Bio e Natura 06/07/2015

Il formaggio non lo fa il casaro ma la vacca

L'arte del casaro è meno importante di quella della vacca. Il metodo di allevamento e alimentazione, ma anche la “storia” di ogni singolo animale, sono fondamentali per definire l’aroma del formaggio


La storia “personale” della mucca può fare la differenza per quanto riguarda il profumo e il sapore del formaggio. A stabilirlo è uno studio realizzato dalla Fondazione Mach, in collaborazione con l’Università di Padova, recentemente pubblicato sul “Journal of Dairy Science”, la rivista scientifica internazionale più importante del settore lattiero caseario. Gli studiosi di San Michele all’Adige hanno analizzato 150 formaggi sperimentali ottenuti dalla caseificazione del latte di 150 diverse vacche di razza bruna allevate in 30 stalle del Trentino. Con la gascromatografia sono stati identificati i composti volatili che contribuiscono a formare l’aroma dei formaggi. Un passo avanti verso la tracciabilità dei prodotti di qualità.

Il metodo di allevamento e alimentazione, ma anche la “storia” di ogni singolo animale, sono fondamentali per definire l’aroma del formaggio. Lo hanno dimostrato i ricercatori della Fondazione Mach che, assieme ai colleghi dell’Università di Padova, e con il supporto tecnico e organizzativo della Federazione Provinciale Allevatori di Trento, hanno appena ultimato uno studio pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “Journal of Dairy Science”, entrato nella graduatoria dei cinque lavori più letti.

Il Gruppo di ricerca Qualità Sensoriale di San Michele all’Adige ha analizzato 150 piccole forme di formaggio ottenute dalla caseificazione in condizioni sperimentali di latte munto da 150 animali diversi: ogni forma analizzata era quindi associata ad una singola vacca della quale sono state raccolte tutte le informazioni “personali” (età, numero di parti, stadio di lattazione, quantità di latte prodotto) e dell’azienda (dimensione, tipologia di strutture, modalità di gestione e alimentazione).

La sperimentazione ha riguardato pertanto 150 vacche di razza bruna allevate in 30 aziende della provincia di Trento, scelte come rappresentative della realtà locale. Attraverso la tecnica della gascromatografia sono stati identificati nei campioni oltre 50 composti volatili, appartenenti a diverse classi chimiche, che contribuiscono all’impatto sensoriale del formaggio, in modo particolare al suo profumo e sapore.

Lo studio conferma l’effetto dei sistemi di allevamento e della dieta sulla qualità finale del prodotto, ma dimostra che è anche possibile legare gli aspetti delflavourdel formaggio ad alcuni attributi degli animali, come lo stadio di lattazione o la produttività o il numero di parti. In altre parole, lo studio dimostra che sulla qualità del latte incide non solo la gestione degli animali, ma anche le caratteristiche stesse dei bovini.

I 150 campioni analizzati nel laboratorio del Centro Ricerca e Innovazione sono stati ottenuti da una sperimentazione molto più ampia, avviata nell’ambito del progetto sulla qualità delle produzioni in ambiente montano, CowPlus, finanziato dalla Provincia autonoma di Trento. Il lavoro svolto a San Michele dimostra la possibilità di incrementare il valore del latte puntando sulla differenziazione dei formaggi e muove un primo passo nella direzione della rintracciabilità del prodotto in base ad aspetti qualitativi come il profilo aromatico.

I ricercatori ora stanno lavorando su un’altra analisi incentrata su oltre mille formaggi individuali di vacche trentine, attraverso la tecnica della spettrometria di massa (PTR-MS), più rapida della gascromatografia, con cui vogliono anche indagare le basi genetiche della qualità sensoriale dei formaggi.

di C. S.