L'arca olearia 12/03/2011

Lo strano caso degli alchil-esteri

Non c’è pace nel mondo dell’olio. Troppe pressioni mediatiche stanno mettendo in discussione il Reg. Ue 61/2011. Il professor Maurizio Servili ci aiuta a far chiarezza e a sgombrare il campo dagli allarmismi




In relazione alle attuali polemiche uscite sulla stampa nazionale riguardanti l’entrata in vigore del nuovo regolamento (UE) no 61/2011 relativo alla ufficializzazione del metodo analitico ed alla definizione dei limiti per gli esteri metilici e gli esteri etilici degli acidi grassi (alchil-esteri) negli oli extravergini di oliva, si crede opportuno precisare quanto segue.

Il metodo, come recita la norma stessa nell’allegato II, è stato inserito come parametro atto a preservare la qualità degli oli extravergini di oliva dall’aggiunta fraudolenta di oli di scarso valore qualitativo quali oli lampanti o deodorati. Di fatto quindi ha lo scopo di tutelare la qualità del prodotto e non, come erroneamente è stato detto, ad autorizzare l’aggiunta di oli lampanti o deodorati agli oli vergini di oliva. Gli alchil-esteri si formano infatti dall’esterificazione degli acidi grassi liberi con l’alcol metilico che deriva dall’idrolisi delle pectine costitutive del frutto dell’oliva per azione delle pectin-metil-esterasi endogene ed alcol etilico dovuto ai processi fermentativi a carco degli zuccheri costitutivi del frutto. Tutto ciò avviene in prevalenza quando le olive vengono stoccate per periodi più o meno lunghi, dopo la raccolta e prima dell’estrazione meccanica dell’olio.

Un olio extravergine di alta qualità quindi, che tra le altre cose deve essere prodotto evitando la conservazione del frutto, sarà caratterizzato da valori degli alchil-esteri molto bassi e sicuramente ampiamente inferiori al livello massimo di 75mg/Kg riportato dal Reg. UE no 61/2011.
Ora mi domando dove sarebbe lo scandalo
, da anni sappiamo che buona parte dei limiti imposti per la classe degli extravergini sono relativi a valori di massimo e che, quindi, all’interno della stessa classe commerciale si collocano prodotti con livelli qualitativi diversi, valutati sulla base dei medesimi parametri analitici.

Facciamo un esempio di facile comprensione: l’acidità libera dell’olio che in base alle norme COI ed Europee deve essere al massimo di 0,8 % espressa in acido oleico; ora un olio extravergine di alta qualità ha un’acidità libera che difficilmente supera il valore di 0,3% eppure viene classificato come extra esattamente come quello che ha un valore del medesimo parametro pari a 0,8%, ora mi chiedo, la qualità dei due oli sarà la stessa? Assolutamente no è la risposta, ma allora perché questo non fa gridare allo scandalo e invece il limite degli alchil-esteri considerato troppo alto si?

Quanto detto per l’acidità libera vale anche per il numero di perossidi e per altri parametri analitici che, come avviene per gli alchil-esteri, definiscono la classe degli extravergini. L’accusa poi che siccome è stato ufficializzato il metodo di valutazione per gli alchil-esteri di conseguenza si ammette la presenza di deodorati negli oli extravergini di oliva ha del grottesco, basti pensare che attualmente e fino all’entrata in vigore del Reg. UE no 61/2011, prevista per l’1 aprile 2010, non ci sono limiti per tali composti e quindi se ci sono opportunità fraudolente circa l’aggiunta di deodorati negli extravergini quelle saranno molto ampie in questo momento ed andranno certamente e diminuire quando il limite entrerà in vigore.

Chiarito ciò, possiamo quindi dire che il problema è un altro, riassumibile nella seguente domanda: quanto la categoria commerciale degli oli extravergini di oliva esprime la reale qualità del prodotto? La risposta è che la suddetta classe commerciale poco tutela la qualità in quanto, essendo molto ampia, include oli con caratteristiche qualitative troppo diverse. Ciò è però indipendente dall’inserimento in normativa del parametro degli alchil-esteri che, semmai, avrà un effetto positivo nel limitare la diversità nella qualità degli extravergini.

