Bio e Natura 10/01/2014

Le piante geneticamente modificate troveranno spazio quando offriranno vantaggi all'intera società

Un nuovo filone si sta sviluppando sul transgenico, quello legato alla nutraceutica. Si creano nuove varietà con proprietà nutrizionali e salutistiche vantaggiose. E' il caso della soia geneticamente modificata priva di acidi grassi trans. Sarà sempre più difficile dire di no


E’ mia ferma convinzione che le Piante Geneticamente Modificate (PGM) abbiano incontrato tante contrarietà perché le prime proposte favorivano solamente gli agricoltori, spostando solo gli equilibri degli intrans nella tecnica agricola delle coltivazioni, ma non i consumatori. La propaganda contro, pertanto, ha avuto buon gioco, non solo, ma la prima PGM nutraceutica che è il riso “dorato”, contenente nei suoi chicchi molto carotene, da qui il nome, ha scatenato tali e tante campagne denigratorie e perfino atti vandalici distruttivi per ritardarne l’introduzione e disvelare così che la tecnica biotecnologica di trasferimento di geni è in se una tecnica neutra. Si precisa che nei popoli del terzo mondo gli scarsi contenuti di vitamina A nella dieta esclusivamente a base di riso bianco determina malattie della vista che sfociano nella cecità precoce.

E’ di questi giorni la notizia che due multinazionali del seme, Monsanto e DuPont-Pioneer, hanno pronta ciascuna una soia transgenica (Vistive Gold e Plenish), il cui olio è privato degli acidi grassi “trans”, vale dire i “grassi cattivi” per il nostro corpo perché aumentano il colesterolo cattivo e soprattutto viene molto aumentato il contenuto in acido oleico. Si rammenta che l’olio di soia è quello più consumato nel mondo (26 milioni di t ossia copre il 40% del consumo mondiale), assieme all’olio di palma 23 milioni e anch’esso accusato di essere un grasso cattivo appunto per la presenza di acidi grassi trans, seguito a distanza dagli altri oli, nell’ordine colza, girasole, arachide e cotone. Buon ultimo tra i principali oli arriva l’olio d’oliva con 2,5 milioni di t.

Tuttavia per poter comprendere meglio la portata della questione sanitaria della composizione dei grassi, occorre spaziare anche nell’uso tecnologico dei vari grassi disponibili. Concetto preliminare è anche quello che nelle nostre società è molto più il consumo indiretto dei grassi (attraverso cibi trasformati e preparati, che l’uso diretto, tramite l’oliera della cucina). Ora allo stato di olio liquido non vi sono oli particolarmente nocivi, al massimo ve ne sono dei migliori (come l’olio d’oliva) e di quelli un po’ meno, ma sicuramente non nocivi, come pure ve ne sono di migliori per friggere e di meno adatti, come ad esempio l’olio di soia. Altro aspetto è il contenuto di acidi grassi e del loro grado di saturazione e poi anche l’essenzialità di un acido grasso, cioè a capacità o meno del corpo umano di formarli, come ad esempio l’acido linoleico e l’acido alfa-linolenico; il primo è il precursore della serie Omega-6 ed il secondo della serie Omega-3. Esistono, poi, tre gruppi di acidi grassi in funzione del loro grado di saturazione dei legami chimici carbonio-idrogeno: quelli saturi dove tutti i legami chimici dell’atomo di carbonio sono saturati da altrettanti atomi di idrogeno (es acido palmitico, stearico è butirrico), mentre sono detti insaturi quando non vi è completa saturazione con altrettanti atomi di idrogeno ed allora si generano dei doppi legami tra due atomi di carbonio. Se ne manca uno solo dei legami si parla di acido grasso monoinsaturo (acido oleico ad es.) se invece di atomi di idrogeno ne mancano due o più si parla di acidi grassi polinsaturi (es. acido linoleico e alfa-linolenico particolarmente presenti nell’olio di soia). Il grado di saturazione degli acidi grassi che compongono una materia grassa implica una consistenza fisica diversa: maggiore è la percentuale di acidi grassi saturi maggiore è la solidità del grasso, invece minore è la loro presenza e maggiore quella dei monoinsaturi e polinsaturi più marcata è la liquidità del grasso (che in questo caso si chiamano “oli”). Le indicazioni dietetiche ci dicono che il totale dei grassi ingeriti nelle giuste proporzioni dovrebbe essere composto da un 55% circa di a.grassi monoinsaturi, il 20% da polinsaturi (almeno 12 grammi al giorno) ed il 25% da grassi saturi che, però, al massimo dovrebbero rappresentare il 10% delle calorie ingerite giornalmente. Inoltre il grado di non saturazione degli acidi che compongono un olio influenza l’ossidazione dello stesso, vale dire la sostituzione dell’ossigeno con l’idrogeno, il che favorisce l’irrancidimento della materia grassa.

