Italia 19/05/2015

Il pesce fa polemica. Botta e risposta Coldiretti-Fipe

Nel corso di Slow Fish, l'associazione dei produttori ha denunciato la frode in agguato, anche "al ristorante". Ma i ristoratori non ci stanno e ribattono: "si sfiora il surreale": "è la qualità e la professionalità dei nostri chef a costituire il valore inimitabile del “made in Italy"


Più di 2 pesci su 3 consumati in Italia provengono dall’estero. E ma spesso viene spacciato come Made in Italy il pesce importato, anche perché al ristorante non è obbligatorio indicare la provenienza. E’ quanto ha denunciato Coldiretti Impresapesca in occasione dell’incontro “Le frodi: dal mare alla tavola” organizzato a Slow Fish.

Dal pangasio del Mekong venduto come cernia al filetto di brosme spacciato per baccalà, fino all’halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliola, la frode è in agguato sui banchi di vendita dove vige l’obbligo dell’etichetta d’origine ma soprattutto al ristorante dove la provenienza di quanto si porta in tavola non deve essere indicata.

Tra i trucchi nel piatto più diffusi ci sono anche il polpo del Vietnam spacciato per nostrano, lo squalo smeriglio venduto come pesce spada, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, il pagro invece del dentice rosa o le vongole turche e i gamberetti targati Cina, Argentina o Vietnam, dove peraltro è permesso un trattamento con antibiotici che in Europa sono vietatissime in quanto pericolosi per la salute.

Nel 2014 sono stati importati in Italia oltre 731 milioni di chili di pesci e crostacei, molluschi e altri invertebrati acquatici con un aumento del 4% rispetto all’anno precedente. Da quest’anno è più facile riconoscere il pesce italiano dall’etichetta grazie all’entrata in vigore dei nuovi regolamenti comunitari il 23 dicembre del 2014 con norme relative all’etichettatura per la messa in commercio dei prodotti ittici (Reg. UE n. 1379/2013) e quelle sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (Reg. UE 1169/2011).

Per effettuare acquisti di qualità al giusto prezzo il consiglio di Coldiretti Impresapesca è, laddove possibile, di acquistare direttamente dal pescatore o, se da un’attività commerciale, di verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere l’area di pesca (Gsa). Le provenienze da preferire sono quelle dalle Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta). Nelle etichette sarà indicata, inoltre, la tecnica di pesca (rete, nasse, strascico, lampara, ecc.) e, su base volontaria, la provenienza esatta di pesci, molluschi e crostacei.

I ristoratori, a essere additati come truffatori che spacciano pesce estero per nostrano, non ci stanno proprio.

Secondo la Fipe l’allarme lanciato è “in buona parte ingiustificato” e, nella sua genericità, “non aiuta a risolvere l’eventuale problema della cosiddetta “frode del pesce”.

“I ristoratori italiani – sottoposti a controlli e procedure rigorose – non hanno alcun interesse a frodare i loro clienti, fonte della loro sopravvivenza e del loro successo – dichiara Lino Enrico Stoppani, Presidente Fipe – Inoltre, non corrisponde al vero l’affermazione secondo la quale i ristoratori non hanno l’obbligo di indicare la provenienza dei loro prodotti: ogni esercente ha l’obbligo di tenere traccia della filiera per eventuali controlli dei NAS e delle autorità sanitarie. Chiunque facesse quindi uso di un pesce al posto dell’altro incorrerebbe nel grave reato di frode in commercio”.

Rispetto alla difesa del made in Italy in tema di pescato, “si sfiora il surreale”: “i ristoratori si riforniscono, come ogni cittadino, presso i canali distributivi esistenti e acquistano il pescato normalmente in commercio, la cui provenienza non dipende dalla volontà dei cuochi italiani, ma dalla pescosità dei nostri mari – aggiunge Stoppani – È la qualità e la professionalità dei nostri chef a costituire il valore inimitabile del “made in Italy” nella ristorazione. Si continua, infatti, a sottovalutare la capacità del consumatore di comprendere la qualità dei prodotti che consuma e di pagarli al giusto prezzo considerando tutti i fattori che li accompagnano, provenienza compresa.”

di C. S.