Cultura 30/03/2018

L'olio d'oliva, simbolo di amore, sapienza e fraternità

L'olio d'oliva, simbolo di amore, sapienza e fraternità

Nella Bibbia, quando porta frutto, l’olivo è segno di benedizione e prosperità: dona gioia, forza, guarisce le ferite. Se invece il popolo non è fedele a Dio, l’olivo non darà frutto. Come ci insegna Pandolea si può partire dai simbolismi cristiani per recuperare il valore di un bene, che non può essere solo un prodotto


L’olio d’oliva è un prodotto molto importante nella terra di Canaan. La sua produzione era così abbondante che veniva anche esportata, per lo meno in certi periodi. Dall’età del Bronzo sia l’olio sia gli oli profumati erano inviati oltre i confini del paese. In epoca israelitica la produzione dell’olio diventa un’industria importante, attestata dai reperti archeologici. Verso il 700 a.C. Tel Miqnê, la biblica Eqron, era un centro di produzione di rilievo, in quanto sono stati contati oltre cento frantoi.

L’olio richiama la sapienza, l'amore, la fraternità. È anche simbolo dell'elezione divina e dello spirito di Dio che conferisce la missione specifica. Dell’olivo se ne parla fin dal libro della Genesi: è grazie ad un ramo d’olivo che Noè capisce che il livello dell’acqua si era abbassato e che il diluvio era cessato (Gn 8,11).

Quando Mosè benedice gli israeliti ad Aser, che rappresenta una delle dodici tribù d'Israele, augura la benedizione della prosperità con queste parole: “Il suo piede tuffi nell'olio” (Dt 33,24). Il profeta Geremia ricorda l'olio come uno dei doni speciali di Dio: “Verranno e canteranno inni sull'altura di Sion, andranno insieme verso i beni del Signore, verso il grano, il vino e l'olio” (Ger 31,12). L'olio con l'acqua, la farina, il vestito fa parte dei beni di prima necessità (cf. Sir 39,26); ha una forza terapeutica particolare testimoniata in tutta la Bibbia (Sal 92,11; Is 1,6; Mc 6,13; Lc 10,34) e inoltre è fonte di luce e come tale deve illuminare la Tenda dell'Alleanza: “Tu ordinerai agli Israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per il candelabro, per tener sempre accesa una lampada nella Tenda dell'Alleanza” (Es 27,20-21).

Nella Bibbia, quando porta frutto, l’olivo è segno di benedizione e prosperità: dona gioia, forza, guarisce le ferite. Se invece il popolo non è fedele a Dio, l’olivo non darà frutto: “Avrai degli ulivi in tutto il tuo territorio, ma non ti ungerai d'olio, perché i tuoi ulivi perderanno il loro frutto” (Dt 28,40). Questa citazione ci fa capire che l’olio d’olivo era già utilizzato nei massaggi, per ammorbidire la pelle.

La terra in cui il Signore fa entrare il suo popolo è terra di vigne e oliveti: “Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà fatto entrare nella terra che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti, con città grandi e belle che tu non hai edificato, case piene di ogni bene che tu non hai riempito, cisterne scavate ma non da te, vigne e oliveti che tu non hai piantato, quando avrai mangiato e ti sarai saziato” (Dt 6,10-11). È una terra che Dt 8,8 definisce come “terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; terra di ulivi, di olio e di miele”. L’ulivo, al pari della vite, è un’immagine che ricorre spesso nella Bibbia. Israele è paragonato a un ulivo piantato dal Signore: “Ulivo verde, maestoso, era il nome che il Signore ti aveva imposto” (Ger 11,16) e come aggiunge Osea 14,7 “si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell'olivo e la fragranza del Libano”. Chi confida nella fedeltà di Dio è “come olivo verdeggiante” (Sal 52,10). I figli di Israele sono “virgulti d’olivo intorno alla tua mensa” (Sal 128,3). La sapienza cresce in Israele come un “ulivo maestoso nella pianura”. Il
sommo sacerdote quando si affacciava dal Tempio appariva “come ulivo che fa germogliare i frutti” (Sir 50,10).

Tra le metafore più famose vi è quella di Paolo a proposito del rapporto tra cristiani ed ebrei: “Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, che sei un olivo selvatico, sei stato innestato fra loro, diventando così partecipe della radice e della linfa dell'olivo (…). Se tu infatti, dall'olivo selvatico, che eri secondo la tua natura, sei stato tagliato via e, contro natura, sei stato innestato su un olivo buono, quanto più essi, che sono della medesima natura, potranno venire di nuovo innestati sul proprio olivo” (Rm 11,17.24).

