Economia 01/10/2005

AGRICOLTURA BIOLOGICA. IL MADE IN ITALY SEGNA IL PASSO

Nella Conferenza nazionale sull’agricoltura biologica della Cia messe in evidenza le difficoltà del settore. In aumento le importazioni dai paesi Ue. Preoccupante battuta d’arresto dei consumi. Manca una strategia mirata e attenta alle esigenze dei produttori. Una serie di proposte per un effettivo rilancio


Il biologico “made in Italy” rallenta in maniera preoccupante e rischia di allontanarsi dalle nostre tavole. Incombe, infatti, una crescente e agguerrita concorrenza, soprattutto da parte dei paesi Ue (in particolare Spagna e Germania), che può mettere in ginocchio produttori e aziende nazionali, mentre i consumi fanno registrare un allarmante battuta d’arresto. E’ questo uno dei dati emersi oggi a Roma nel corso della Conferenza nazionale sull’agricoltura biologica promossa dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori.

D’altronde, in questi ultimi anni -è stato rilevato- abbiamo assistito, in Italia, ad un andamento altalenante dei dati riferiti alle aziende biologiche. Il nostro Paese nel 2001 aveva 60.500 aziende complessivamente interessate al settore che nel 2004 sono passate a 40.965, con una flessione del 32,30 per cento. In quattro regioni del Sud, Sardegna, Puglia, Calabria e Sicilia, si è avuto un calo del 54,12 per cento, mentre tutte le altre regioni hanno perso, complessivamente, appena l’1,73 per cento. L’Italia resta, comunque, il terzo paese nel mondo (dopo Australia ed Argentina) per superficie interessata alla coltivazione del biologico.

C’è, tuttavia, da evidenziare -è stato rimarcato nel corso della Conferenza nazionale- che negli altri paesi Ue si è avuta una consistente crescita. Tra il 2002 e il 2003 la Germania ha aumentato la sua superficie del 5,3 per cento, la Spagna del 9,1 per cento, la Francia dell’8,1 per cento, l’Austria del 10,7 per cento, la Grecia del 744,6 per cento, la Svezia (che nel frattempo è arrivata al 20 per cento della Sau totale bio) dell’11 per cento. Sono dati che indicano come i nostri partner-competitori europei hanno adottato una strategia concreta ed incisiva per lo sviluppo del settore. Una politica che oggi manca nel nostro Paese.

I bio-consumatori nel nostro Paese -è stato affermato- sono attualmente più di 20 milioni che mettono in moto un giro d’affari di 1,4 milioni di euro l’anno (pari al 3,2 per cento del settore agricolo e all’1,5 per cento di quello alimentare) nel quale si sono inserite prepotentemente le produzioni estere che, se non si interviene con azioni mirate e propulsive, rischiano di provocare preoccupanti contraccolpi alle aziende italiane.

Quindi, è quanto mai necessario -è stato affermato nel corso dei lavori- definire con maggiore determinazione il ruolo dell’agricoltura biologica che, per la Cia, rappresenta una opportunità vera di competitività per l’economia del nostro Paese. Da qui una serie di proposte.

In primo luogo il piano d’azione Italiano va finanziato con risorse adeguate, mutuando l’esperienza di altri Paesi europei che hanno investito risorse cospicue, capaci di potenziare e consolidare la base produttiva, gli strumenti a servizio della filiera, l’aggregazione del prodotto, il consumo interno.

Per la Cia è, inoltre, importante introdurre nel settore biologico elementi fondamentali di semplificazione degli adempimenti documentali obbligatori a carico delle aziende. Questo è l’elemento cruciale, insieme al costo del sistema, per la permanenza, nel regime di controllo, di alcune tipologie di aziende, in particolare le più piccole.

E’ importante -è stato sottolineato- che il disegno di legge recante “Disposizioni per favorire lo sviluppo e la competitività della produzione agricola ed agroalimentare con metodo biologico e disciplina del relativo sistema di controllo”, pur non rappresentando appieno le aspettative del settore, così come le associazioni del biologico hanno sostenuto in un recente incontro con il ministro, va approvato al più presto in quanto alcuni degli articoli in esso contenuti sono fondamentali per il riordino del sistema. Tra essi l’introduzione di un regime sanzionatorio e l’obbligo della revisione triennale dei requisiti; l’istituzione dei distretti che può semplificare la gestione della coesistenza con eventuali colture Ogm, può diventare luogo di potenziamento delle politiche di sostegno al settore e può aiutare a rendere più snello il sistema di gestione; il programma nazionale per l’informazione e la promozione è una misura indispensabile in un quadro di rilancio del settore e, in questa fase, può amplificare l’azione che già svolge, in questo campo, l’Unione europea.

Il settore, secondo la Cia, va inserito in un progetto più generale che preveda misure a favore delle imprese che investono in ricerca ed innovazione (l’esperienza maturata con il credito d’imposta può essere opportunamente riproposta).

Infine, un invito agli agricoltori ed alle loro rappresentanze a riorganizzarsi e a perseguire, con più determinazione e convinzione, la strategia della qualità certificata e l’impegno a discernere con più precisione i mercati per cui produrre. Le vicende, anche recenti, che hanno interessato l’agricoltura italiana hanno messo in evidenza -è stato sostenuto- un meccanismo distorto nella formazione del prezzo degli alimenti nel quale il ruolo della produzione risulta spesso irrilevante a causa soprattutto della frammentazione dell’offerta. Gli agricoltori, pertanto, devono fare uno sforzo in più ed associarsi rendendo possibile l’organizzazione e la commercializzazione del prodotto.

La strategia -è scaturito dalla Conferenza nazionale- deve essere duplice: da un lato tendere a consorziarsi per ridurre i costi attraverso l’utilizzo di servizi e strumenti comuni, dall’altra, fare “massa critica” con le produzioni in modo da assicurarsi un peso adeguato nella definizione dei prezzi all’origine.



Fonte: Cia

di C. S.