Editoriali 11/09/2015

Sottocosto sull'olio d'oliva: sicuri di sapere la verità?

Come combattere e battere il sottocosto nel settore oleario? Perché l’olio d'oliva è ormai una commodity? Ecco l'analisi e le possibili soluzioni del Presidente di Assitol, Giovanni Zucchi


Vi è mai capitato di fare un bel regalo e di vederlo usato come fermaporta? Spesso, se siete imprenditori dell’olio. La stessa sensazione, tra rabbia e stupore, immagino la provino anche molti agricoltori e frantoiani quando si imbattono in certi prezzi sugli scaffali della grande distribuzione.
Perché la nostra filiera non riesce a costruire valore per ciò che vende? Perché l’olio è ormai una commodity? I problemi sono due. Primo, il vero sottocosto. Secondo, ciò che sembra sottocosto ma non lo è. Potremmo definirlo “al costo”, ed è figlio di una pressione promozionale che rasenta il 70% delle vendite oppure di un contratto di acquisto fatto sei o dodici mesi prima.

Ridare valore agli oli da olive è la strada che molti hanno provato ad intraprendere in questi anni. Ma finora norme più o meno severe, discussioni accese, controlli a ondate hanno prodotto ben poco rispetto alle potenzialità dell’olio extravergine di oliva.
Per noi di ASSITOL non esistono soluzioni magiche. L’unica strada è un percorso complesso, certamente coraggioso, ma, in quanto collettivo,capace di produrre risultati: l’extravergine non più prodotto-civetta ma qualcosa di prezioso. Ciò che è in realtà.

Ma cos’è un prodotto civetta?E’ un prodotto da pubblicizzare su volantino, anche al costo, di grande interesse per il consumatore, usato come esca per attirare clienti in un punto vendita, in modo da far comprare altri prodotti a prezzi “pieni”.
La Grande Distribuzione ha parte della responsabilità, visto che segue il modello “più ce n’è, meglio è”. Più commissioni una tantum di ingresso a scaffale, più soldi. Qualche colpa, però, ce l’abbiamo pure noi imprese. Alcuni anni fa, per mantenere le rotazioni, cioè le vendite, ad un livello adeguato si è cominciato a ricorrere al taglio-prezzo: sembrava l’unica cosa che il consumatore percepisse. Perso il controllo, ora molte catene distributive fanno promozioni in completa autonomia anche sui top brand. Tuttavia, settori come quello vinicolo riescono a segmentare i loro prodotti valorizzandoli, da quello in brick alla Docg da 70 euro. Noi, invece, stiamo qui a fare la guerra in pochi euro.

Il punto è che l'extravergine ha il ruolo di re incontrastato nell’immaginario collettivo, mentre altri oli della stessa famiglia –il vergine,l’oliva da lampante, la sansa - pur essendo tutti da olive, sono considerati le “Cenerentole” del ballo. Tutti, insomma, vogliono solo l’extravergine e a poco prezzo. Il vergine ha poi la colpa di non essere extra. Quale persona di buon senso comprerebbe un vergine con un EXTRAvergine di fianco?

Questo approccio culturale, sedimentato negli anni, ha fatto sì che si santificasse l'extravergine (e con buone ragioni) m si demonizzassero gli altri oli da olive. Come sa qualsiasi trader, se perdono valore i prodotti base, ovvero quelli di prezzo più basso che sostengono il mercato, tutti i prodotti superiori ne risultano sminuiti. E quando scompaiono quelli intermedi, anche il top diventa una commodity.

Come ribaltare la situazione?ASSITOL propone il ripensamento del ruolo di tutti gli oli da olive, con l'obiettivo di ridare un senso all’intera gamma, a seconda della tipologia di impiego. L’obiettivo è valorizzare le caratteristiche di tutti gli oli, integrandoli a vicenda nello stesso mercato.

