatro Naturale
23 maggio 2013 ore 12:06

Gentile Giannone,
non voglio lasciar passare senza un commento le sue riflessioni.
Il legislatore ha voluto che l'olio extra vergine d'oliva rispondesse sia a parametri di genuinità sia a parametri di qualità. Non tutti i parametri chimici sono parametri solo di genuinità (ovvero permettono di scoprire eventuali adulterazioni o sofisticazioni, ad es. con oli di semi). Alcuni sono di qualità. Uno per tutti, a solo titolo di esempio: l'indice di perossidi indica lo stato di ossidazione e null'altro (in altre parole quanto un olio è vecchio o invecchiato a causa di luce, calore e ossigeno).
L'olio extra vergine d'oliva è quindi stato considerato così importante, così radicato nella tradizione mediterranea, da voler tutelare tanto la sua genuinità quanto la sua qualità. Tra i parametri di qualità è stato inserito anche il panel test. La legge stabilisce che deve avere la sensazione di fruttato di oliva e deve essere privo di difetti.
Dalle sue parole però evinco che c'è molta confusione, alimentata anche ad arte, a proposito del ruolo degli assaggiatori. Forse conviene schematizzare le attività in cui gli assaggiatori sono o possono venire coinvolti:
1) consulenza per aziende su controllo qualità e blend
2) fanno parte di panel ufficiali o professionali per la caratterizzazione merceologica (è extra vergine o no)
3) fanno parte di panel ufficiali o professionali per la caratterizzazione degli oli Dop come da disciplinare
4) fanno parte di giurie per guide o concorsi
5) fanno degustazioni guidate e/o informazione al consumatore
Non mi soffermo sul primo punto, molto chiaro.
I punti 2 e 3 riguardano attività che sono regolamentate da norme Coi, europee e nazionali. L'assaggiatore, all'interno del panel, diventa uno “strumento d'analisi” che verifica il rispetto della legge, nel caso di classificazione merceologica, o di un disciplinare nel caso di olio Dop/Igp. Per quanto riguarda la classificazione merceologica l'olio extra vergine d'oliva è l'unico prodotto agroalimentare a contemplarla. Per quanto riguarda il rispetto dei disciplinari vale anche per il vino, solo ad esempio. Un Verdicchio, per essere chiamato tale, deve avere certi requisiti organolettici che sono valutati da un panel della Camera di Commercio.
I punti 4 e 5, invece, danno libero sfogo alla soggettività dell'assaggiatore. Non c'è alcuna norma o legge che stabilisca come si debba procedere. Tutto è lasciato alla libera iniziativa dell'organizzatore o promotore del premio o della guida o della degustazione. Come per fiere, eventi ed altro il produttore dovrà quindi sincerarsi della serietà dei soggetti coinvolti e dell'utilità dell'iniziativa prima di aderire o inviare campioni. Libero mercato. In questo caso è legittimo chiedersi se siano gli assaggiatori i soggetti più adeguati per giudicare, soggettivamente, un extra vergine. Se non debbano, ad esempio, essere anche consumatori e chef. Se le formule di guide e concorsi non debbano innovarsi, ma sono riflessioni che prescindono completamente dal ruolo e dalla professionalità dell'assaggiatore per addentrarsi nei meandri dell'opportunità.
Un saluto
Alberto Grimelli

Raffaele  Giannone
Raffaele Giannone
21 maggio 2013 ore 19:02

UNA VOCE FUORI DAL CORO.
Forse stonerò, forse disturbo il rassicurante ed autoreferenziale coro degli scandalizzati puristi, ma come sempre dico la mia e invito tutti a riflettere, me compreso.
L'antica culla mediterranea ha donato al mondo tanti valori, olivi e filosofia, storia e alfabeti, religioni e tecnologie e fra tanto giova ricordare il famoso: summum ius, summa inuria.
Cercando di liberarmi dalle italiche consuetudini guelfo-ghibelline, dal muro contro muro, dal manicheismo o, peggio, dalla spocchia culturale, proviamo a valutare criticamente, ma laicamente, la cosiddetta "rivoluzione deoleana".

