Mondo 21/01/2022

NutriScore per l'olio di oliva: molte criticità ma anche qualche buona notizia

NutriScore per l'olio di oliva: molte criticità ma anche qualche buona notizia

il NutriScore, nonostante l’intento di promuovere scelte alimentari salutistiche, risulta un sistema di classificazione troppo superficiale ma messo a confronto con oli di semi l'extrea vergine risulta vincente


Entro il 2022 l’Unione Europea dovrà stabilire una legge sull’etichettatura dei prodotti alimentari. Cruciali saranno l’estensione dell’obbligo dell’indicazione di origine e l’introduzione della bollinatura fronte-pacco contenente informazioni nutrizionali. Una scelta quest’ultima che, di fatto, apre la porta al Nutri-Score, il sistema attualmente in vigore in Francia e che sembra insidiare il nostro made in Italy. Vediamo i pro e i contro

In linea con gli obiettivi della Strategia Farm to Fork approvati nel 2020 dall’Unione Europea, entro il 2022 verrà elaborata una proposta di etichettatura obbligatoria per i prodotti alimentari. La finalità è fornire un sistema omogeneo a livello europeo che garantisca ai consumatori sia la trasparenza della filiera sia la possibilità di fare scelte alimentari sostenibili, sane e informate. Pertanto, sarà prevista l’estensione obbligatoria a tutti i prodotti agroalimentari sia dell’indicazione di origine, sia di una “bollinatura” fronte-pacco che contenga informazioni nutrizionali. La finalità, in quest’ultimo caso, è quella di contrastare il consumo eccessivo di carne e di alimenti trasformati ricchi di sale, zuccheri e grassi, fissando livelli massimi di assunzione. Un sistema di etichettatura, dunque, simile all’attuale Nutri-Score, lanciato in Francia nel 2017 e già in uso in diversi Paesi dell’Unione (oltre che in Svizzera).

L’apertura a un sistema di etichettatura simile al Nutri-Score ha subito sollevato polemiche e creato inevitabili schieramenti: da un lato un vero e proprio Comitato Pro Nutri-Score, costituito in Francia a marzo 2021; dall’altro quei Paesi europei, come l’Italia e la Grecia, che vedono minacciate da questo sistema le proprie eccellenze produttive (secondo le stime di Coldiretti e Federalimentare infatti l’etichettatura boccerebbe circa l’85% del nostro Made in Italy).

Lo scorso novembre l’Antitrust italiana ha avviato 5 istruttorie contro alcune società della GDO che hanno introdotto in Italia il Nutri-Score, con l’obiettivo di fare chiarezza su un sistema che, attribuendo una sorta di punteggio agli alimenti, può generare confusione nel consumatore. In parallelo, anche il ministro delle politiche Agricole Alimentari e Forestali Stefano Patuanelli ha chiaramente ribadito che l’etichettatura a “semaforo” penalizzerebbe non solo le nostre produzioni, ma anche la dieta mediterranea. Negli ultimi mesi del 2021, accanto all’Italia, altri Paesi europei hanno preso una posizione contraria al Nutri-Score, tra questi la Spagna che pure inizialmente si era schierata a favore. E le proteste non sono mancate anche in Francia, dove molti produttori agroalimentari hanno sollecitando una revisione del sistema.

Per questo è stato istituito un tavolo di lavoro tra Italia e Francia, con l’intento di rivedere il Nutri-Score al fine di tutelare le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche tipiche.

Ma facciamo un po’ di chiarezza sul NutriScore…

Ideato nel 2014 da un team di studiosi franscesi, è stato adottato in Francia nel 2017. Il sistema utilizza 5 lettere e 5 colori (dalla A “verde scuro” alla E “rossa”) per classificare la salubrità degli alimenti. Pertanto se un prodotto ha un basso contenuto di calorie, grassi, sale e zucchero viene assegnato alla categoria A (verde), che vale come una sorta di “via libera” al consumo. Se invece i valori sono elevati, il giudizio nutrizionale si sposta verso il rosso o arancione scuro per suggerire al consumatore di limitarne l’assunzione. Il Nutri-Score, nato per segnalare i cibi con un’alta presenza di grassi o di sale, proprio per la sua evidente semplicità ha conosciuto una notevole diffusione anche fuori dalla Francia, soprattutto in Germania, Belgio, Spagna, Paesi Bassi e Lussemburgo, oltre che in Svizzera.

I pro e i contro di NutriScore

I pro: NutriScore risponde efficacemente alla necessità, espressa anche dalla Commissione europea nell’ambito della Strategia Farm to Fork, di un sistema semplice che fornisca un’informazione facilmente leggibile e che aiuti il consumatore a ridurre grassi, zuccheri e sale, oltre ai cibi troppo calorici.
I contro: il sistema non considera gli additivi e, quindi, non penalizzerebbe i prodotti industriali e confezionati. Un esempio spesso portato avanti dai detrattori è quello della lattina di Coca Cola Zero e dell’Olio di oliva: alla prima Nutri-Score assegna la lettera B e il colore verde chiaro (in pratica, il via libera al consumo) mentre al secondo assegna la lettera C e il colore arancione scuro (quindi, una sorta di “allerta” sull’opportunità di consumarlo).
Un altro elemento di criticità è il fatto che la valutazione di Nutri-Score è riferita alla quantità standard di 100 grammi (o 100 ml): in questo modo alcuni alimenti, come il già citato olio extravergine di oliva o il parmigiano reggiano, possono essere penalizzati risultando troppo grassi (con punteggio C e colore giallo o arancione scuro). Un’indicazione che, in pratica, non tiene conto del fatto che quasi nessuno utilizza 100 grammi di olio o di parmigiano per condire una porzione di pasta.

