L'arca olearia 24/09/2011

Dop e Igp dell’olio in Italia, lo scenario è questo

Dop e Igp dell’olio in Italia, lo scenario è questo

Il dettagliato report dell’Istat mette in evidenza lo stato della realtà da cui partire per cambiare volto al Paese. Si prevede che gli oli con attestazione di origine, nonostante talune fasi congiunturali negative, possano puntare a un maggiore e consistente sviluppo di tutta la filiera olearia


Nel corso della giornata di anteprima di Olio Capitale 2001 si è svolto un intenso incontro utile per fare il punto della situazione sugli oli a denominazione di origine. Il titolo dell’incontro, svoltosi a Trieste lo scorso giovedì 15 settembre, era “Da Est a Ovest, da Nord a Sud:Dop italiane dell’extra vergine d’oliva a confronto”. Tra i vari partecipanti vi era Mario Adua . del Servizio Agriucoltura dell’Istat. Riportiamo, a beneficio dei lettori, la sua dettagliata relazione, dal titolo “La dimensione strutturale-economica di Dop e Igp: quale il valore aggiunto”

 

Il presente studio esamina la filiera olivicola nazionale soffermandosi più in dettaglio sull’evoluzione del settore degli oli extravergine di oliva riconosciuti e tutelati dall’Unione Europea (UE) con l’attribuzione dei marchi di qualità DOP (Denominazione di origine protetta) e IGP (Indicazione geografica protetta).

Il lavoro viene svolto elaborando i dati statistici ufficiali rilevati e diffusi dall’ISTAT (Istituto nazionale di statistica) nell’ambito delle seguenti indagini: Rilevazione delle coltivazioni, Indagine sulla struttura delle aziende agricole (SPA), Rilevazione sui prodotti agroalimentari di qualità DOP, IGP e STG, Commercio estero, Contabilità nazionale.

Vengono inoltre considerati i risultati delle indagini e delle elaborazioni svolte dall’ISMEA (Istituto per lo studio dei mercati agricoli), dal COI (Consiglio oleicolo internazionale) e da Qualivita (Fondazione Qualivita).

L’analisi delle informazioni disponibili, riferite al decennio 2000-2010, permette di identificare sia la struttura e la consistenza complessiva del settore, sia l’apporto quantitativo, il valore economico e la potenzialità degli oli extravergine di oliva DOP e IGP.

 

Lo scenario di riferimento

Nonostante il forte calo delle aziende olivicole, a fronte della tenuta della superficie olivata verificatosi dal 2000 al 2005, la struttura dell’olivicoltura italiana negli ultimi anni risulta alquanto stabile .

La superficie, riferita al 2010, investita a olivo è di 1,19 milioni di ettari; tale area comprende anche la superficie ancora non in produzione (perché recentemente impiantata) che è di appena 21 mila ettari. La produzione, sia totale sia raccolta, dopo il picco del 2004, risulta, pur nella variabilità degli attacchi patogeni e nell’alternanza produttiva delle diverse aree, alquanto stabile e pari, nel 2010, a 3,4 milioni di tonnellate, di cui appena 221 mila tonnellate non raccolte.

Le olive da olio rappresentano mediamente circa il 98% della produzione complessiva dell’olivo, e conseguono una resa di trasformazione in olio di pressione pari al 17,6% (17,0% nel 2010).

Diversamente da quella delle olive da tavola, la produzione di olio relativa al periodo 2005-2010 è in calo e pari per il 2010 a 0,53 milioni di tonnellate. Va ricordato che, secondo i dati del COI, l’olio italiano rappresenta mediamente circa un quarto di quello annualmente prodotto nel mondo.

L’analisi territoriale dei dati relativi al 2010 è molto interessante; si conferma infatti una forte concentrazione della superficie olivicola investita nel Mezzogiorno (78,9% del totale nazionale) a fronte di una discreta presenza nel Centro (18,7%) e di talune nicchie olivicole nel Nord (2,4%).

Nel Mezzogiorno le principali regioni olivicole sono Puglia, Calabria e Sicilia, rispettivamente con 378, 195 e 162 mila ettari investiti a olivo; nel Centro primeggiano Toscana e Lazio, rispettivamente con 97 e 89 mila ettari. Nel Nord l’unica presenza consistente riguarda la Liguria con 17 mila ettari.

