A regola d'arte 23/05/2014

Cosa ci fa uno chef al Cern? Cerca vie non scontate, anche per l'extra vergine in cucina

Il ristorante Mistral è una tappa irrinunciabile per i gourmet che vogliono vivere il lago di Como in tutta la sua essenza e le sue emozioni. Ettore Bocchia ci mette però in guardia: “non faccio spettacolo; lavoro per sublimare l’essenza del prodotto”


La riflessione intorno all’olio extravergine d’oliva iniziata con Ettore Bocchia qualche mese fa a Canino, nella tenuta I&P, continua al tavolo del ristorante Mistral, del grande Hotel Villa Serbelloni che gode, indiscutibilmente, dello sguardo più bello sul Lago di Como, dominando il centro lago e la tremezzina. Come dire che questo è uno di quei luoghi che uniscono alla bellezza naturalistica un potere quasi ipnotico che suscitano serenità.

Ma torniamo all’olio e al pensiero di Bocchia. E torniamo alla sfida di intervistare il cuoco della cucina molecolare famoso per aver per primo al mondo portato l’azoto in cucina o per le fritture in una miscela di zuccheri. Parmense di origine, dal 1992 è l’Executive Chef a Bellagio e, solo dieci anni dopo, ha fondato la Cucina Molecolare Italiana che non è in contraddizione anzi esalta il suo amore per la cucina tradizionale e l’utilizzo di prodotti esclusivamente naturali. Lo si incontra raramente nelle kermesse culinarie piuttosto grazie alla ricerca costante di spiegazioni oggettive applicate alla cucina e alle indagini sulla composizione della materia, al Festival della scienza di Genova, al Physics on Stage di Estec, al CERN di Ginevra o più recentemente al Festival della Scienza di Bergamo .

Con Bocchia si intraprendono sempre strade poco scontate e, ammettiamolo, ne sentivamo la mancanza.

- Si considera più artista o artigiano?

Opero da artigiano, perché la mia finalità è quella di far si che il commensale si nutra, e ne ricavi piacere e benessere. Tuttavia sento con certi piatti le medesime emozioni di quelle che una grande opera d’arte mi provoca. Per ciò, considero alcuni miei colleghi veri artisti, come ad esempio Pino Cuttaia. E quando i nostri clienti si emozionano per ciò che hanno gustato, allora so che siamo al confine tra artigianato e arte.

Da sempre lavoro su cosa susciti le emozioni, intendo le uniche interessanti ossia quelle sincere che lasciano una impronta profonda in noi, non quelle studiate a tavolino, ma quelle che richiedono di mettersi a nudo. Cosi sono arrivato a sintetizzare 30 anni di mestiere in questo moto “l’autentica essenza dell’invisibile”. Non faccio spettacolo; lavoro per sublimare l’essenza del prodotto, perciò mi serve la conoscenza delle interazioni molecolari, ed anche oltre la conoscenza scientifica attuale, ciò che rimane da spiegare, ossia la parte di anima che ha impregnato il prodotto dalla natura sino al piatto.

Da qui si giunge ad un nuovo modo di degustare il prodotto. Al di là del difetto di un olio, o di un vino, c’è la perfezione dell’imperfetto. Quella totale sincerità del prodotto, che si sente quando l’uomo preparato e competente riesce ad accompagnare la natura, senza scorciatoie, o trucchi, che ne alterino l’essenza, per raggiungere il migliore risultato possibile in quel frangente. Cosi un Lafite Rothschild 67 degustato di recente, si è rivelato per un verso tecnicamente imperfetto, ma ciò nonostante la sua verità era proprio quella sublime imperfezione.

Il giudizio tecnico di un olio a mio avviso non può fare astrazione del fatto che magari l’intensità del verde è stata ottenuta più dalle foglie che dal frutto. L’unica strada per essere credibili e liberi è la conoscenza.

- Qual è il rapporto con la materia prima di un territorio come quello dove opera, il lago di Como. Spettacolare dal punto di vista paesaggistico ma notoriamente povero di prodotti e di tradizioni gastronomiche?

La qualità della materia prima dipende dall’ambiente ma anche molto dagli uomini. Qui, forse si potrebbe fare di più e mi auguro che in futuro ci sia chi abbia voglia di migliorare la qualità di certe produzioni. Ad esempio l’olio. L’oliva del lago è ben identificabile, ed interessante. Ma dopo aver degustato tutti gli oli prodotti sul lago, mi dispiace costatare che nessun produttore ha investito in un frantoio suo, ne nelle conoscenze più aggiornate per migliorare la cura della pianta, e ahimè, si sente in bocca.

Anche quest’anno ho fatto 14.000 chilometri per incontrare aziende, selezionando i prodotti. Esistono realtà di livello altissimo in Italia, che potrebbero invidiarci persino i Francesi, ma sono poco aiutate, e fanno fatica a trovare mercato per via di una cultura mediamente più bassa nel mio settore che presso i miei colleghi oltre alpi.

Detto questo mi piace rilevare che nonostante le difficoltà sul Lago di Como ora possiamo essere orgogliosi di avere l’alta cucina in tre grandi alberghi: da noi la squadra si è arricchita di una nuova risorsa strategica di grande esperienza, il maître Carlo Pierato, Gualtiero Marchesi è consulente del Grand Hotel Tremezzo e Paolo Lo Priore è da poco sbarcato al Grand Hotel di Como.

- Come utilizza l’olio extravergine d’oliva?

Negli ultimi dieci anni abbiamo utilizzato molto l’olio d’oliva per immersione. Non superando i 155° è una materia grassa perfetta per stabilizzare i punti di cottura, mantenere il colore, non deteriorando le fibre proteiche. Così prodotti che non abbiano quantità nervose alte, come il baccalà o il salmone, cuociono uniformemente, mantenendo intatta la qualità.

- Quali oli predilige?
Utilizzo gli oli monocultivar caninesi di Paolo Borzatta che trovo eleganti, setosi, chiudono con nota acida che equilibra piatti dolci in chiusura. Non prevaricano ma contribuiscono alla sfericità del piatto, esaltandola.

In questi oli si sente che il rapporto uomo natura è in equilibrio, e anche quando hanno difetti, suonano veri.

E qui si torna al discorso di partenza, sentire l’invisibile…

 

di Rosa Artusi

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