Perché l’Italia è contraria?

Secondo le nostre associazioni di categoria, il Nutri-Score, nonostante l’intento di promuovere scelte alimentari salutistiche, risulta un sistema di classificazione troppo superficiale. Dando infatti il via libera al consumo dei cibi solo in base al loro contenuto di calorie, grassi, zuccheri e sale, e su una base di riferimento di 100 grammi di prodotto, non terrebbe conto, quindi, di altri parametri fondamentali per la corretta nutrizione, quali: la presenza o meno di additivi; i processi di trasformazione della materia prima; la filiera di provenienza (quindi senza valutare l’utilizzo, per esempio, di pesticidi o i metodi di coltivazione biologica).
L’accusa principale è che il Nutri-Score finisca per dare il via libera al consumo di prodotti industriali come le patatine fritte, a scapito di alimenti di alto valore nutritivo come l’olio extravergine di oliva o il parmigiano reggiano, per citare di nuovo i due alimenti più rappresentativi delle nostre eccellenze enogastronomiche.

L’alternativa proposta dall’Italia

L’alternativa proposta dal nostro Paese è la NutrInform Battery, che valuta non i singoli cibi, ma la loro incidenza all’interno della dieta. L’etichetta è pensata come una “batteria” e indica tutti i valori relativi ad una singola porzione consumata. All’interno del simbolo vengono indicate le percentuali di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale apportati dalle singole porzioni rispetto alla quantità giornaliera raccomandata. Secondo una recente indagine effettuata dall’Osservatorio Waste Watcher (presentata a Roma lo scorso dicembre 2021) NutrInform, risulta essere una delle modalità più apprezzate dal consumatore in relazione ai comportamenti e alle abitudini di acquisto. Lo studio è stato condotto su un campione statistico di 7 mila cittadini di 7 Paesi del mondo: Stati Uniti, Russia, Canada, Regno Unito, Germania, Spagna e Italia.

Ragioni di salute vs ragioni economiche

Nel suo complesso, è evidente che la contrapposizione Nuntri-Score/NutrInform non è solo scientifica e nutrizionale, ma rispecchia anche uno scontro di natura economica tra i Paesi dell’Unione Europea. Secondo le stime di Coldiretti e Federalimentare, infatti, l’adozione del Nutri-Score in tutti i Paesi Europei penalizzerebbe fino al 50% il nostro export alimentare.

Il caso dell’olio extravergine di oliva

Come si è detto, il timore dei produttori Italiani è che il Nutri-Score possa bloccare il consumo di alcuni alimenti simbolo del Made in Italy: dai salumi ai prodotti latteo-caseari, dalle carni fino al nostro olio extravergine di oliva. Il consumatore medio potrebbe, infatti, essere influenzato negativamente nei confronti di questi prodotti.
Tuttavia, prendendo proprio il caso dell’olio di oliva, un recente studio sostenuto da sovvenzioni pubbliche dell’Istituto Nazionale Francese del Cancro e dell’Università Sorbonne Paris Nord, mostra il contrario. I risultati, pubblicati a settembre 2021 sul giornale scientifico internazionale Foods, evidenziano che, messo a confronto con otto diversi condimenti (es. olio di semi vari) e con le relative etichette a semaforo, l’olio d’oliva, con il suo punteggio Nutri-Score C, è percepito come il migliore sotto il profilo nutrizionale. La ricerca – effettuata su un campione di consumatori spagnoli - evidenzia che quasi l’80% dei partecipanti ha dichiarato che il Nutri-Score è stato utile per riconoscere le differenze di qualità nutrizionali tra i grassi presentati.
Che dire? È evidente che al di là delle battaglie politiche, una risorsa fondamentale per i produttori è il lavoro di corretta comunicazione e informazione sul consumatore. La cultura di prodotto, infatti, si conferma ancora una volta come uno elemento distintivo e strategico all’interno del mercato globale.
Il consumatore oggi è sempre più attento e consapevole. Complice forse la Pandemia, che ha accelerato una tendenza.
Non a caso anche il già citato studio di Waste Watcher ha confermato che: «la maggior parte dei consumatori di tutti i Paesi oggetto dell’indagine ha dichiarato di apprezzare le informazioni presenti nelle etichette fronte pacco. In media, il 36% delle persone che hanno risposto ha spiegato che gradirebbe maggiori informazioni relative alla qualità dei singoli ingredienti, mentre il 49% vorrebbe più informazioni sulla loro provenienza (addirittura il 58% in Italia e Germania). Un’altra informazione a cui i consumatori sembrano prestare particolare attenzione è quella relativa alle informazioni nutrizionali (53%) e alle informazioni sugli ingredienti che possono causare allergie (51%)». Emerge, quindi, in modo chiaro l’urgenza del consumatore di ricevere più informazioni sul cibo che acquista, soprattutto se queste ultime sono legate agli “effetti” che i prodotti potrebbero avere sulla salute.