Un'idea di come ridisegnare le categorie, ASSITOL ce l'avrebbe già: olio d'oliva per la frittura, mentre, nell'ambito dei vergini, si può pensare ad un olio da cucina dal prezzo più basso e ad un olio da condimento a prezzo superiore e parametri più ristretti. Il sansa d'oliva continuerebbe ad avere il ruolo di apripista nei mercati stranieri che non conoscono l'extra, come primo olio, comunque economico, da provare nel momento in cui si abbandonano i semi.
Gli effetti positivi ricadrebbero su tutta la filiera, e non solo sul prezzo. Da un lato finalmente ci sarebbero, per tutti gli operatori onesti, sbocchi riconosciuti per ogni tipo di prodotto e quindi la possibilità di lavorare in trasparenza. Dall’altro si scoraggerebbero in maniera radicale le operazioni sottocosto dei prodotti di qualità, perché ogni tipo di prodotto, avendo una sua banda di oscillazione di prezzo, farebbe comunque da cuscinetto per i prezzi di quelli superiori.

Tutto questo, però, non basta. Servono altri tre elementi. Il primo è la possibilità di raccontare al consumatore ciò che si vende, in particolare l’olio da condimento. E’ fondamentale poter utilizzare in etichetta descrittori liberi, allo scopo di permettere una valutazione autonoma da parte di chi compra. Potremmo parlare di etichetta “narrativa”, come strumento per ridare potere al consumatore. In questo modo le DOP/IGP, il 100% italiano, i blend di qualità troverebbero una naturale collocazione sul mercato a livelli più aderenti alla loro qualità organolettica.

Il secondo elemento è la coesione del settore. Il progetto di riposizionare gli oli d'oliva si può realizzare soltanto grazie ad un impegno comune, come nel caso del PON. Una filiera forte, un’Interprofessione capace di darsi un programma simile, a nostro avviso, può dialogare in modo costruttivo anche con la Grande Distribuzione. Una filiera coesa può lavorare a favore di una cultura del prodotto-olio, ottimo antidoto contro l'idea del sottocosto.Infine,sarà più efficaceil confronto con le istituzioni italiane ed europee. Sedersi tutti ad un tavolo con gli organismi competenti, come ha fatto in Italia il comparto della carne qualche anno fa, e ragionare insieme su come razionalizzare e finalizzare i controlli, sotto il coordinamento dell’ICQRF, ci consentirebbe di dare più forza a chi lavora seriamente. Esportare il Sian a livello a livello europeo e il ripensamento delle categorie (due partite che si giocano a Bruxelles e al COI) riequilibrerebbero poi un mercato internazionale molto sbilanciato verso i nuovi paesi produttori, aprendo nuove possibilità negli Stati Uniti, oggi il maggior mercato fuori dall’Europa.

Raggiungere questi obiettivi è fondamentale per la crescita di valore del settore. Puntare su uno e non sull’altro, invece, porterebbe al fallimento. Una volta ristabilito l’equilibrio, episodi isolati di pratiche commerciali spericolate sarebbero del tutto marginali. Se poi nel contempo avremo sfruttato le potenzialità del Piano Olivicolo cui siamo orgogliosi di aver contribuito, avremo davvero costruito un futuro diverso per il settore italiano dell’olio da olive e tutti – sottolineiamo tutti – i suoi attori.

