Mondo Enoico 03/11/2015

Tolleranze e resistenze per una viticoltura a basso impatto ambientale

Ad oggi sono circa una ventina le varietà da incrocio resistenti presenti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite e, nell’ottica di una sempre maggiore richiesta di sostenibilità ecologica ed economica


Venerdì 30 ottobre 2015, si è tenuta, presso il Centro Fieristico di Faenza, una tavola rotonda per parlare di varietà di vite, ottenute per incrocio, resistenti a peronospora e oidio.
L’incontro voluto dal Polo di Tebano, espressione dei vari enti che si occupano di viticoltura ed enologia, è stato moderato da Antonio Venturi, dirigente della Provincia di Ravenna, che ha colto la situazione mista di curiosità e di preoccupazione che stava nascendo intorno all’argomento per un territorio molto vitato come quello ravennate.

Ad oggi sono circa una ventina le varietà da incrocio resistenti presenti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite e, nell’ottica di una sempre maggiore richiesta di sostenibilità ecologica ed economica, stanno suscitando un certo interesse, vista anche la numerosissima partecipazione all’iniziativa organizzata a Faenza.

Alexander Morandell del vivaio Wineplant di Bolzano ed Ermanno Murari di Vivai Cooperativi di Rauscedo hanno illustrato l’attività che ha portato all’iscrizione delle varietà resistenti, che i loro vivai sono già in grado di commercializzare.

Un aspetto che caratterizza molte di queste varietà è la precocità di maturazione, che le rende idonee anche per altitudini importanti e ambienti freschi e piovosi.

I motivi che possono portare alla coltivazione delle varietà resistenti si possono sostanzialmente riassumere in una maggiore ecologicità, nella possibilità di fare un vino bio senza prodotti chimici e quindi più credibile per il mercato, nella forte riduzione dei trattamenti da fare in vigneto con anche un conseguente minore compattamento dei suoli, nella maggiore economicità dell’attività viticola.

Le varietà resistenti, rispetto ai primi ibridi coltivati sono poi in grado di produrre vini buoni, senza i problemi del passato legati alla presenza di alcool metilico, metil-antranilato (simil-fragola) e fureaneolo (foxy).

Emanuele Tosi del Centro per la Sperimentazione in Vitivinicoltura della Provincia di Verona parte dalla considerazione che attualmente la viticoltura europea occupa circa il 3% della superficie agricola, ma impiega il 65% dei fungicidi utilizzati in agricoltura, per questo si è voluta saggiare la possibilità di innovazione offerta dalle varietà resistenti, testate in un vigneto nel cuore della Valpolicella. Si sono valutati gli aspetti vegetoproduttivi
e la qualità dei mosti e dei vini microvinificati in purezza in comparazione con vitigni ben conosciuti quali Pinot nero e Pinot bianco, con risultati interessanti. Tosi fa comunque presente che la vite spesso è inserita in un forte contesto monocolturale che rende necessario tenere monitorati ulteriori aspetti quali ad esempio lo sviluppo di crittogame minori, virosi o insetti. Da verificare la resistenza nel tempo di queste varietà, infatti Oidio e Peronospora potrebbero essere soggette a mutazioni e diventare nuovamente dannose anche per le
varietà attualmente resistenti.

Ilaria Filippetti, del Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Bologna, ribadisce che il mondo della ricerca vitivinicola, insieme con quello produttivo, guarda con grande interesse alle varietà resistenti poiché la selezione e la successiva valutazione e introduzione di questi genotipi rappresenta uno degli strumenti per migliorare la sostenibilità complessiva della viticoltura consentendo, specie nelle attuali condizioni di cambiamento climatico, la riduzione di costosi input esterni e di emissioni di sostanze nocive nell'ambiente.
Per quanto riguarda l’attività in Emilia Romagna è stato approntato un programma di valutazione di varietà resistenti in collaborazione con l’Istituto Tecnico Garibaldi–Da Vinci di Cesena, che lo scorso anno ha impiantato un vigneto sperimentale, dove verranno condotti tutti i rilievi sperimentali a livello agronomico ed enologico previsti dalla delibera regionale. Sulla base dei risultati ottenuti nel corso di un triennio si potrà richiedere la iscrizione delle varietà valutate all’elenco dei vitigni idonei alla coltivazione in Emilia-Romagna.

Elena Baraldi e Marina Collina, sempre dell’Università di Bologna, hanno chiarito il concetto di “resistenza”, ribadendo la qualità del lavoro fatto per trasferire questo carattere attraverso l’incrocio nella vite, ma mettendo in guardia dalla possibilità di comparsa di razze più aggressive nell’ambito delle popolazioni di Peronospora e Oidio e dello sviluppo di patogeni minori che normalmente sono tenuti a bada dai trattamenti contro Peronospora e Oidio, come ad esempio il Black rot o l’Escoriosi.
Interessante la valutazione complessiva di Marina Collina che ha soppesato in un’ideale bilancia aspetti positivi e negativi insiti nella scelta di impiantare viti resistenti. Sicuramente positivi sono l’innovazione in sé, per un settore molto legato alla tradizione, e la riduzione, se non l'eliminazione, dei trattamenti. Sull’altro piatto, gli aspetti negativi o comunque da valutare: dal tema del possibile superamento delle resistenze fino all'accettazione del vino da parte del mercato.

Paolo Giorgetti, del Ministero delle Politiche Agricole, dopo aver fatto un escursus sulle iscrizioni delle varietà resistenti ha sottolineato come contestualmente all’iscrizione al Registro nazionale si sia deciso di inserire, per tutte le varietà resistenti, una annotazione a margine che ne indichi le limitazioni nella produzione dei vini; queste varietà, infatti, non possono concorrere alla costituzione di vini DOC e DOCG.

La questione sta accendendo il dibattito anche a livello Europeo, infatti si scontrano posizioni diverse, la più innovativa e rivoluzionaria è quella assunta dalla Germania che sostiene che dette varietà resistenti sono da considerarsi Vitis vinifera in quanto il loro DNA è per più del 95% di vinifera, quindi potrebbero essere tranquillamente essere ammesse alla costituzione di vini DOC e DOCG.

La Francia invece, forte della sua tradizione, è più preoccupata per l’utilizzo “improprio” del nome del “genitore nobile” nella denominazione varietale (es. Cabernet carbon), ed è particolarmente attenta alla protezione ed alla composizione dei vini DOC e DOCG.

L’Italia, in questo momento, è allineata alla Francia, anche se sulle denominazioni è meno radicale; tuttavia, con l’inserimento delle annotazioni sul Registro, intende eliminare ogni possibile confusione sulle denominazioni, per tutelare i viticoltori ed i consumatori di vino.

Esiste infatti un pericolo, neanche tanto remoto, che la possibilità di utilizzare solo una parte delle denominazioni composte in etichetta possa portare a indicare semplicemente “Cabernet” un vino ottenuto da uno dei Cabernet “resistenti” piuttosto cha dal C. franc o C. sauvignon.

In questa ottica l’Italia, a livello di Commissione UE, ha chiesto di discutere, tra gli Stati Membri, l’opportunità di istituire nei Registri nazionali e comunitario una sezione dedicata e di valutare anche la possibilità che nei cartellini di certificazione delle barbatelle debba essere indicato che si tratta di varietà resistente proveniente da ibridi.

La Regione Emilia-Romagna, rappresentata da Franco Foschi, non si è certo tirata indietro di fronte alla possibilità di sperimentare le varietà resistenti anche sul nostro territorio, certo che si dovrà operare in modo scrupoloso e nel massimo rispetto delle regole vigenti.

di C. S.