Editoriali 19/05/2017

Basta prendere in giro il consumatore, non è fesso

Il consumatore è sempre più esigente, le domande sempre più precise e specifiche. L’industria deve essere più accorta. E il consumatore sta dimostrando di saper giocare, se non proprio alla pari, la sua partita con l’obiettivo di coltivare sempre più i propri interessi. L'analisi di Enrico Cinotti, vicedirettore de IlSalvagente


“Le persone non si fidano più di quello che trovano al supermercato. Vogliamo un libro che faccia chiarezza su quello che c’è scritto in etichetta, che aiuti i consumatori a capire cosa si nasconde dietro alle sigle degli additivi, che spieghi gli effetti sulla salute di certe sostanze senza fare allarmismo ma nemmeno sconti: serve una ‘bussola’ con la trovare da soli i propri cibi”. Quando Martina Donati, editor della Newton Compton, mi ha proposto di scrivere quello che poi è diventato “È facile fare la spesa se sai leggere l’etichetta” mi sono venute in mente le cose che ci diciamo da oltre vent’anni con Riccardo Quintili, direttore de Il Salvagente: “I consumatori devono, perché vogliono, scegliere senza essere scelti”. La pubblicità rassicurante, il marketing aggressivo e le mode (e le bufale) alimentari sono sempre in agguato e, come una longa manus, ci costringono, spesso davvero a nostra insaputa, a scegliere il “quel” prodotto invece di un altro che a un’analisi più attenta avremmo voluto mettere nel carrello. Tutti vittime di un complotto? No, il mercato coltiva i suoi interessi e per questo noi consumatori dobbiamo imparare a fare i nostri.

La partita non è facile, ma gli strumenti non ci mancano. Sulle confezioni sono riportate una quantità di dati che, imparando a maneggiarle, possiamo far fare un salto di qualità ai nostri acquisti. L’etichetta è la carta di identità del prodotto, racconta una parte importante della storia del cibo ma spetta a noi completare quel racconto, decidendo da soli quali prodotti portare alla cassa. Ho accetto allora di scrivere questo libro portandoci dentro la competenza acquisita sul campo e arricchendo ogni pagina con l’esperienza in prima persona - fatta di dubbi svelati e curiosità soddisfatte - di chi fa la spesa tutti i giorni ponendosi delle domande e cercando di darsi delle risposte. Le meno consolatorie possibili, con l’obiettivo di ‘accrescere’ nei lettori (spero sempre più numerosi) la voglia di “fare i propri interessi” e di imparare a “scegliere senza essere scelti”.

Il libro è uscito in libreria il 23 febbraio e in questi tre mesi ho conosciuto tante persone durante le presentazioni incontrando sempre molta attenzione, curiosità e tanta competenza. Quest’ultimo aspetto è sicuramente il più inatteso. Ho cominciato, se vogliamo anche con un po’ di presunzione, pensando che andavano “aiutati i consumatori a difendersi” dalle sirene del mercato. E invece molto spesso mi sono dovuto ricredere: i consumatori sono molto più avanti di qualsiasi ufficio marketing, più informati di quanto lo si voglia far credere, più coscienti del gesto “politico” che compiono facendo la spesa. È vero a volte prevalgono isterie e leggende alimentari che tendono a “demonizzare” questo o quell’alimento. Però i consumatori oggi, anche grazie al miglioramento normativo sulla sicurezza alimentare e alla facilità con la quale si possono reperire informazioni rispetto a solo 5-10 anni fa, sono molto più “attivi”, meno creduloni e sono dotati di una cassetta degli attrezzi con la quale l’industria alimentare deve fare i conti.

Prendiamo la vicenda dell’olio di palma. Nel momento in cui con il Regolamento Ue 1169/11 i produttori sono stati obbligati a specificare il tipo di grasso vegetale impiegato nel processo produttivo. Abbiamo scoperto che eravamo inondati di olio di palma, il grasso tropicale che causa deforestazioni ma che è anche carico di grassi saturi e pieno di contaminanti di processo cancerogeni come il 3-Mcpd. Dal basso è nata una petizione, lanciata dal Fattoalimentare.it, per chiederne la sostituzione e centinaia di migliaia di consumatori l’hanno supportata. Il fronte delle aziende ha cominciato a vacillare. Di fronte poi al report dell’Efsa (maggio 2016) sulla presenza di contaminanti tossici e sull’esposizione elevata dei più piccoli, il fronte è crollato: per la prima volta nella storia non è servito uno scandalo alimentare per intervenire sulla lista degli ingredienti, sono stati i consumatori che hanno imposto all’industria alimentare di cambiare la ricetta di molti prodotti e di sostituire l’olio di palma. C’è chi ha resistito e chi addirittura di un punto di debolezza ne ha fatto uno di forza: ora sulle confezioni è un pullulare di slogan tipo “Senza olio di palma”.

Di esempi come questo ne potrei fare altri. Durante le presentazioni del libro ho incontrato persone che hanno saputo mettermi in crisi, o meglio che mi hanno regalato dubbi e spunti di riflessione: “Vogliamo conoscere il tempo di frollatura delle carni prima che vengono lavorate e preincartate al supermercato”; “L’origine del latte nei formaggi da solo non basta: serve capire lo stato nel quale è stato lavorato, se cioè la mozzarella è stata ottenuta attraverso una cagliata congelata”; “Perché l’indicazione della campagna oleraria non viene resa obbligatoria anche per i blend comunitari ed extra Ue?” E ancora: “I prodotti a marchio della Grande distribuzione vengono forniti spesso da famosi marchi alimentari: i prezzi sono inferiori ma vogliamo sapere se anche la qualità lo è. La Gdo deve fare chiarezza”; “Non basta indicare ‘Aromi’: bisogna specificare il tipo, come per l’olio di palma”. Chiedono troppo questi consumatori? Non credo.

Tutti questi esempi sono anche degli indizi che lasciano intendere un cambio di paradigma: grazie alla consapevolezza dei consumatori, l’industria deve essere più accorta. E il consumatore sta dimostrando di saper giocare, se non proprio alla pari, la sua partita con l’obiettivo di coltivare sempre più i propri interessi.

di Enrico Cinotti

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