di Giovanni Zucchi

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Commenti 4

giampaolo sodano
giampaolo sodano
12 settembre 2015 ore 22:52

E’ tempo di riforme. Si può accettare l’idea di una comune strategia degli operatori del settore oleario nei confronti delle istituzioni nazionali e comunitarie per cambiare le molte cose che non vanno, ma con la consapevolezza che tra gli interessi della “mia” impresa, un frantoio oleario artigianale, e una grande azienda di confezionamento di proprietà di un fondo inglese e di banche spagnole non vi può essere nessun denominatore comune.
Detto ciò entriamo nel merito: d’accordo sulla necessità di cambiare la classificazione dell’olio dalle olive alzando i parametri di qualità dell’extravergine ma alla condizione che sia chiara sul mercato la diversità tra un olio prodotto da olive italiane da un frantoio artigianale e un olio importato e imbottigliato. Una misura necessaria in un Paese che produce 160.000 quintali d’olio e ne importa 630.000! E ciò non per demonizzare nessuno, ma per la semplice ragione (il presidente Zucchi lo sa bene) che il prezzo dell’olio lo fanno i commercianti di Barcellona o di Tunisi.
L’etichetta narrativa: anche qui siamo d’accordo, ma chi può narrare? Il mastro oleario che fa il suo olio nel suo territorio o il chimico che miscela oli importati?
E veniamo al tema centrale, il costo sullo scaffale del supermercato, anzi il sottocosto. Rileggiamo insieme un passo della relazione annuale della società Deoleo che dice: “Se un imbottigliatore offre prezzi al di sotto della concorrenza e senza collegamento con i prezzi di mercato della materia prima che lavora, dovrebbe rivedere il suo sistema contabile dei costi. E se non cambia metodo, non ci resta altro che pensare che stia attuando pratica fraudolenta”. E conclude: “La vendita di olio sottocosto e la pressione distruttrice sui margini della catena sono un incentivo alla frode”.
Giovanni Zucchi è uomo intelligente e colto. La Sua presidenza da lustro all’associazione degli importatori e imbottigliatori di olio dalle olive, e questo è cosa buona e giusta, e potrebbe anche essere utile a tutto il settore. Soprattutto se non si cerca di giocare con le carte truccate. Vogliamo sottoscrivere insieme che la vendita sottocosto è una frode al consumatore e come tale va perseguita?

Francesco Donadini
Francesco Donadini
12 settembre 2015 ore 10:20

gentile Hans Suter,
come si fa a definire un'analisi seria, un documento sicuramente intetressante ma che si riferisce agli anni 2004/2007? Prima della crisi. E' un contributo interessante, ma vecchio, come tutte le analisi, sono fotografie di un momento, oggi molto distante. Comunque già allora importavamo 63.000 t di olio lampante, 56.000 t di olio raffinato, 27.000 t di olio di sansa raffinato, ma a cosa servivano? Questa sarebbe un'indagine da fare nelle Università e diffondere anno per anno. Passare dall'astratto al reale per fare vera cultura alimentare, utile a tutti! Trattare un'oliva come fosse un bullone standard è solo spreco di risorse!

Francesco Donadini
Francesco Donadini
12 settembre 2015 ore 09:22

gentile sig. Zucchi, mi pare che non si voglia vedere che la realtà dell'olio di qualità sta invece prendendo la stessa strada del vino. Si va in Frantoio, dall'amico fidato, si gira l'Italia e si porta a casa l'olio buono: se ferma un camper trova le lattine, come le bottiglie. Il mercato del vero extravergine da olive passa sempre meno per GD/GDO. Sono sforzi inutili tentare di cambiare una qualità che nessuno apprezza e i grandi produttori d'olio della qualità non hanno alcuna considerazione, anzi hanno distrutto il mercato di qualità. Ero in villeggiatura in un luogo ameno e avevo bisogno di un extravergine, nel punto vendita GDO, in mezzo ad una montagna di marchi blasonati ma inutili, c'era una sola Dop, l'ho preso. Ben venga il piano olivicolo nazionale, ma è il commercio che non vuole vedere la realtà che cambia, il consumatore sopporta il gioco, ma la testa è e cambiata e saranno sempre di più a cambiare. Anche nei tempi di crisi alla fine la salute è importante. Le chiedo dove vanno le molte autobotti di olio lampante che continuano a girare per il paese? Grazie per l'attenzione, Francesco Donadini. Ho quasi cambiato mestiere per consigliare e vendere vero olio extravergine d'oliva.

hans suter
hans suter
12 settembre 2015 ore 08:08

Qui manca una analisi seria. Eccone una:
http://www.iulm.it/wps/wcm/connect/7e3209804f0d7caa8ca1ec34fb79df54/Economia+dei+settori+1.pdf?MOD=AJPERES&CONVERT_TO=url&CACHEID=7e3209804f0d7caa8ca1ec34fb79df54