Per il 2010 è ancora la Calabria che consegue sia la più elevata produzione media (4,3 tonnellate per ettaro) sia la più consistente resa in olio (19,8%).

L’indagine sulla struttura delle aziende agricole (SPA) che riguarda oltre 53 mila aziende, è la principale rilevazione agricola svolta in modo uniforme in tutti i Paesi dell’Unione Europea; si tratta di una rilevazione campionaria svolta per intervista diretta che da risultati a livello regionale. Talvolta i risultati regionali divergono parzialmente da quelli conseguiti dalla Rilevazione sulle coltivazioni che è una indagine estimativa molto dettagliata che fornisce dati a livello provinciale.

La SPA consente di analizzare la numerosità e le caratteristiche sia delle aziende sia dei loro conduttori e capi azienda. L’ultima edizione della SPA è relativa al 2007 e determina ben 853 mila aziende olivicole, in calo di 342 mila unità rispetto al Censimento del 2000, di cui il 75,8% è localizzato nel Mezzogiorno, il 63,3% si trova in collina e il 14,8% in montagna.

La superficie olivicola rappresenta circa un quinto (18,7%) della SAT e un quarto (24,1%) della SAU (Tav. 3). Un terzo dei conduttori è formato da donne (33,7%). I conduttori presentano un’età media elevata (Tav. 4); infatti ben il 45,7% di essi ha almeno 65 anni mentre solo il 5,9% ha meno di 40 anni. Relativamente al titolo di studio (Tav. 4), i capi azienda con licenza media o elementare costituiscono il 71,7% del totale.


Il commercio estero

L’Italia è contemporaneamente un Paese sia esportatore sia importatore di prodotti olivicoli. La quantità delle olive, da tavola e da olio, interessate allo scambio con l’estero è alquanto limitata; il saldo commerciale permane negativo e pari, per il 2010, a -13,7 milioni di euro per le olive da tavola e a -1,9 milioni di euro per quelle da olio.

Il commercio estero dell’olio è più consistente. Nel 2010 si sono importate 610 mila tonnellate pari a un valore di 1,20 miliardi di euro a fronte di una esportazione di 380 mila tonnellate e 1,17 miliardi di euro.

La tipologia di olio più commercializzata è quello vergine e extravergine, che costituisce in quantità il 91,3% dell’olio importato e il 69,4% di quello esportato.

Va però sottolineato che mediamente il prezzo dell’olio italiano, pari per il 2010 a 3,1 mila euro a tonnellata è superiore di ben 1,1 mila euro rispetto a quello degli oli esteri importati. Tale dato la dice lunga sul differente valore qualitativo, e di conseguenza commerciale, dell’olio nostrano rispetto a quello estero. Il differenziale di prezzo limita il saldo commerciale negativo dell’olio a -34,4 milioni di euro a fronte delle -230 mila tonnellate di differenza negativa fra l’esportazione e l’importazione.

 

Il valore dei prodotti olivicoli

La contabilità nazionale determina, per il 2010, in 1,40 miliardi di euro il valore dell’olio prodotto e contabilizzato nella branca agricoltura che insieme al valore delle olive in complesso (comprese le sanse), pari a 0,97 miliardi, da un valore corrente complessivo ai prezzi di base pari a 2,37 miliardi di euro .

Il valore dell’olio, prodotto nel 2010, risulta in leggero aumento rispetto all’anno precedente; ciò si deve all’incremento della quantità mentre il valore unitario è rimasto pressoché uguale.

Il dato più significativo è comunque il calo, persistente e continuo nel periodo 2004-2010 del valore unitario dell’olio sceso da 3,63 a 2,80 mila euro per tonnellata, con una contrazione di 830 euro per tonnellata (-22,9%).

L’apporto delle olive intere (sia da tavola sia per l’industria olearia) cresce negli ultimi anni (da 0,25 a 0,97 miliardi di euro) e consente al settore in complesso di conseguire il miglior risultato economico dopo il 2005.

La quantità complessiva di olive intere (che comprende olive da olio oleificate nell’industria, olive da tavola e sanse inviate all’industria olearia) è in aumento da 0,48 a 0,66 milioni di tonnellate negli anni 2004-2010; contemporaneamente il valore unitario è aumentato, da 0,52 a 1,47 mila euro per tonnellata, consentendo al valore totale delle olive di risultare in forte crescita (+950 euro e +182,7%).