Passi l'accettazione positivista che almeno le analisi chimiche siano (come sono) un discrimine "oggettivo" sul fatto che ci si trovi davanti ad un olio d'oliva, piuttosto che di fronte ad un succo d'arancia e, pertanto, benvengano contenuto di acido oleico, palmitico, perossidi, DeltaK, e chi più ne ha più ne metta.

Ma perchè non vedere un sottile vizio occulto nel pretendere di classificare, definire, inquadrare gli oli d'oliva, per definizione naturale TUTTI diversi l'uno dall'altro, con un articolato, serio, circostanziato, ma pur sempre soggettivo parere di assaggiatori??

Mi spingo in un ardito paragone: è come se ( e chi ci riesce questo si è un adulteratore..) imponessimo ai verdicchi o ai cirò di essere sempre "stretti" in quella camicia di forza del retrogusto di susina o di mandorla amara, per ogni annata, per ogni giacitura di terreno, per ogni esposizione, per ogni vinificatore...
Grazie a Dio la natura non è così "antropomorfizzabile" e ogni anno, giorno e ora di dona meraviglie sempre diverse, anche se simili, e fra queste brilla il nostro amato olio d'oliva o come meglio volete chiamarlo.

Perdonatemi la (finta) ingenuità e buon lavoro a tutti.
Raffaele Giannone

Redazione Teatro Naturale
Redazione Teatro Naturale
19 maggio 2013 ore 09:11

Gentile Alberto,

direi, finalmente le carte si smazzano e comincia la partita.

Credo che Deoleo non possa fare altro che quanto sta facendo. Che lo faccia a nome Deoleo è legittimo. Che lo faccia a nome "olio extravergine di oliva" è certo meno legittimo.

La teoria che l'olio sia inodore, incolore, insapore è quella dei lubrificanti: peraltro bisognerebbe dire a Deoleo che i migliori lubrificanti per autovetture  sono piazzati al modesto costo di 25/30 euro litro e le case produttrici giustificano il livello, con la ragione che "la raffinazione è una cosa raffinata e costa".

E' ancora meno legittimo il fatto che Deoleo, sono certo, si permetterà di raccontarci che i consumatori vorranno preferire il prodotto Deoleo  e, su quella base giustificare interventi istituzionali.

Peraltro, la decisione di Deoleo era matura, nel senso che era ora, e ratifica l'impostazione che sul piano marketing  (non quello speculativo, oggi di gran moda, ma quello di una volta) abbiamo da tempo definito: da una parte ci stanno gli oli extravergini industriali e, dall'altra gli oli extravergini artigianali.

Sempre sul piano marketing "di una volta", se Deoleo pensa veramente di fare la guerra agli altri oli vegetali con l'olio extravergine di oliva,  mi prenoto una sedia in prima fila: voglio proprio vedere come finisce. Battaglie così sono sempre più rare, ma quando succedono, sono da gustare. Se invece la raccontano per fare la guerra agli altri produttori di extravergine, allora sto in prima fila, senza la sedia.

Deoleo ha capitalizzato, nel tempo e con il diritto della forza, i valori propri dell'olio extravergine tout court e ha messo nell'angolo le piccole imprese (italiane). Un'operazione poco corretta ma sopportabile. Sai com'è, al mio paese dicono: è il mercato, bellezza !!

Se Deoleo intende cancellare con una gomma istituzionale i valori propri di una nicchia di mercato che resiste, nonostante le intemperie, mi sembrerebbe troppo.

Alla fine, per guardare il bicchiere che si sta riempiendo, ben venga la proposta dei Deoleo:
noi andiamo da un'altra parte, con 'idea di chiudere bene tutte le porte per evitare spifferi e contagi futuri.

