Massime e memorie 03/05/2008

Le mille facce dell’olio, il gusto e la passione

In un romanzo di Raffaele Gorgoni, c’è una scena da fissare in mente: “Don Ottavio si piazzava sott’al frantoio a rompere i coglioni, ad annusare, assaggiare e doveva dire la sua su tutto…”


(…) A tavola Don Ottavio non era facile da contentare. (…) L’olio poi, una sofisticheria tremenda. Il massaro si dannava a farglielo con la coratina per le frise, con la leccina per il pane, con le nardole per i pomodori, ma Don Ottavio teneva la fissazione che sulla rùcula voleva l’olio di nociara. Tutte le specie di olive teneva piantate e da tutte andava fatto un certo olio e come diceva lui che lo pretendeva vergine di prima stretta.

Ogni anno, dai Morti a Natale era un ammuìno che Don Ottavio si piazzava sott’al frantoio a rompere i coglioni, ad annusare, assaggiare e doveva dire la sua su tutto e che se in uno stuppillo di Cima di Melfi si mettevano due francate di nocellara del Belice veniva più fruttato e che l’ogliarola voleva l’appoggio di un mezzo quinto di annolche così pizzica, che l’olio di frantoiana andava messo addirittura in una botte che lui desiderava che prendesse un sapore di legno. E tutti i campioni finivano in certe bottiglie di un vetro sottile che il conte si faceva arrivare da Venezia, per potersi guardare bene il colore in faccia al sole.

Raffaele Gorgoni


Testo tratto da: Raffaele Gorgoni, L’oratorio della peste. Il segreto di Lecce, romanzo, Besa Editrice, Nardò 2005

di T N