In conclusione il valore dei prodotti dell’olivicoltura registrata per il 2010 è in aumento sul 2009 (+20,9%) ma in calo sul 2004 (-17,1%).

 

Gli oli extravergini di qualità

Gli oli riconosciuti e tutelati dall’UE sono attualmente 40, di cui 39 DOP e 1 (Olio Toscano) IGP (Tav. 7). Si tratta di prodotti tutti attivi per i quali vengono effettuati i controlli sulla coltivazione e certificata la produzione di olive e la loro trasformazione in olio extravergine.

Gli oli a indicazione geografica sono presenti in ben 17 regioni; sono assenti giustificati in Valle d’Aosta e Piemonte, mentre l’assenza in Basilicata sarà presto compensata dalla probabile entrata in attività di nuovi oli. Risultano in attività anche altre 3 DOP che operano, sempre in base alla legislazione vigente, in protezione temporanea, nell’attesa di ricevere il riconoscimento europeo. Altri 5 oli, non ancora in attività come DOP, sono in corso di riconoscimento.

Si tratta complessivamente di 48 prodotti a cui vanno aggiunti altri 39 oli compresi nell’Elenco aggiornato dei prodotti tradizionali garantiti; tale Elenco, compilato dalle Regioni e approvato dal MiPAAF, (Ministero delle politiche agricole, alimenti e forestali), costituisce spesso l’anticamera per il successivo passaggio a DOP e IGP.

Complessivamente l’Italia dispone di 87 oli extravergine di elevata e riconosciuta qualità che costituiscono un rilevante patrimonio colturale e culturale di grande valore sia economico sia sociale.

Va sottolineato che tali prodotti sono il frutto di un secolare legame esistente fra il lavoro, le tradizioni e la storia dell’uomo e l’evoluzione del paesaggio agrario in determinati territori ove l’olivo rappresenta una vera e propria pianta di civiltà che ha consentito il mantenimento e lo sviluppo della popolazione in molteplici areali collinari e pedomontani.

L’olio extravergine italiano, rappresenta anche un formidabile volano del “made in Italy” sia nelle esportazioni agroalimentari sia nel circuito culturale, turistico e enogastronomico nazionale.

Il recente e promettente sviluppo dell’oleoturismo, legato in buona parte alle Strade dell’olio, agli Olivi secolari e monumentali e alla manifestazione dei Frantoi aperti, è un segnale da incoraggiare.

 

La filiera degli oli DOP e IGP

La specifica rilevazione censuaria a cadenza annuale, svolta dall’ISTAT in collaborazione con il MiPAAF sui prodotti agroalimentari di qualità DOP, IGP e STG consente di evidenziare la struttura produttiva e l’evoluzione del comparto degli oli extravergini.

Nel 2004 (prima edizione della rilevazione ISTAT) 29 oli attivi (su 35 riconosciuti dall’UE) risultano il frutto congiunto di 20,9 mila agricoltori, che coltivano l’olivo su 86,9 mila ettari, e di 1,8 mila trasformatori, fra molitori e/o imbottigliatori.

 In seguito a un riordino avvenuto nella certificazione dello specifico olio Umbria nel corso del 2005, per un più corretto confronto con gli anni successivi, appare più conveniente utilizzare i dati relativi agli anni 2005-2010.

Nel 2005 il comparto comprende 32 oli attivi, 17,4 mila agricoltori, con 78,1 mila ettari investiti a olivo da olio e 1,6 mila trasformatori. Nel 2010 i 40 oli di qualità sono tutti attivi, gli olivicoltori salgono a 19,9 mila (+2,5 mila produttori, pari a +14,6%), la superficie olivicola raggiunge 98,1 mila ettari (+20 mila ettari, pari a +25,6%) mentre i trasformatori permangono pressoché stabili intorno a 1,6 mila unità e dispongono di 2,5 mila impianti di trasformazione.

La distribuzione territoriale degli operatori della filiera degli oli DOP e IGP risulta molto diversa da quella relativa all’olivicoltura italiana nel suo complesso.