Saluti

Gigi Mozzi

Emilio Conti
Emilio Conti
18 maggio 2013 ore 16:34


In giro per il mondo c'è tantissima gente che capisce di olio seriamente sapendo discernere le migliori caratteristiche salutistiche ed organolettiche, come ci sono tantissimi commercianti che pur riconoscendo le migliori caratteristiche inseguono il mercato con i suoi prezzi. Nulla di scandaloso, chi oggi compra gli oli Deoleo li comprerà sempre, dobbiamo essere NoiItaliani a proporre grandi qualità che si differenziano nettamente da Deoleo, invece seguiamo la scia e ci rompiamo la testa.
Nei paesi di nuova produzione le qualità sono eccellenti con produzioni quantitativamente significative, come vogliamo competere se non cambiamo il nostro modo di vedere, ci vuole un rinascimento culturale sull'olio.
Mi chiedo, quanti oliandoli artigiani visitano aziende olivicole nell'emisfero sud per capire come vanno le cose? E' facile pontificare stando seduti in poltrona e pretendere di essere i migliori al mondo.
Da sempre il mercato fa la selezione ed ognuno può ritagliarsi la sua fetta, il problema è che vogliamo invadere sempre lo spazio altrui. Non penso che Deoleo voglia sovvertire il mercato, cerca solo di avere il favore delle norme per vendere ed aumentare la quota del 3%. E' una logica errata come considero errato in Italia legiferare ogni giorno sull'olio per il bene delle oligarchie olivicole e a danno della filiera.
Gent.mo Gianluca Ricchi, mi sembra che sogni ad occhi aperti.
W l'olio afrodisiaco o lubrisex, ma attenzione il lampante puzza ci vuole un gran fruttato.

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
18 maggio 2013 ore 14:48

E perchè no “ l’olio afrodisiaco” o “l’olio dalle prestazioni notturne infinite”. Ma si, azzeriamo tutto, via questi assaggiatori che mettono in dubbio le meraviglie degli oli a basso prezzo (e non solo), via tutti questi fardelli chimici che impediscono di commerciare oli sempre migliori; adesso anche gli alchilesteri ci si sono messi di mezzo,non se ne po' piu' !!!!! Addirittura c’è uno che vorrebbe introdurre anche il DNA come metodo per scoprire le frodi che riguardano l’origine degli oli !!!! Via tutto, bisogna fidarci, basta fare un giro in un supermercato e acquistare una cinquantina di euro di oli per capire da subito le buone intenzioni di chi vuole fare tabula rasa di quello che è stato fatto negli anni.E la formazione del consumatore? Ma certo, gli ideatori di questa proposta punteranno sicuramente a creare consumatori consapevoli, che sappiano l'importanza dell'amaro e il piccante, della pulizia dei profumi.E i difetti? Nessun problema, il nuovo consumatore li riconoscerà al volo.Quindi a che servono tutte queste leggi e assaggiatori, il consumatore verrà sicuramente addestrato e formato,ci penserà da solo a scegliere il meglio o il miglior qualità prezzo.Sicuro,sicuro,sicuro.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
18 maggio 2013 ore 11:46

