Salute 23/09/2015

Tante malattie si possono curare con il cibo

Il cibo può diventare una terapia secondo gli esperti dell'Ospedale Bambin Gesù. La pratica clinica ha dimostrato l'efficacia di regimi alimentari particolari anche per il trattamento di malattie neurologiche, come l'epilessia resistente ai farmaci


Prima di subire l'influenza di fattori ambientali e culturali, ciò che finisce nel piatto ha una determinazione genetica. Così come avviene per la definizione del colore della pelle, degli occhi o dei capelli, nel patrimonio genetico è scritto anche come si esprimeranno i recettori del gusto.

La percezione dei diversi gusti (amaro, dolce, saporito o umami, salato, acido, grasso) avviene grazie a recettori presenti principalmente nella lingua, nelle papille gustative, che attraverso un sofisticato meccanismo trasmettono il segnale al sistema nervoso periferico. Ad ogni variazione genetica nei recettori del gusto corrisponderà un diverso modo di percepire i sapori.

Per fare un esempio, i super taster - persone particolarmente sensibili al gusto amaro - saranno orientati a scartare dalla propria dieta cibi come broccoli, rape, birra, tè verde, vino rosso, latticini, saccarosio. I "non taster" tenderanno invece al comportamento opposto.

La percezione dei gusti può variare con l'età, ma la capacità di distinguere i sapori è presente ancor prima della nascita. Le papille gustative si formano nel periodo embrionale, quindi il feto è in grado di percepire il sapore del liquido amniotico che contiene molti nutrienti come il glucosio. Allo stesso modo i neonati, che poco dopo la nascita mostrano le proprie preferenze gustative attraverso la mimica facciale.

Il cibo è piacere ma anche dovere.

Mentre è noto che una cattiva gestione del cibo può diventare causa di malattia, come dimostrano gli eccessi o le carenze alimentari, esistono patologie legate ad errori congeniti del metabolismo che non consentono il regolare svolgimento dei processi di trasformazione del cibo nell'organismo. Questi ‘errori' possono causare la concentrazione di alcuni nutrienti fondamentali che, accumulandosi, diventano tossici. In questi casi la dieta è una vera e propria terapia basata sulla restrizione del nutriente che si accumula o sull'integrazione con prodotti necessari a garantire una crescita il più possibile normale ai bambini.

Le patologie metaboliche ereditarie sono più di 500 e rappresentano circa il 10% delle malattie rare. L'assunzione dei comuni alimenti da parte di chi ne soffre può avere effetti tossici e spesso il primo a subirne le conseguenze è il cervello. Se non curate fin dai primi giorni di vita possono causare ritardo mentale.

Per molte di queste patologie la cura è nella dieta come nel caso della fenilchetonuria, la più frequente delle malattie metaboliche, che ogni anno in Italia colpisce circa 50 neonati e per la quale è obbligatorio lo screening alla nascita. Per tenere sotto controllo la malattia, i bambini che ne sono affetti dovranno limitare e controllare per tutta la vita l'assunzione degli alimenti ricchi di proteine come carne, pesce, formaggi, uova, salumi. Per avere una crescita e uno sviluppo normali dovranno attenersi ad una dieta prevalentemente vegetariana, arricchita con integratori privi di fenilalanina, l'aminoacido coinvolto in molti processi metabolici che il loro organismo non riesce a utilizzare in maniera corretta.

Al Bambino Gesù, i piccoli pazienti con malattie metaboliche ereditarie sono seguiti anche da dietisti e psicologi per avere un supporto lungo un percorso di cura che li fa sentire diversi dagli altri bambini, con ripercussioni sulla sfera relazionale ed emotiva.

"Lo screening neonatale delle malattie metaboliche si sta sempre più allargando-  dichiara Carlo Dionisi Vici, responsabile di patologia Metabolica del Bambino Gesù - Insieme alla fenichetonuria altre 40-50 malattie del metabolismo potranno essere a breve identificate nei neonati italiani. E' una sfida fondamentale per la prevenzione e la cura di queste rare patologie".

I benefici terapeutici del cibo si estendono al di là delle malattie del metabolismo. Anche per i bambini che soffrono di alcune gravi forme di epilessia, l'alimentazione può risultare un elemento chiave della terapia. È stato infatti dimostrato che una dieta ricca di grassi e povera di carboidrati - la dieta chetogena - può avere effetti benefici, in particolare nei casi in cui la cura con i farmaci anti-epilettici risulti inefficace. Questa dieta comporta una iperproduzione di chetoni e si fonda sull'impiego di un'alta percentuale di grassi (fino all'80%), anziché di carboidrati e proteine, come fonte principale di energia. Si è rivelata utile nel prevenire e nel ridurre le convulsioni che non possono essere controllate con i farmaci nel 60% dei casi.

L'epilessia è una malattia neurologica dovuta sia ad una predisposizione genetica, sia a lesioni cerebrali. Si manifesta con crisi di vario tipo e colpisce l'1% della popolazione. Le forme resistenti ai farmaci sono circa il 30% del totale.

"La dieta chetogena viene somministrata in età pediatrica, soprattutto ai bambini più piccoli - sottolinea Federico Vigevano, Direttore del dipartimento di Neuroscienze del Bambino Gesù - Tanto più è alta la percentuale di lipidi nella dieta tanto meno è gustosa. E' un regime alimentare rigido che richiede uno stretto controllo da parte dei genitori, dei dietisti, dei neurologi e i bambini più grandi, con un alto grado di autonomia, tendono a rifiutarla. Chi segue la dieta chetogena, infatti, non può decidere di mangiare una caramella o un gelato perché si comprometterebbe tutto il programma terapeutico. Considerato il successo di questa terapia, al Bambino Gesù c'è un grosso impegno nel trovare il programma adatto a ogni paziente, con un'attenzione particolare alla giusta combinazione tra i componenti della dieta chetogena e l'appetibilità dei cibi che vengono proposti".

di C. S.