Infatti, per gli oli a indicazione geografica, la maggior parte delle aziende agricole olivicole (11,4 mila unità, pari al 57,2% del totale), della superficie interessata (55,8 mila ettari, pari al 56,9%) e dei trasformatori (0,6 mila operatori, pari al 37,6%) è concentrata in Toscana.

Va sottolineato che in Toscana sono attivi ben 4 oli, 3 DOP (Terre di Siena, Chianti classico e Lucca) e un IGP (Toscano); in particolare l’olio Toscano costituisce il “gigante” del settore con a 11 mila olivicoltori, 51,5 mila ettari e 0,5 mila trasformatori.

Sempre nel confronto fra le diverse ripartizioni territoriali, mentre qualche anno fa sorprendentemente il Mezzogiorno pesava poco più del Nord, attualmente le situazioni sono molto cambiate; infatti la crescita maggiore è localizzata nel Mezzogiorno dove, fra il 2005 e il 2010 si registra un incremento di 686 aziende, 12.043 ettari e 131 trasformatori.

Rispetto alla zona altimetrica, la maggior concentrazione della filiera si riscontra nelle aree collinari ove è concentrato ben l’81,1% degli olivicoltori; il 79,3% della superficie, l’80,8% dei trasformatori e il 78,4% degli impianti di trasformazione.

Considerando il genere dei conduttori delle aziende, le donne gestiscono il 32% delle unità, a fronte del 68% condotto dagli uomini.

Lo sviluppo considerevole della filiera viene confermato anche dal fatto che nel 2010 risultano attivi tutti i 40 oli riconosciuti, mentre nel 2005 erano attivi solo 32 su 37.

Le rilevazioni e le elaborazioni svolte dall’ISMEA consentono di quantificare la quantità certificata e il valore alla produzione, al consumo sul mercato nazionale e all’esportazione.

Nel periodo 2004-2009 la produzione certificata sale da 5,0 a 10,4 mila tonnellate (+5,4 mila tonnellate, pari a +105,5%); contemporaneamente si incrementa anche il valore totale alla produzione passando da 50,2 a 84,1 milioni di euro (+33,9 milioni di euro, pari a +67,6%). Tale andamento è la risultante del costante incremento della produzione olearia DOP e IGP e del contemporaneo calo del prezzo unitario medio che scende da 9,96 a 8,12 mila euro per tonnellata (-1,84 euro per tonnellata, pari a -18,5%).

Il valore al consumo degli oli immessi sul mercato nazionale risulta in significativo aumento, passando da 44,8 a 68,8 milioni di euro (+24 milioni di euro, pari a +53,5%).

Per il 2009, in base alle elaborazioni svolte sui dati censuari degli Organismi di controllo e sulle indicazioni dei Consorzi di tutela, l’ISMEA valuta che il 52,2% della produzione degli oli DOP e IGP, pari a 5.408 tonnellate, viene commercializzato sui mercati esteri conseguendo un fatturato all’export (riferito ai soli prodotti per cui dall’indagine è risultato disponibile l’export in valore) di 51,6 milioni di euro; pertanto, il prezzo medio unitario all’esportazione è pari a 9,54 mila euro per tonnellata.

Sommando il valore al consumo sul mercato nazionale (68,8 milioni di euro) con quello del fatturato all’export (51,6 milioni) si ottiene un valore complessivo che supera i 120 milioni di euro e costituisce circa il doppio di quello rilevato per il 2004.

In conclusione, fra il 2004 e il 2009, raddoppia sia la quantità certificata sia il valore complessivo del comparto (consumo nazionale più esportazione) a fronte del calo del valore unitario alla produzione e alla esportazione. Il consumo nazionale di incrementa sia in quantità sia in valore totale e unitario.

Il valore unitario al consumo in complesso (consumo nazionale più esportazione) consegue un incremento di 3,51 mila euro per tonnellata, pari a +43,2% rispetto a quello realizzato alla produzione; pertanto, il valore unitario alla produzione (sempre espresso in valore corrente ai prezzi di base e in migliaia di euro per tonnellata di oli DOP e IGP) pari a 8,12 mila euro sale a 11,63 mila euro.

