L'arca olearia 26/05/2007

LO STATO DI SALUTE DEGLI OLI EXTRA VERGINE DI OLIVA ITALIANI. LA PAROLA AI SELEZIONATORI DI QUALITA’ E AI BUYER

Qual è l'effettivo grado di qualità degli oli ricavati dalle olive in Italia? Quelli degustati da chi deve effettuare una scelta in funzione della vendita sullo scaffale dei supermercati o di un’enoteca, o di chi deve proporli nel segmento della regalistica aziendale, come vengono giudicati nel complesso? Sono appena sufficienti, discreti, buoni o eccellenti? Le opinioni di Gargiulo per Coop e di Brambilla per Esselunga, e le testimonianze di Bandirali e Longo per le enoteche


Ecco la prima puntata di un’inchiesta su un prodotto divenuto oramai protagonista e simbolo del nostro agroalimentare. Abbiamo riservato uno spazio a parte, quello di apertura, a chi l’olio lo compera per poi rivenderlo. Abbiamo raccolto perciò il loro punto di vista con grande curiosità, senza esprimere alcun giudizio personale in merito a quanto dichiarato. Lo faremo a conclusione del giro di consultazioni.
La questione è seria e non è da prendere sotto gamba. Si fa un gran parlare di made in Italy, ed è bene che si chiarisca lo stato della realtà, senza tanti giri di parole.
Nel prossimo numero ospiteremo il parere degli esperti assaggiatori, di coloro, insomma, che con gli extra vergini trascorrono tanto tempo, in modo metodico e sistematico, spaziando da zona a zona di produzione.


LA VOCE DELLA GDO

Vittorino BRAMBILLA, buyer Esselunga:
"Sono buoni, in generale. Tra i campioni che riceviamo, trovo molto eccellenti gli extra vergini di Sicilia, nord barese, Toscana, nord Sardegna, Umbria, Garda veneto; Imperiese ligure".

Ermanno GARGIULO, direzione acquisti, compratore oli e vini COOP:
"A mio modesto parere lo stato di salute degli oli extra vergini italiani non è dei migliori, anzi aggiungerei che tutto il settore dell'olivicultura è in grande crisi e difficilmente se non si tregistreranno politiche nazionali di rivalorizzazione della parte agricola italiana olio, potranno
invertire la tendenza
.
Sempre di più siamo messi nelle mani degli Spagnoli, sia da un punto di vista del mercato della materia prima, sia dal punto di vista dell'imprenditoria confezionatrice del settore che oramai cambia bandiera.
Il solo paventato valore aggiunto della diversificazione dei gusti nell'ambito di politiche "o pseudo tali" di distintività italiana nei confronti del mercato mondiale sulle denominazioni non regge banco e non è più credibile.
Nuovi mercati esteri si stanno aprendo sia alla produzione che alla prossima commercializzazione e ciò renderà sempre di più la nostra olivicultura in difficoltà nei confronti di paesi emergenti con politiche agricole più chiare e finalizzate al business su questo settore
Questo descritto e lo scenario, secondo me... venendo al resto?
Per quanto riguarda nello specifico la qualità o meglio la percezione che si ha o posso avere sugli ultimi assaggi fatti (ad onor del vero non ne faccio poi tanti) e che la stessa è fortemente inficiata per il mass market da come vengono fatti gli acquisti e dalla loro provenienza/qualità.
Per quanto riguarda il tipico, si assiste a mio modo di vedere, ad una frenetica rincorsa al premio, (ammesso che tutta sia qualità vera o presunta tale su tutti i prodotti Dop e/o Igp in circolazione) tralasciando di vista il consumatore che rimane sempre più disorientato non intuendo (anche attraverso cattive informazioni dei mass-media ) la qualità ed il brand dove vadano o dove siano.
Storicamente il consumatore come Lei sa si lascia guidare dalla marca, poi dall'origine o presunta tale sbandierata (Italia) e poi in ultimo quello più evoluto dal prodotto premium o a denominazione.
Pertanto, è bene che una politica di "conservazione della specie" oserei dire, sia fatta dalle nostre istituzioni a protezione reale della genuinità del prodotto e della storicità del nostro vissuto, non solo quindi con sponsorizzazione di manifestazioni sui territori e sul tipico, che pur avendo un fortissimo impatto mediatico non convinco la stragrande maggioranza del consumatore che usa l'olio prevalentemente come condimento di base.
Sono appena sufficienti, discreti, buoni o eccellenti? Le sembrerò un po’ polemico, ma la mia è una considerazione onesta, probabilmente non tutta corretta, ma veritiera del reale momento dell'olivicoltura nazionale.
Di oli ce ne sono di buoni e di meno buoni, qualche eccellente ma questo come può immaginare rappresenta una nicchia ed è per un consumatore esigente. Mi ha colpito positivamente la crescita di alcune aree che in termini di qualità, ed in special modo, la Sicilia".

