Articoli 25/11/2006

SPECIALE EXTRA VERGINI A DOP. PER L'OLIO A MARCHIO "DAUNO" LA STRADA E' IN SALITA, MA SI PUNTA AL MIGLIOR RAPPORTO QUALITA'-PREZZO ANCHE CON VOLUMI CONSISTENTI

Intervista a Stefano Zezza: "Molti oli a Dop, sono nati più dietro spinte di carattere politico che non per vere esigenze di una base motivata. Deludenti fino a ora i risultati della Federdop, Federazione dei Consorzi a Dop, per la cui costituzione mi ero anche battuto. D’altro canto è solo con l’aggregazione delle forze che si può ottenere qualche risultato (4. continua)


Dopo le precedenti puntate sulle Dop "Tergeste", "Chianti Classico" e "Terre di Siena", è la volta della denominazioni di origine a marchio "Dauno". Prosegue dunque l'inchiesta di "Teatro Naturale", con le interviste ai protagonisti dei vari Consorzi di tutela. Le domande rivolte ai presidenti intervistati sono le medesime, in modo da avere un quadro unitario di risposte e disporre pertanto di un profilo generale circa lo stato della nostra olivicoltura. A partire da tale inchiesta - lo si ripete - ci aspettiamo le personali riflessioni da parte dei nostri lettori, in modo da aprire un dibattito.
Questa settimana è la volta del Consorzio Daunia Verde, con Stefano Zezza, presidente, appunto, del Consorzio valorizzazione e tutela dell'olio extra vergine di oliva a Dop Dauno.


STEFANO ZEZZA
Sessant'anni, Stefano Zezza si è laureato in economia e commercio e ha lavorato dapprima in aziende private, quindi in Banca d’Italia e poi si è dedicato all’insegnamento.
Agricoltore dal 1978, si occupa dell’azienda di famiglia con indirizzo cerealicolo e olivicolo. Dal 1995 al 2004 è stato presidente dell’Aprol di Foggia, mentre è presidente sin dalla sua costituzione, nel 1999, del Consorzio Daunia Verde.



La sensazione generale è che le denominazioni di origine per gli oli extra vergini di oliva italiani non stiano ancora decollando, contrariamente alle aspettative di qualche anno fa. Percepisce anche lei questo stato di incertezza e di difficoltà?
Non vorrei essere tra coloro ...”del senno di poi”, ma non ho mai creduto nelle facoltà miracolose del marchio Dop in quanto tale. Mi trovo a presiedere il Consorzio Daunia Verde fin dalla sua nascita, e ricordo che nella prima serie di riunioni che feci nei vari comuni della provincia per far conoscere ai produttori le Dop, la mia preoccupazione principale era proprio quella di smorzare gli entusiasmi, talvolta eccessivi, suscitati soprattutto dai politici locali, che, forse in buona fede, pensavano che con il riconoscimento della Dop i gravi problemi di commercializzazione dell’ottimo olio della nostra provincia fossero risolti. Il mio invito era a preoccuparsi che l’offerta fosse, se possibile, sempre in linea con la domanda e non superiore.
Nonostante l’invito all’attenzione, le richieste di certificazione nel primo anno furono ampiamente superiori a quello che si riuscì poi realmente a collocare sul mercato. La quantità certificata è stata di poco meno di 2000 q.li di olio nei primi due anni, per poi scendere a poco più di 1000 q.li nel 2002/3, per poi cominciare una lenta e incerta risalita negli anni successivi. Non abbiamo dati di vendita finale, ma la forte diminuzione delle certificazioni dopo i primi due anni è indicativo dell’effetto boomerang delle frustrazioni iniziali.
Fermo restando quanto si è detto fin qui, è evidente che i numeri sono assolutamente al di sotto di quello che poteva essere lecito aspettarsi, anche in considerazione del fatto che buona parte della produzione provinciale fregiarsi del marchio a Dop.
La nostra strada è, e continua a essere in salita. Ritengo che col tempo il nostro olio possa ben collocarsi sul mercato, perché, come nell’extra vergine convenzionale, anche nella Dop può offrire, probabilmente, uno dei migliori rapporti qualità/prezzo del paese anche con volumi consistenti. Naturalmente questo è legato a una promozione nazionale e internazionale del marchio Dop, a una maggiore attività promozionale sulla notorietà del territorio (pochi in Italia sanno dove sia la Daunia), e infine alla capacità di marketing delle singole aziende.