Passiamo ora agli aspetti tecnologici. E’ evidente che l’industria nel fare i propri alimenti preparati non può esimersi dall’includere grassi, sono quelli che danno maggiore appetibilità all’alimento, ma non può permettersi neppure che il grasso immesso irrancidisca presto, ne va della conservazione, non solo, ma preferisce usare grassi allo stato semisolido. La scelta dunque cade prima di tutto sui costi di queste materie prime e poi sull’evitare i due difetti appena accennati (irrancidimento e stato non liquido). Inoltre vi è anche l’aspetto che gli acidi grassi liberi di una sostanza grassa hanno sapori sgradevoli. Ora visto che le qualità alimentari industriali è una questione di più o meno saturazione si procede preliminarmente ad un trattamento industriale di idrogenazione che satura tutti i legami e non li lascia liberi di combinarsi con l’ossigeno e solidifica così il grasso. Tuttavia il processo di idrogenazione non può spingersi oltre, in quanto una saturazione eccessiva mantiene la dannosità salutistica del grasso, ecco che allora si è optato su una idrogenazione parziale. Purtroppo ci si è accorti che quel 30/40% di acidi grassi non saturati nel processo industriale predetto presentano molecole che cambiano di configurazione spaziale: da “cis” forma naturale, si modificano in “trans”, vale a dire una forma che innalza il tasso di colesterolo cattivo.

In natura preponderante è la forma “cis” degli acidi grassi e non la forma “trans”, ma comunque ve n’è una certa percentuale. Ebbene Monsanto e DuPOont-Pioneer hanno modificato la composizione in acidi grassi della soia aumentando di molto il tasso di acido oleico, che ricordiamo essere presente nell’olio d’oliva nella percentuale del 60/80%, conferendo così all’olio di soia un comportamento più stabile alle alte temperature (frittura), ossia elevandone il “punto di fumo”. Inoltre, l’acido oleico ha anche azione ipotensiva e di antiossidante.

Torniamo ora alla questione degli OGM che l’Europa rifiuta. Innanzitutto dobbiamo dire subito che la questione non interessa al consumatore che l’olio derivi da soia modificata geneticamente o meno, in quanto nell’olio non esiste il transgene, perché formato esclusivamente da materie grasse e non anche da sostanze proteiche, le sole che possono contenere il transgene. Pertanto il dire no a questo olio da parte del consumatore per il rifiuto degli OGM non ha senso ed il rifiuto diverrebbe solo un vero e proprio tabù irragionevole e ideologico. E’ altrettanto vero che noi italiani potremmo dire che non abbiamo bisogno di mangiare questo olio perché abbiamo abbondanza di olio d’oliva. Tuttavia noi siamo tributari dei panelli di soia degrassata per l’alimentazione animale e la creazione dei relativi mangimi, quindi, data la nostra totale dipendenza dall’estero, l’OGM che vorremmo lasciare fuori dalla porta ci rientra dalla finestra sotto forma di panello proteico, transgenico. Si comprende che dire che l’OGM fa male all’uomo e non agli animali è abbastanza illogico. Cade inoltre ogni remora al rifiuto dell’olio di soia, in quanto la composizione oleica si avvicina molto a quella dell’olio d’oliva, la chimica, infatti, ci dice che le due molecole sono esattamente identiche.

In conclusione, all’aumento di proposte di queste PGM che danno derrate idonee alle esigenze salutistiche o tecnologiche del consumatore e ne soddisferanno sempre più i bisogni, sarà sempre più difficile dire di no. Inoltre sicuramente saranno meno costose e fatte oggetto di attenti studi igienico-salutistici più di ogni altra derrata che entra sulle nostre tavole. Se poi anche riuscissimo a farlo, potrà l’Europa tutta rimanere in continuazione sull’Aventino di fronte a questa nuova generazione di OGM? L’economia potrà sopportare questa forma velata di autarchia? La nostra partecipazione al consesso degli organismi internazionali del commercio potrà rimanere scevra da condanne e ritorsioni sull’esportazione del Made in Italy e dei prodotti europei in genere? I nostri salumi ed il nostro parmigiano-reggiano sono già nel mirino dell’Inghilterra per essere cibi ad alto contenuto di acidi grassi saturi. Gli episodi potrebbero moltiplicarsi. La Francia sa che presto sarà chiamata a giustificare in sede WTO la sua chiusura al mais MON 810, non avendo mai potuto dimostrare le ragioni scientifiche del rifiuto, e nel non far entrare nei suoi territori una semente legale a tutti gli effetti.

di Alberto Guidorzi

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Commenti 4

Diego Leva
Diego Leva
14 gennaio 2014 ore 23:05

@La Pira i semi OGM per la fantastiliardesima volta NON sono sterili, della serie "Bufale dure a morire"

Veronica Malzacher
Veronica Malzacher
12 gennaio 2014 ore 11:26

.... il consumatore si che si interessa, se una pianta è OGM o meno - per fortuna non ha voglia di farsi dipendere dall'industria agroalimentare! E assurdo questo articolo.

mario rossi
mario rossi
11 gennaio 2014 ore 17:57

Come olivicoltore di olio extravergine di oliva sono molto contento che con la soia OGM si faccia un olio uguale/simile al mio.

ma come fate a dare spazio a queste stupidaggini?

Roberto La Pira
Roberto La Pira
11 gennaio 2014 ore 12:07

Bell'articolo complimenti, ma c'è un aspetto a considerare. La coltivazione e la probabile invasione di soia alto oleico provocherebbe una monocoltura a discapito della biodiversità, e questo non è certo positivo per l'ambiente. C'è poi la dipendenza dalle multinazionali trattandosi di semi sterili. Perché non arrivare allo stesso risultato con incroci non OGM