L'arca olearia 14/05/2005

ECCO COME GESTIRE I RESIDUI DI POTATURA DELL’OLIVO

Le consuetudini vogliono che la ramaglia venga portata fuori dal campo e bruciata. Tale pratica comporta tuttavia elevati carichi di lavoro e non si può certo definire ecocompatibile. D’altra parte, vanno considerate anche le implicazioni fitosanitarie. Non solo, va inoltre prestata attenzione al bilancio economico aziendale


Su un impianto adulto in piena produzione, a seconda che si esegua una potatura leggera o di media intensità, vengono asportati rispettivamente circa 7 Kg o 15 Kg di ramaglia per pianta. Considerando l’intero oliveto (300 piante/ha): 2.100 Kg o 4.500 Kg.
Si tratta di sostanza organica che, se reintegrata nel terreno, rispetto a un coefficiente isoumico pari a 0,15, apporterebbe rispettivamente circa 315 Kg o 675 Kg di humus.
Un reintegro di sostanza organica tutt’altro che trascurabile. Per arrivare a fornire al nostro oliveto queste quantità di humus sarebbero necessari quintali di concimi misto organici.
È evidente che la trinciatura e il successivo interramento dei residui di potatura dell’oliveto porta a indubbi benefici, oltre che sulla fertilità agronomica del suolo, anche per il bilancio aziendale.

Interramento dei residui di potatura: problematiche e consigli
Il rapporto carbonio/azoto (C/N) dei residui di potatura dell’olivo, in particolare per le parti legnose, è piuttosto elevato. Nel caso venissero interrati tout court potrebbero verificarsi fenomeni di immobilizzazione dell’azoto minerale. Infatti i microrganismi responsabili della degradazione e dell’umificazione della sostanza organica hanno necessità di un rapporto C/N vicino a 10. Nel piano di concimazione andrà quindi anche considerata questa voce di “asportazione” ed è utile prevedere un apporto di 1 Kg di azoto per quintale di residui di potatura.
Una delle ragioni per cui, soprattutto nei tempi passati, le ramaglie venivano raccolte e quindi bruciate fuori dal campo era limitare il diffondersi di patologie a carico dell’oliveto.
In particolare ci si riferiva alla rogna e agli scolitidi (o floetribo).
La rogna tuttavia può essere efficacemente controllata con trattamenti rameici ed è ora noto che i principali veicoli di infezioni sono proprio gli attrezzi di potatura.
Il controllo agronomico degli scolitidi, che prevede il posizionamento sotto chioma di legno vecchio e la sua asportazione e bruciatura a circa un mese dalla potatura (maggio), può essere anche effettuato nel caso di interramento della ramaglia. Allo scopo infatti è possibile utilizzare i rami più grossi, quelli che non verrebbero sufficientemente sminuzzati dal trinciasarmenti, e che comunque dovrebbero venire allontanati dal campo.

Gestione dei residui di potatura e inerbimento
È ovvio che nel caso l’oliveto sia inerbito permanentemente, l’interramento dei residui di potatura è impossibile. I residui di potatura, ancorchè trinciati, possono essere d’intralcio nelle operazioni di raccolta quando piccoli rametti secchi si incastrano sulle reti provocandone anche la rottura.
La possibilità di utilizzo agronomico della ramaglia è allora limitata al compostaggio, pratica poco diffusa per l’elevato carico di lavoro richiesto, o alla raccolta in balle.

Biomassa d’olivo
È noto che l’olivo ha un potere calorico piuttosto elevato e i residui di potatura, opportunamente lavorati, possono venire utilizzati sia per le grandi centrali sia per le caldaie casalinghe a biomassa.
Allo scopo di raccogliere, pressare o cippare i residui di potatura dell’olivo, sono già molte le aziende (Berti, Caeb...) che hanno predisposto modelli di macchinari adatti allo scopo.
Si tratta per lo più di attrezzature nate per la frutticoltura o l’arboricoltura modificate e non mancano le critiche e i problemi connessi al loro utilizzo in olivicoltura.
Sebbene attualmente il mercato della biomassa sia assolutamente di nicchia, sia il Libro Bianco sulle energie rinnovabili dell’Unione europea, sia il protocollo di Kyoto, sia l’alto prezzo del petrolio rendono questa strada assolutamente percorribile.
L’energia da biomassa in Italia è infatti una realtà consolidata da tempo, anche se per il momento il contributo della fonte biogena alla copertura di fabbisogno energetico nazionale è molto modesto: nel 1995 solamente 1,9 % dei consumi globali di energia primaria proveniva dal legno e dai rifiuti solidi agro-industriali.

di Alberto Grimelli