C’è un reale valore aggiunto per gli oli certificati Dop o Igp, oppure non cambia nulla di concreto sul piano commerciale? Anche in questo caso, si ha la sensazione che i produttori siano costretti a sopportare maggiori costi, legati alla necessità di certificazione, senza per questo guadagnare quel qualcosa in più cui legittimamente sono state riposte tante buone speranze e attese... E’ così?
Evidentemente se negli anni alcuni produttori di olive continuano a sottoporre il loro prodotto alla certificazione, e trovano confezionatori disposti ad acquistare e collocare il loro prodotto, almeno questi un valore aggiunto lo trovano, valore aggiunto che può anche consistere in una maggiore sicurezza di collocazione del prodotto ai prezzi migliori del mercato. Il risultato può sembrare modesto rispetto alle aspettative, ma tant’è. Diverso è il caso di coloro che in una sola figura racchiudono tutta la filiera, o almeno le due figure di produttore e confezionatore. In questo caso ritengo che sul piano commerciale dei benefici ne ricavino, si tratta per lo più di piccole aziende confezionatrici che in qualche caso sono state addirittura indotte ad affrontare il mercato proprio dalla possibilità di fregiarsi del marchio a Dop, che certifica non solo la provenienza ma anche l’elevato standard qualitativo del loro prodotto.
Per quanto riguarda il costo della certificazione, a suo tempo mi espressi, e oggi posso almeno in parte confermare quanto dissi, a favore di un costo non eccessivamente contenuto dello stesso. A mio parere il rischio, in un territorio come il nostro, era che aziende confezionatrici di dimensioni medie, vista l’ampia disponibilità potenziale di prodotto a Dop, a fronte di un costo di certificazione contenuto, potessero essere tentate di collocarlo sul mercato a prezzi troppo concorrenziali, che di fatto lo squalificassero, vanificando così il valore della certificazione, che, a mio parere, dovrebbe nel medio periodo sganciare il valore dell’olio a Dop dal prezzo del mercato all’ingrosso. Solo il costo della certificazione poteva imporre una differenziazione di prezzo significativa rispetto all’extra vergine convenzionale.
D’altra parte sul costo della certificazione, che nel nostro caso ammonta mediamente a 36 centesimi al litro, con una forbice cha va da 31 a 91 centesimi, incide significativamente anche il costo del Consorzio stesso, che per fornire i servizi richiesti, deve dotarsi anche di un minimo di struttura.

La Dop che lei rappresenta in qualità di presidente del Consorzio, in che modo intende muoversi, e di conseguenza proporsi, sul fronte della commercializzazione e della conoscenza del prodotto?
Con le forze di cui disponiamo non è possibile fare di più. D’altronde la promozione delle Dop deve avvenire a quattro livelli: un primo livello con campagne nazionali che spieghino il significato della certificazione, e devono essere campagne potenti e multi-prodotto (cosa significa prodotto a Dop, cosa significa prodotto certificato ecc.).
Un secondo livello di promozione è quello del territorio. Delle quattro sottozone in cui si suddivide la provincia, la parte del leone con mediamente il 66% del totale l’ha sempre fatta la sottozona del Gargano che, oltre alle indubbie caratteristiche dell’olio, deve certamente il suo parziale successo alla notorietà di cui gode anche il suo nome, e alla sua rinomanza turistica.
Un terzo livello è quello che tocca la Consorzio che deve promuovere e valorizzare specificamente l’olio del territorio, promuovendone la qualità e contribuendo alla sua diffusione.
A tal fine le iniziative intraprese in questi primi anni sono consistite essenzialmente nel partecipare a fiere e manifestazioni promozionali.
Lo scorso anno siamo riusciti ad accedere al finanziamento ministeriale per la promozione dei prodotti certificati. La limitata capacità di spesa del Consorzio (come è noto per avere la possibilità di accedere ai finanziamenti ministeriali bisogna cofinanziare le iniziative al 30% oltre all’Iva che si paga ma non si recupera), ci ha indotto a fare gruppo con altri consorzi di altri prodotti per poter mettere insieme i finanziamenti e partecipare a iniziative in comune. È nata così l’iniziativa che abbiamo chiamato FOLIO, con l’oliva Bella della Daunia e i formaggi piemontesi, con eventi che abbiamo organizzato a Parma, in occasione del Cibus e un altro cui daremo vita a Roma nel mese di novembre, in concomitanza con la manifestazione organizzata da Luca Maroni.
A livello interno per promuovere un miglioramento del prodotto da alcuni anni abbiamo dato vita a un premio provinciale per il migliore olio a Dop, che lo scorso anno ha coinciso con la manifestazione fieristica Euromed&food che si è tenuta a Foggia e ha avuto una buona partecipazione.
L’ultimo livello spetta evidentemente alle singole aziende. Ovviamente il Consorzio affianca le aziende consorziate in tutti i premi e diffonde tutte le iniziative promozionali rivolte alle singole aziende con prodotti a Dop, di cui viene a conoscenza.