LA VOCE DELLE ENOTECHE

Luca BANDIRALI, Enoteca Fuori Porta, Crema; presidente Ais Lombardia:
Credo che ad oggi il livello qualitativo sia eccelso. Lo vedo in un panorama di aziende testate e consolidate, con esperienza alle spalle. Gli oli che ho posizionato nella mia enoteca sono di grande qualità e vanno al di là di un gusto personale. Il passo successivo è di puntare verso una cultura dell’olio tutta da costruire. In quest’ottica, occorre spingere il consumatore ad accogliere l’idea di cambiare la propria concezione sull’olio. Deve essere irrobustito il loro grado di conoscenza e il limite ancora da superare è l’idea chiusa di regionalizzazione. Come nel vino un tempo, c’è sempre chi si affeziona a un prodotto specifico e si tende a codificare un gusto che però non è l’unico parametro da prendere in considerazione, si tratta dunque di una penalizzazione che va superata.
Gli oli disponibili sul mercato sono in generale, al di là delle mie scelte lavorative, di buon livello, ma credo ci sia molto da fare per farlo percepire al mondo esterno alla produzione. Alcuni passi sono stati fatti, ma la ristorazione per esempio è ancora indietro, a parte quella che si muove a livelli alti. Ho trovato infatti in alcuni chef lo sforzo di dare un valore aggiunto all’olio. Dobbiamo tener presente che noi siamo la Borgogna dell’olio, siamo il massimo dell’espressione. La produzione – quella che imbottiglia anche con un packaging di qualità, quella che si presenta in un certo modo - si sta orientando decisamente verso l’alto”.

Giovanni LONGO, Enoteca Longo di Legnano (Milano):
"In generale non sono ottimista: troppe etichette, confusione di prezzi e qualità bassa. In merito al mio settore di appartenenza, è diverso. Chi opera nel settore delle enoteche, o della regalistica aziendale, ha un ottimo panorama tra cui poter scegliere prodotti di qualità.
Ho degustato alcuni oli buoni ed eccellenti, e forse, per il posizionamento della mia enoteca, non mi vengono proposti oli cattivi o appena sufficienti; solo qualche volta non sono proprio dei capolavori.
Il vero problema è convincere il consumatore, il quale, se è disposto a spendere 30-40-100 o più euro per una bottiglia di vino che consuma in un pasto, non può stupirsi per 50 cl di ottimo olio a 10-15-20 euro che utilizza in tre settimane. Penso sia soprattutto un fatto di cultura, e non economico, perché chi acquista le bottiglie di vino ai prezzi che ti ho detto è lo stesso che si meraviglia per l’olio. Non sto quindi parlando di due "portafogli" diversi, ma dello stesso potere di acquisto. Ce ne vorrà di tempo, e tu dovrai consumarne di inchiostro, io di parole, e gli olivicoltori seri di viaggi, degustazioni...”

di Luigi Caricato