Mondo Enoico 07/07/2007

VINO AL VINO. LA COMUNICAZIONE E' UN CONTINUO METTERSI IN GIOCO. OCCORRE STARE IN GUARDIA, PERCHE' L'ECCESSO DI DIVULGAZIONE RISCHIA DI BANALIZZARE UNA BEVANDA CHE MERITA MAGGIORE RISPETTO

Il re dei blogger, Franco Ziliani, risponde alle nostre sollecitazioni: "oltre a tanti venditori di fumo e furbetti, ci sono tante persone serie, che lavorano in vigna e in cantina senza ricorrere a scorciatoie e sotterfugi". Con lui si parla di alcuni prodotti finti esclusivi perché vuoti d'anima, ma anche di vini noiosi e seriali, privi di radicamento con il territorio, e di altro


Franco Ziliani è un nome noto nel mondo del vino. Giornalista di chiara fama, forse anche un po' antipatico perché controcorrente, di questa bevanda conosce molto, ma soprattutto conosce vizi e virtù di chi nel comparto del vino vi lavora. Il suo blog, "vino al vino", è tra i più seguiti (link esterno), ma la sua firma compare su diverse testate del settore, italiane ed estere, dal "Corriere vinicolo" a "VQ", da "Harpers" a "Decanter", ad altre ancora.



Cosa bisogna comunicare a chi è a digiuno del comparto vinicolo?
Difficile sapere cosa comunicare e come a questo tipo di persone. Io diffido dall’eccesso di divulgazione, perché rischia di portare alla banalizzazione del discorso. Certo, eviterei tecnicismi e discorsi da addetti ai lavori, ma mi sforzerei - questo quantomeno è il mio modo di fare con il mio blog "Vino al Vino", che si rivolge un po’ a tutti, ma soprattutto a chi condivide la mia passionaccia per il vino - di raccontare con sincerità che cos’è il vino oggi, quali siano i suoi pregi, quali le sue contraddizioni, quali le sue (tante) falsità, di mettere in luce che oltre a tanti venditori di fumo e furbetti ci sono tante persone serie, che lavorano in vigna ed in cantina senza ricorrere a scorciatoie e sotterfugi, che si sforzano di fare vino vero. Io, come ho scritto in un post pubblicato alcuni mesi fa, avverto sempre un obbligo di sincerità verso chi mi legge o mi ascolta quando tengo delle serate in giro per l’Italia. E questa sincerità, questo mettersi in gioco, credo che paghi.

E i tanti blog sulvino, sono attendibili?
Come accade in ogni campo dell’informazione, anche nel campo dei blog (perché i blog appartengono al campo dell’informazione e praticano un’altra idea, più immediata, di comunicazione) ci sono blog attendibili, perché condotti da persone attendibili, capaci, che conoscono la materia di cui si occupano, che sanno fare opinione, che si inseriscono nel dibattito sul vino, e ci sono blog fasulli, che riciclano aria fritta, che raccontano che l’acqua è bagnata e la palla rotonda. Sta all’appassionato – lettore – visitatore di questi blog capire che aria tiri, se il racconto sia autentico, se le cose che vengono scritte siano interessanti, oppure no, e decidere pertanto se continuare a seguirli, a farsi coinvolgere nelle discussioni che vengono proposte, oppure passare ad altro. Non si tratta tanto di vedere se questi blog siano fatti da giornalisti o da semplici appassionati. Nel campo del vino e della cucina ci sono blog condotti da giornalisti che non hanno niente da dire, che non hanno capito lo spirito libero, indipendente, anche un po’ irriverente del blog, e ci sono blog animati da persone che nella vita si occupano di tutt’altro, ma che quando scrivano e si occupano di vino ci mettono grande passione ed entusiasmo e quindi diventano interessanti, affidabili, di riferimento. Credo che il fenomeno dei blog meriti di essere seguito con attenzione.

I prezzi del vino sono un indicatore per effettuare delle scelte per il
consumatore?

Qualcuno amava dire che più si spende e meglio si beve, ma credo che questa cosa non sia vera, perché ci sono vini molto costosi, cito due esempi, il Barolo Monfortino di Giacomo Conterno e il Brunello di Montalcino di Case Basse – Soldera, che sono però grandissimi vini dalla qualità indiscutibile, ed esiste invece una pletora di vini cari, che si collocano nella fascia dei 30-40 euro e più, che non esprimono nessuna grande qualità, che puntano sul loro essere cari, o “esclusivi”, come dicono, perché “firmati” dall’enologo à la page, perché l’azienda ha speso un sacco di soldi e marketing e comunicazione, o per farsi griffare la cantina dall’architetto alla moda, per farsi notare, per dare un segno della loro presenza. Ci sono invece ottimi vini, seri, affidabili, dal grande rapporto prezzo – qualità, che costano poco, perché il produttore non si è montato la testa, perché desidera vendere e dialogare e comunicare con il consumatore e non ritrovarsi magari le cantine piene a furia di praticare prezzi altissimi che il consumatore non è più disposto ad accettare.

Qual è la moda del vino in cui non crede e che non accetta?
Non credo nella moda dei vini fatti per le guide e non pensati per il consumatore, vini che sono noiosi, seriali, ripetibili, privi di radicamento con il territorio, vini che non si fanno bere, che costano un sacco di soldi ma presentano una qualità che non giustifica la spesa. Non amo i vini muscolari, iperconcentrati, potenti, privi di finezza ed eleganza, i vini volgari fatti per stupire, i vini che vogliono apparire importanti ma importanti non sono affatto. Io amo i vini veri che esprimono un territorio, la voce di una terra, di un vitigno, il savoir fair del vignaiolo che cerca di portare tutti questi elementi nella bottiglia e regalare una storia, delle emozioni a chi la stappa e la beve.

Tante denominazioni d’origine sono davvero efficaci da un punto di
vista commerciale?

Direi francamente di no. Ci sono denominazioni che funzionano, che sono note non solo nella ristretta area delle denominazione ma in Italia e nel mondo, che hanno mercato. E ci sono, invece, una marea di denominazioni che sono nate non si sa bene per quale motivo, spinte da interessi politici e orgogli municipali e di campanile, che fanno fatica a stare sul mercato, che non hanno se non una circolazione ridotta. Addirittura ci sono molte denominazioni che esistono solo sulla carta, che non vengono rivendicate, che non si traducono in una produzione reale. Doc che si potrebbero benissimo revocare, come prevede peraltro la legge 164 in materia di denominazioni d’origine. Oggi invece di creare nuove denominazioni sarebbe molto meglio fare un’opera di verifica e di controllo, accorpandone diverse riferite a microaree, e mettendo in stand by quelle che di fatto non esistono.

A sedici aziende vinicole piemontesi è stato inviato il seguente invito: "stiamo realizzando un'inchiesta per soffermarci sulle questioni sollevate dal ministro Livia Turco. Ci preme sapere la sua opinione circa l'irrigidimento delle
posizioni espresse dalla Turco nei confronti del consumo del vino".
Non hanno risposto. Per quale ragione, secondo lei:
a) perché non si vogliono compromettere;
b) perché anche i piemontesi - è vero - pensano qualcosa, ma non lo esprimono in quanto chiusi a riccio nei confronti del mondo esterno;
c) perché se ne fregano.

Credo che non abbiano risposto non perché non vogliano esporsi, ma perché o non avevano tempo, oppure ritenevano che questa questione da “massimi sistemi” non li riguardi, anche se in verità li riguarda, eccome!

di Mena Aloia