Quanto detto circa la variabilità qualitativa dell’extravergine è ancora più vero se spostiamo l’attenzione dai parametri di purezza e qualità merceologica a quelli relativi alla qualità salutistica. Va infatti osservato che i parametri analitici utilizzati nella classificazione dell’olio extravergine di oliva tendono a garantire solo due cose, e cioè che sia estratto dalle olive (purezza) e che sia bassamente alterato.

Un olio extravergine di qualità oggi si misura invece anche sulla base del suo contenuto in sostanze fenoliche bioattive alle quali sono legate alcune proprietà di prevenzione sulle malattie cardiovascolari o sull’insorgenza di alcune forme tumorali. Attività queste che rappresentano una delle principali ragioni che dovrebbero spingere al consumo dell’olio extravergine di oliva di qualità all’interno di una corretta ed equilibrata alimentazione mediterranea.

Il contenuto in sostanze fenoliche bioattive non è però riportato in nessuna normativa relativa alla classificazione degli oli extravergini ma può variare da un minimo di 40 mg/Kg ed un massimo di 900 mg/Kg. Ciò significa che se un extravergine ha 40 mg/kg non potrà avere alcuna proprietà salutistica relativa alla presenza di questi composti in quanto la loro concentrazione è troppo bassa per evidenziare una qualsivoglia azione sull’uomo se invece ne contiene più di 300 mg/KG queste proprietà possono esplicarsi. Ciò detto nessuno riporta o può riportare in etichetta, in base alle attuali norme, il contenuto in biofenoli. Quindi lo scaffale degli oli extravergini che troviamo presso i supermercati è, se vogliamo fare un paragone nel settore automobilistico, come il salone dell’auto di Ginevra dove potete trovare dalla nuova Ferrari FF a svariate tipologie di macchine utilitarie caratterizzate quindi da prestazioni enormemente diverse. Cosa hanno in comune tutte queste auto? Il solo fatto di essere tali, cioè auto.

Tornando al nostro scaffale degli oli il nome riportato in etichetta è per tutti rigorosamente uguale “olio extravergine di oliva”, cioè teoricamente sono tutte Ferrari in quanto, dal punto di vita merceologico, non c’è nulla, per qualità, superiore all’extravergine. Una volta a casa però in bottiglia il consumatore ha un’alta probabilità di trovare un prodotto che della Ferrari non ha neppure la pallida imitazione del cavallino rampante, magari sostituita da quella di un asinello scalciante che, con tutto il rispetto per il nobile animale, forse non era quello che il consumatore cercava.

Da qui la domanda, come se ne esce? Sicuramente non con attacchi scomposti e immotivati a norme Comunitarie approvate dopo ampie e approfondite discussioni su metodi e limiti fatte dagli appositi comitati del COI. Se ne esce differenziando la produzione.
La classe dell’extravergine è troppo ampia e non permette di differenziare l’alta qualità dei migliori oli Italiani.
Da questo dato di fatto ne consegue che dovremmo puntare, come stanno facendo alcune associazioni di produttori, al riconoscimento dell’alta qualità nell’olio extravergine di oliva Italiano sulla falsa riga di quanto fatto per il “latte pastorizzato di alta qualità”. In questo caso però, per differenziare il prodotto di qualità superiore dall’extravergine comune, oltre a un più basso livello di acidità libera del numero di perossidi e alchil-esteri dovremmo inserire anche altri parametri legati alle proprietà salutistiche del prodotto quali l’α-tocoferolo e il contenuto di biofenoli. Questo permetterebbe al consumatore di orientarsi meglio nel mare tempestoso dell’extravergine e potrebbe garantire, ai produttori Italiani, che fanno qualità, una maggiore retribuzione per l’encomiabile lavoro silenziosamente svolto, spesso a dispetto di polemiche inutili e troppo spesso basate sulla mancanza di conoscenza.

di Maurizio Servili