 Secondo la Fondazione Qualivita, circa il 65% degli oli risulta esportato in Paesi UE e il restante 35% in Paesi extra UE. Relativamente al mercato italiano, Qualivita attribuisce per le piccole produzioni di oli la prevalenza della vendita diretta; viceversa per le grandi produzioni prevale la vendita nella grande distribuzione, che assorbe ben l’80% dell’olio Toscano commercializzato.  

 

Conclusioni e previsioni

La filiera olivicola italiana appare alquanto stabile nel corso degli ultimi anni.

L’invecchiamento degli olivicoltori desta preoccupazioni per il futuro del settore.

Il basso tasso di scolarizzazione dei capi azienda non facilita l’evoluzione delle aziende.

La forte concentrazione collinare degli impianti costituisce una caratteristica determinante di ampie aree del paesaggio agrario.

Le condizioni ambientali influenzano sia lo sviluppo dei patogeni sia la quantità e la qualità della produzione.

I costi dei mezzi di produzione e della manodopera incidono sul valore alla produzione e al consumo.

Il commercio estero risulta in parte squilibrato; le importazioni superano le esportazioni, mentre il prezzo all’export è considerevolmente superiore di quello all’import.

Il valore unitario alla produzione dell’olio in complesso è in calo nel quinquennio 2005-2010.

Gli oli extravergine a indicazione geografica rappresentano una ricca e promettente nicchia nel complesso dell’olivicoltura italiana.

Le produzioni DOP IGP presentano buone possibilità di sviluppo e conseguono prezzi alla produzione, al consumo e all’esportazione considerevolmente più elevati degli oli non riconosciuti e tutelati dall’UE.

Analizzando i costi di produzione dell’extravergine italiano si evidenzia come il settore sia strutturalmente penalizzato rispetto ai costi realizzati in altri Paesi mediterrenanei; pertanto, appare sempre più indispensabile “sposare la qualità” quale fattore strategico primario di competizione, riqualificazione e innovazione (di prodotto e di processo) sul mercato locale, nazionale e estero.

Nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione e informazione rivolte ai consumatori, la conoscenza degli oli di qualità DOP e IGP risulta alquanto limitata e ciò riduce il bacino potenziale degli acquirenti e degli appassionati dell’olio buono.

La Commissione europea ha recentemente varato il “Pacchetto Qualità”, attualmente in discussione nel Parlamento e nel Consiglio dell’Unione, che si prefigge di migliorare sia il reddito sostenibile degli olivicoltori, sia l’informazione dei consumatori.

L’evoluzione della politica agricola comunitaria si orienta sempre più a valorizzare i prodotti di qualità quali strumenti efficaci di sviluppo sociale, economico e culturale delle aree rurali, specie di quelle montane e insulari.

Si prevede che gli oli extravergine DOP e IGP, nonostante talune fasi congiunturali negative, possano puntare a un maggiore e consistente sviluppo di tutta la filiera olearia; ciò può avvenire impostando correttamente una sapiente e accorta tutela, gestione e promozione del loro valore aggiunto materiale (qualità, bontà, salubrità, caratteristiche organolettiche, proprietà medicinali, ecc.) e immateriale (storia, cultura, legame identitario con il territorio, tradizioni, usi e costumi, ecc.).

Il futuro dell’olio di qualità sta tutto nella valorizzazione della sua origine e nella passione dei produttori; fino a quando l’uomo e l’olivo proseguiranno con fedeltà la loro unione millenaria e felice la vita sarà più piacevole e il cibo più gustoso.

Il pericolo di perdere la ricchezza ricevuta in eredità dai nostri antenati (si pensi ai tanti oliveti abbandonati) è sempre incombente; è quindi compito primario dei decisori politici e amministrativi comunitari, nazionali e regionali seguire con attenzione e incentivare con cognizione di causa l’olivo che rappresenta una pianta di civiltà e di benessere che sicuramente migliora la qualità complessiva della vita.

In conclusione gli oli a indicazione geografica costituiscono un formidabile volano del “made in Italy” sia nel commercio internazionale sia nell’ambito del circuito turistico e enogastronomico nazionale; le produzioni DOP e IGP rappresentano, anche in periodo di congiuntura economica sfavorevole, una delle migliori opportunità per un rinnovato sviluppo competitivo del settore agroalimentare.

 

Bibliografia

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di Mario Adua

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