Italia 24/10/2018

Migliora la qualità della pasta italiana

La bassa contaminazione da glifosato e l’assenza di alcune micotossine rispetto alle indagini analitiche svolte dal Salvagente in anni recenti, raccontano di un frumento diverso, “coltivato in aree meno umide e per questo più solarizzato”


I consumatori hanno vinto una prima, significativa, battaglia del grano. Se la guerra per avere una materia prima davvero “pulita” è ancora lunga, le nuove analisi del Salvagente su 23 campioni di pasta (da De Cecco a Barilla, da Garofalo a La Molisana, da Alce Nero a Rummo, da Divella a Granoro fino a Voiello e altri ancora), pubblicate nel nuovo numero in edicola da martedì 23 ottobre, testimoniano però un cambio di passo: i pastai italiani non hanno retto la pressione dei consumatori e hanno cambiato rotta alle navi che importano il grano duro coltivato in altri paesi.

Sotto la spinta di un’opinione pubblica che da anni chiedeva una materia prima senza glifosato e Don, la cosiddetta vomitossina, il mercato si è dovuto adeguare. La bassa contaminazione da glifosato e l’assenza di alcune micotossine rispetto alle indagini analitiche svolte dal nostro giornale in anni recenti, raccontano di un frumento diverso, “coltivato in aree meno umide e per questo più solarizzato”, spiega al mensile leader nei Test di laboratorio contro le truffe ai consumatori il professor Alberto Ritieni, grande esperto dei micotossine. La presenza contenuta di glifosato, poi, segnala l’impiego di un grano meno trattato di quello del Nord America che è “essiccato” chimicamente con il noto erbicida della Monsanto, ritenuto “probabile cancerogeno” dalla Iarc.

In altre parole i nuovi risultati delle analisi del Salvagente confermano che la materia prima è oggi diversa da quel grano, canadese e statunitense, spesso troppo contaminato dal Don e con residui di glifosato davvero preoccupanti. “L’industria italiana ha dovuto cambiare le rotte dell’approvvigionamento perché i consumatori hanno chiesto di cambiare la pasta”, spiega Rolando Manfredini, responsabile Sicurezza alimentare della Coldiretti.

E la conferma arriva direttamente dai dati Istat sulle importazioni cerealicole: in meno di due anni, dal 2016 ad oggi, il grano canadese si è letteralmente azzerato passando da oltre un miliardo di chili ad appena 43 milioni nel primo semestre 2018. Nello stesso periodo il “duro” statunitense è sceso di quasi il 60% mentre parallelamente il grano francese ha per due anni di seguito raddoppiato i quantitativi, passando da quinto ai primissimi posti tra i fornitori di frumento dell’Italia.

La provenienza, come abbiamo più volte rimarcato, da sola non garantisce qualità. Tuttavia aver ridotto l’uso di un grano come quello nord americano mette al riparo da alcuni rischi, come quello del glifosato che in questi paesi è autorizzato anche in fase di pre-raccolta per favorire la maturazione dei chicchi: si usa la chimica perché la natura – il sole – è meno clemente. Ognuno tragga le sue considerazioni.

I dati del mensile dei consumatori invitano a un cauto ottimismo. Trovare campioni con anche 4 o 5 residui di pesticidi, con il rischio dell’effetto combinato sulla nostra salute, così come l’insorgenza di micotossine diverse da quelle a cui eravamo abituati suggeriscono che è ancora presto per cantar vittoria. E invitano a non abbassare la guardia.

Oltre all’analisi su pesticidi e micotossine, i laboratori incaricati dal Salvagente hanno valutato anche il contenuto di proteine e, attraverso le prove di cottura, quelle che non deludono nel piatto.

di C. S.