Mondo 06/07/2015

Agroalimentare italiano salvo dopo la Grexit

La Grecia assorbe meno del 2% dell’export delle imprese agroalimentari italiane, mentre al contrario l’Italia rappresenta il principale mercato di sbocco per le aziende greche. E per l’olio d’oliva, dove il savoir faire ellenico è teoricamente quasi unico?


“Un’eventuale uscita dall’euro da parte della Grecia non dovrebbe preoccupare particolarmente le imprese agroalimentari italiane mentre, paradossalmente, rischia di limitare i possibili effetti positivi derivanti da una svalutazione competitiva per le stesse imprese greche. La capacità esportatrice dell’agroalimentare ellenico è sostanzialmente contenuta, e a causa della dipendenza dall’import per i principali input produttivi (come agrofarmaci, fertilizzanti, mangimi e macchinari) una svalutazione si tradurrebbe in costi superiori per le imprese” – è quanto emerge dall’analisi di Andrea Goldstein e Denis Pantini di Nomisma sul possibile impatto dell’uscita dall’euro della Grecia nel settore agroalimentare italiano.

La Grecia assorbe meno del 2% dell’export delle imprese agroalimentari italiane (poco più di 608 milioni di euro nel 2014 rispetto a un totale di 34,3 miliardi di euro), mentre al contrario l’Italia rappresenta il principale mercato di sbocco per le aziende greche (14,8% del totale delle esportazioni agroalimentari greche). I principali prodotti esportati in Italia sono prodotti ittici (30%), olio d’oliva (21%), cereali (12%) e prodotti lattiero-caseari come yogurt e feta (11%). Dall’altra parte i principali prodotti agroalimentari italiani esportati in Grecia nel 2014 sono stati: carne fresca e stagionata (12,4%), caffè (11,8%), mangimi (9,8%).

Per Nomisma “un’eventuale uscita della Grecia dall’euro e il ritorno della dracma renderebbe indubbiamente più costose le importazioni dall’Italia, con il rischio di una loro eventuale sostituzione con prodotti nazionali. In più la svalutazione renderebbe più convenienti i prodotti ellenici rispetto a quelli dei diretti concorrenti. La minaccia di una svalutazione non è però particolarmente grave per le nostre imprese esportatrici. Il paniere di prodotti esportati dalla Grecia differisce notevolmente dal nostro e anche per quanto riguarda i mercati di destinazione non si rileva una significativa sovrapposizione”.

E per l’olio d’oliva, dove il savoir faire ellenico è teoricamente quasi unico? La “potenza di fuoco” espressa dall’agricoltura greca è molto ridotta rispetto ai concorrenti, cioè Italia e Spagna. Nel biennio 2012/2013 le importazioni italiane di olio d’oliva dalla Grecia sono state mediamente pari a 116.000 tonnellate contro le 305.230 dalla Spagna. A prescindere dalla capacità o meno di far concorrenza ai concorrenti iberici sul mercato italiano, è comunque interessante segnalare che il prezzo all’import dell’olio greco è più elevato di circa il 14% (2,50 €/kg contro i 2,19 €/kg dell’olio spagnolo). Nel 2014, a seguito dell’eccezionale scarsità produttiva che ha penalizzato il raccolto di olive italiane (ma anche greche), l’import dalla Spagna è schizzato a 534.134 tonnellate, mentre quello ellenico è sceso a 45.108 tonnellate. Contestualmente, il divario nei prezzi all’import si è allargato ad un +36%, sempre in favore della Grecia. E’ quindi evidente che, al di là dei diversi livelli qualitativi, il gap di prezzo da recuperare – in caso di svalutazione della moneta greca – non è indifferente.

di C. S.