Come giudica i disciplinari di produzione delle Dop dell’olio in Italia? Sono fatti bene, o sono suscettibili di miglioramento?
Come è noto, i criteri del panel test per l’esame organolettico, a livello Coi, sono cambiati e il loro cambiamento è stato recepito dalla Ce. Il cambiamento è radicale in quanto non si ha più una valutazione a punteggio ma con un sistema statistico di mediana e sono state definite le caratteristiche indispensabili per l’identificazione dell’extra-vergine. È stata approntata da una apposita commissione un elenco di altri descrittori utilizzabili per gli oli a Dop. Dal momento che la maggior parte dei disciplinari esistenti si basano sulle vecchie descrizioni delle caratteristiche organolettiche si dovrà necessariamente dare la possibilità a tutte gli oli a Dop di modificare il proprio disciplinare per adeguarsi alla nuova normativa. In questa fase scatterà un’importante differenziazione, tra quegli oli a Dop, veramente dotati di caratteristiche particolari e con un interesse reale a occupare fasce alte di mercato che approfitteranno dell’opportunità che gli si offre per meglio descrivere le proprie peculiarità, e le altre che, come già in base ai disciplinari esistenti, non si differenziano se non per il fatto che la zona di produzione è individuata. Resteranno degli oli a Dop piuttosto indifferenziati.
Peraltro, come detto, molti oli a Dop, sono nati più dietro spinte di carattere politico che non per vere esigenze di una base motivata. Questo, che può anche avere avuto un buon effetto di stimolo sulla produzione, ha però prodotto disciplinari spesso insufficienti o con errori e carenze. Anche per la mia esperienza ho proposto, a più riprese, che dopo i primi anni di operatività si potesse aprire una finestra per una procedura semplificata di modifiche al disciplinare, purché, ovviamente non ne vada a intaccare le caratteristiche di fondo. Questo può anche valere per modifiche periodiche legate sia agli sviluppi delle tecniche colturali, di raccolta e di molitura, sia per lo sviluppo di più raffinate tecniche di analisi chimico-fisica, come suggerito sopra, organolettica dell’olio.

E il disciplinare di produzione della sua Dop, in particolare?
Per quanto attiene il disciplinare del Dauno abbiamo già ottenuto una prima modifica che ha eliminato le storture più evidenti esistenti nel disciplinare originario, legate alla raccolta (in origine prevista esclusivamente quella manuale, mentre in quello rinnovato si fa riferimento alla raccolta dalla pianta ormai molto diffusa su tutto il territorio) e alle zone di molitura.
Da quest’anno poi dovrebbe partire, di concerto con Camera di Commercio e Università di Foggia uno studio per modificare, come si è accennato sopra, i descrittori e i parametri chimico fisici dell’olio. La prima fase dell’indagine servirà ad approfondire la conoscenza, in una seconda fase saranno i consorziati stessi a fare le relative scelte politiche, se rimanere cioè in un più ampio e indistinto calderone e se fare un ulteriore sforzo di qualità per cercare di rientrare in una più ristretta e, forse, più remunerativa nicchia di mercato.

Un suggerimento ai suoi colleghi presidenti dei rispettivi consorzi di tutela?
Francamente non ho suggerimenti. Deludenti fino a ora i risultati della Federdop, Federazione dei Consorzi a Dop, per la cui costituzione mi ero anche battuto. D’altro canto è solo con l’aggregazione delle forze che si può ottenere qualche risultato, aggregazione di forze che, a mio parere si deve spingere anche al di là del singolo prodotto (perfino una mia proposta di inserire anche le olive da tavola nella federazione è stata respinta!). Gelosie di prodotto, scarsa capacità finanziaria, l’abbraccio, per un verso, date le premesse, pressoché indispensabile, per altro verso soffocante delle organizzazioni professionali ne ha praticamente impedito qualsiasi operatività.
A tale proposito maggiori speranze mi dà ora la costituzione dell’Aicg, patrocinata dal Ministero dell’Agricoltura, che vede uniti in associazione buona parte dei consorzi di prodotti di origine certificata riconosciuti. È un’associazione ancora in fase di rodaggio, ma credo che sia l’ultima speranza di aggregazione con qualche probabilità di successo. Da soli non si va quasi da nessuna parte.

In conclusione, ci dia il quadro generale del territorio e della forza produttiva in cui opera la sua Dop...



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Le precedenti puntate dell'inchiesta sugli oli extra vergini di oliva hanno riguardato:

- la Dop "Tergeste", il 4 novembre:
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- la Dop "Chianti Classico", l'11 novembre:
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- la Dop "Terre di Siena", il 18 novembre:
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di Luigi Caricato