Italia 29/07/2016

La guerra del grano: quantità, qualità, sicurezza, prezzo

La guerra del grano: quantità, qualità, sicurezza, prezzo

Mondi opposti al confronto e allo scontro. Interesse nazionale e globalizzazione. Milioni di ettari, centinaia di migliaia di agricoltori e lavoratori. Trattori in piazza e minaccia di scioperi. Quotazione dimezzata rispetto a un anno fa. Far grano in Italia conviene ancora?


Iniziata qualche settimana fa quasi in sordina la guerra del grano ha conquistato spazio anche nei telegiornali, stretta tra la drammatica cronaca internazionale e i soliti servizi balneari.

Perchè lo scontro è diventato così fragoroso? Perchè i dieci milioni di euro per il Piano cerealicolo nazionale, promessi nel DL Enti locali, non hanno acquietato gli animi?

Tutto sta in pochi numeri, anzi ne bastano quattro, dalla piazza di Bologna

Quotazione frumento tenero (speciali di forza) > luglio 2015: 225 euro/tonnellata; luglio 2016: 178 euro/tonnellata

Quotazione grano duro (fino) > luglio 2015: 322 euro/tonnellata; luglio 2016: 200 euro/tonnellata

La brusca frenata delle quotazioni, dovuta a raccolti abbondanti in tutti i paesi produttori, ha acceso gli animi degli agricoltori. Fino a qualche anno fa era la Politica agricola comunitaria, e gli aiuti alla produzione, a compensare lo squilibrio tra costi e ricavi, assicurando un reddito a tutti. Oggi non è più così e migliaia di agricoltori hanno difficoltà a mantenere l'azienda e la famiglia.

Da qui le proteste.

"Se le quotazioni non tornano a salire, riconoscendo al frumento Made in Italy il giusto valore, faremo lo sciopero della semina" così, Dino Scanavino, presidente di Cia- Agricoltori Italiani.
"In queste condizioni noi non seminiamo - ha spiegato Scanavino - anche perché attualmente gli agricoltori producono grano di qualità ma in perdita e la situazione non può restare questa". "Siamo vittime di un capolarato bianco che non è inquisito ma sfrutta gli agricoltori sottopagandoli" - prosegue riferendosi al sistema industriale e commerciale, infatti "quest'anno il 50% dei contributi della Pac va solo a coprire le perdite dei cerealicoltori".
Secondo la Cia i "produttori di grano continuano a essere oggetto di un'azione di speculazione che non ha precedenti, con il grano duro pagato 18 euro al quintale, largamente al di sotto dei costi produttivi, e perdite del 42% sulla scorsa campagna di commercializzazione". La Cia poi denuncia che "un raccolto di 6 ettari seminati a grano basta appena per pagare i contributi di una famiglia media agricola".
Infine Scanavino dà una stoccata all'industria:" gli agricoltori sono costretti a competere con importazioni 'spregiudicate' dall'estero (+10% solo nei primi 4 mesi del 2016), da parte di operatori commerciali che stanno svuotando le scorte in condizioni di dumping (pagandolo di meno)" proprio nell'anno in cui "in Italia si registra una produzione straordinaria di 9 milioni di tonnellate di grano, a fronte di una media annua di 7 milioni di tonnellate (+29%)".

Il grano italiano è stato colpito da una speculazione da 700 milioni di euro, a tanto ammontano infatti le perdite subite dagli agricoltori italiani per il crollo dei prezzi rispetto allo scorso anno. E' quanto emerge dall'analisi della Coldiretti #laguerradelgrano diffusa in occasione della maximobilitazione organizzata in varie città d'Italia con migliaia di agricoltori e trattori al seguito.
Un crack senza precedenti - denuncia Coldiretti - con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da "spacciare" come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. E, con la crisi del grano, in Italia si rischiano di perdere trecentomila posti di lavoro.
"Non è un caso - dice Coldiretti - se nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10 per cento, finalizzati soprattutto ad abbattere il prezzo di mercato nazionale attraverso un eccesso di offerta". Oggi il grano duro per la pasta - continua la Coldiretti - viene pagato anche 18 centesimi al chilo, mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura a 16 centesimi al chilo. "Per restituire un futuro al grano italiano occorre l'indicazione in etichetta dell'origine del grano utilizzato nella pasta e nei derivati/trasformati - sottolinea il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo - ma anche l'indicazione della data di raccolta (anno di produzione) del grano, assieme al divieto di utilizzare grano extra comunitario oltre i 18 mesi dalla data di raccolta. Ma serve anche fermare le importazioni selvagge a dazio zero".