Gentile Sig. Ricchi,
personalmente trovo una grande differenza di approccio tra il progetto di Aifo e quello di Deoleo.
Aifo, da quello che mi risulta, non vuole sostituire la categoria commerciale olio extra vergine d'oliva, ma affiancarci la dizione artigianale. Non si tratta, per la verità, neanche di un'idea originalissima visto che già esistono le birre artigianali, il gelato artigianale, il pane artigianale, la pasta artigianale... Quello che Aifo ha fatto è stato di riproporre un modello vincente anche per l'olio d'oliva. L'idea non è nuova, dunque, ma applicarla allo statico mondo dell'extra vergine ha in sé germi di innovazione assolutamente apprezzabili. E' chiaro che ora far funzionare la macchina è compito dei frantoiani. Non ci piove. Se ne sono assunti onori e oneri. Può risultare un successo o un incredibile buco nell'acqua. La responsabilità, l'ho detto anche pubblicamente, ricade interamente sulle loro spalle.
Mi pare che l'operazione lanciata da Deoleo sia diversa, volendo invece incidere sulla denominazione commerciale, ovvero su extra vergine d'oliva, sostituendola con altre formule o dizioni che dovrebbero avvicinarsi alle esigenze dei nuovi consumatori. Nuove denominazioni commerciali per nuovi prodotti, ivi compreso l'olio d'oliva inodore e incolore, già presente in alcuni paesi con nomi fantasiosi come pure o light olive oil.
La differenza sostanziale tra i due approcci è che mentre quello dei frantoiani non va a incidere sul business dell'industria olearia, non è affatto detto che valga anche il contrario. Come ho cercato di spiegare nell'articolo, svincolare l'extra vergine (o come si chiamerà) dal territorio, dalle tradizioni e dalla storia mediterranea significa portar via ai produttori elementi di differenziazioni tanto reali quanto vitali per la loro sopravvivenza.
In sintesi, a mio avviso, il progetto di Aifo non mette a rischio la sopravvivenza di Deoleo. Il progetto di Deoleo può invece mettere a rischio la sopravvivenza di Aifo (ovvero dei suoi associati).
Infine. Non è la prima volta, negli ultimi due-tre anni, che sento minacce, da parte dell'industria olearia o di suoi esponenti, di andarsene dall'Italia, all'accenno di critiche o di una discussione che non si incardina lungo il percorso desiderato. Naturalmente si tratta di una posizione legittima ma in cui avverto un vago sapore ricattatorio: o si fa come dico io o io me ne vado.
L'industria olearia ha diritto a sopravvivere, ma questo vale anche per il mondo della produzione.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

Rolando Guerriero
Rolando Guerriero
18 maggio 2013 ore 11:26

Strana proposta quella della Deoleo: a lungo (?) andare suicida! Così qualsiasi industria olearea, indipendentemente da ambiente, clima, tradizione oleicola, varietà, potrà creare l'olio corrispondente ai desideri del consumatore del momento, teorizzato dai sapientoni del marketing, con industrie ubicate nei luoghi più favorevoli per la raccolta ......dei capitali (Honk Kong, NEW YORK, CRIMEA, DUBAI ecc), tanto l'olivo e gli olivicoltori sono solo un otional!

GIANLUCA RICCHI
GIANLUCA RICCHI
18 maggio 2013 ore 08:54

Non si preoccupi caro Grimelli perchè per questo paese il futuro sarà L'A.I.F.O.(Associazione Italiana Frantoiani Oleari)ovvero l'olio artigianale. Se non sbaglio lei sa di cosa sto parlando e della politica che stanno portando avanti. Deoleo è un'impresa spagnola che a breve se ne tornerà a casa sua. Altre imprese stanno pensando di andarsene, altre a breve lo faranno, e così finalmente ci dedicheremo soltanto al vero extra vergine di oliva 100% italiano dal campo alla bottiglia. Smetteremo così di importare dai paesi di produzione le porcherie,e con grande fierezza lavoreremo per i pochi eletti la vera e garantita qualità smettendo di ingannare il consumatore. Eppure sembra incredibile ma finirà davvero così.

Emanuele Aymerich
Emanuele Aymerich
18 maggio 2013 ore 01:56

Non farebbero altro che aggiungere valore alle DOP che diventerebbero l'unica garanzia di qualità ufficialmente riconosciuta. A quel punto, nel giro di due anni il consumatore imparerà che tutto quello che non ha il marchio DOP va considerato scadente, e in Italia siamo pieni di DOP. Quindi ben vengano le classificazioni di fantasia per le multinazionali dell'olio scadente che in questo modo si faranno riconoscere, cosi finalmente la qualità sarà ben differenziata e finalmente le DOP cominceranno a dare qualche frutto economico ai produttori.