“Il prezzo del grano è sceso ai livelli di trent’anni fa e solo nell’ultimo anno si è praticamente dimezzato. In più la beffa di trovarci nella situazione che il prodotto nazionale è pagato meno di quello importato, che aumenta sempre di più (+54% in quantità negli ultimi tre anni). E mentre giunge il grano straniero, quello made in Italy viene esportato a basso prezzo nell’area del Mediterraneo”. Lo sottolinea Confagricoltura che, in molte aree vocate alla cerealicoltura, ha promosso manifestazioni, sit-in, iniziative di sensibilizzazione, per richiamare l’attenzione su un comparto altamente strategico che si trova in una situazione insostenibile”.
“Bisogna affrontare un momento di emergenza, con le aziende agricole che subiscono entrate inferiori ai costi, aggravato dalle speculazioni e dalla carenza di adeguati centri di stoccaggio – ha proseguito Confagricoltura –. Allo stesso tempo occorre intervenire per dare certezze, senza le quali non si può impostare la programmazione produttiva”.
Ad avviso di Confagricoltura “attraverso il piano cerealicolo si dovrà intervenire prevedendo: strumenti innovativi finalizzati alla trasparenza delle quotazioni e delle contrattazioni; investimenti nell’ammodernamento delle strutture di stoccaggio per qualificare il grano made in Italy; accertamento delle giacenze (rendendo obbligatoria la comunicazione annuale delle scorte al ministero delle Politiche agricole entro il 31 maggio); monitoraggio delle importazioni e dei flussi di cereali all’interno dell’Ue; verifica delle superfici coltivate e della produzione potenziale traendo i dati dai fascicoli aziendali”.
Confagricoltura sollecita infine che “il piano cerealicolo intervenga per responsabilizzare la filiera ad una più equa ripartizione della redditività e ad operare unita per valorizzare e premiare il ‘sistema Italia’; con un impegno comune che contrasti ogni forma di speculazione. Servono poi controlli adeguati alle frontiere sul prodotto importato che deve rispettare condizioni di reciprocità con quello nazionale (qualità, caratteristiche, salubrità)”.

Le importazioni di grano estero di qualità salvano il mito della pasta italiana, dal gusto all'occupazione di 120 aziende pastarie e di 300 mila aziende agricole. Lo afferma Aidepi, l'Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane, in occasione della manifestazione di protesta di Coldiretti per la tutela del grano italiano.
''Purtroppo, l'origine italiana del grano duro non è in sé sinonimo di qualità - afferma Riccardo Felicetti, presidente dei pastai di Aidepi'', nel ricordare che in base ai dati Ismea, "negli ultimi 7 anni i valori proteici del grano duro italiano sono stati prossimi o anche inferiori al 12%; il limite dei parametri stabiliti dalla legge di purezza è del 10,5% e considerando il calo di circa l'1% nel processo di trasformazione da grano a semola, risultano ampiamente al di sotto delle esigenze necessarie per produrre una pasta di alta qualità". ''Per questa ragione, anche in anni, come questo, di produzione abbondante - precisa il presidente - rimane necessario importare grano duro estero di qualità top, tra il 30% e il 40% del totale, per 'rinforzare' la miscela della semola utilizzata dagli industriali della pasta''.
Secondo l'Associazione, senza importazione di grano estero di qualità, gli agricoltori, paradossalmente, rischierebbero di vendere all'industria meno grano, cioè solo quello che raggiunge i parametri qualitativi della materia prima previsti dalla legge di purezza; il resto, senza il blend con grano estero di alta qualità, potrebbe essere venduto solo per l'alimentazione animale, con una perdita dei ricavi per gli agricoltori di circa il 50%.

Interesse nazionale e globalizzazione. Difesa del territorio e leggi di mercato.
Il grano è solo l'ultima battaglia di una guerra strisciante che coinvolge l'intera società e il suo modello di sviluppo.

di T N