La tecnica di fabbricazione
Le regioni collinari, oggi come allora erano ricoperte di oliveti. La raccolta delle olive avveniva verso la fine dell’autunno, tra ottobre e novembre, mediante abbacchiatura: “Perché così accadrà nel centro della terra, in mezzo ai popoli, come quando si bacchiano le olive, come quando si racimola, finita la vendemmia” (Is 24,13). Una volta raccolte, le olive venivano frantumate in un bacino di pietra per mezzo di una grossa pietra cilindrica. In epoca ellenistica (330-63 a.C.) la frantumazione veniva effettuata con una ruota di pietra verticale fatta girare in un frantoio. Durante questa operazione di otteneva l’olio più pregiato, quello di prima spremitura, che veniva usato in particolare per il culto, specialmente per alimentare la lampada del santuario: “Tu ordinerai agli Israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per l'illuminazione, per tener sempre accesa una lampada” (Es 2,20). Alla frantumazione seguiva la spremitura. Le olive schiacciate venivano distribuite su stuoie impilate al di sopra di una vasca, che venivano pressate mediante una leva. A seconda della pressione esercitata si ottenevano oli di diversa qualità. L’olio di prima spremitura era il più prezioso, come è detto in 2 Re 20,13: “Ezechia ne fu molto lieto e mostrò agli inviati tutto il tesoro, l'argento e l'oro, gli aromi e l'olio prezioso, il suo arsenale e quanto si trovava nei suoi magazzini”. Mano a mano che aumentava la pressione sulle stuoie, l’olio trascinava con sé numerose impurità. Allo scopo di eliminarle, si versava l’olio in vasche contenenti acqua calda salata. Dopo aver agitato il liquido con un bastone, le impurità di depositavano sul fondo della vasca. L’olio così ottenuto veniva chiamato “olio lavato”, un termine che compare negli ostraka (ὄστρακα) di Samaria (VIII secolo a.C.). Gli ostraka per i Greci erano anzitutto le conchiglie, ma per estensione tutto ciò che ha forma più o meno tondeggiante, come i gusci di uova e i cocci di vasi e stoviglie di terracotta. Nelle scienze antiquarie questi cocci hanno
un'importanza particolare, connessa al fatto che furono largamente adoperati come materiale di minimo valore, sulla cui faccia convessa si poteva scrivere sia mediante incisione sia con l'inchiostro.

In numerose località dell’antico Medio Oriente, compresi l’Egitto e la Mesopotamia, i frammenti di terracotta erano usati per metter per iscritto contratti, conti, vendite e così via, proprio come oggi si fa con fogli di carta e bloc-notes. Durante gli scavi dell’antica Samaria effettuati nel 1910, un gruppo di archeologi scoprì una raccolta di ostraka, che riportavano la registrazione di quantitativi di olio e vino inviati a Samaria da varie località nelle vicinanze.

Gli usi dell’olio
L’olio d’oliva era usato in cucina per impastare focacce, frittelle e dolci. Quando Elia si presenta alla vedova di Zarepta e gli chiede un po’ di cibo per rifocillarsi, ella esclama: “Non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po' di olio nell'orcio” (1 Re 17,12). Oltre all’uso quotidiano, l’olio veniva utilizzato per la preparazione delle offerte vegetali presentate al santuario, tra le quali le focacce azzime impastate con l’olio e le frittelle azzime unte d’olio: “Quando presenterai come offerta un'oblazione cotta nel forno, essa consisterà in focacce azzime di fior di farina impastate con olio e anche in schiacciate azzime spalmate di olio. Se la tua offerta sarà un'oblazione cotta sulla teglia, sarà di fior di farina, azzima e impastata con olio; la dividerai in pezzi e sopra vi verserai olio: è un'oblazione. Se la tua offerta sarà un'oblazione cotta nella pentola, sarà fatta con fior di farina e olio” (Lv 2,4-7).

Nella liturgia dopo l’esilio il sacrificio quotidiano compiuto sull’altare era accompagnato da un’offerta di farina impastata con olio vergine e da una libazione di vino: “Con il primo agnello offrirai un decimo di efa1 di fior di farina, impastata con un quarto di hin2 di olio puro, e una libagione di un quarto di hin di vino” (Es 29,40; cf. Nm 28,5). Inoltre l’olio figura tra le primizie offerte: “Gli darai le primizie del tuo frumento, del tuo mosto e del tuo olio, e le primizie della tosatura del tuo bestiame minuto” (Dt 18,4) e durante il dono della decima: “Non potrai mangiare entro le tue città le decime del tuo frumento, del tuo mosto, del tuo olio, né i primogeniti del tuo bestiame grosso e minuto, né ciò che avrai consacrato per voto, né le tue offerte spontanee, né quello che le tue mani avranno prelevato” (Dt 12,17).

L’olio veniva usato anche per ungere l’altare per consacrarlo e per ungere i re (1 Sam 16,13), in seguito i sacerdoti (Es 29,4) e talvolta i profeti (1Re 19,16), ai quali Dio affidava una speciale missione: in questa circostanza l'olio versato sul capo indicava la forza necessaria all'esercizio dell'autorità ricevuta da Dio. Davide viene unto: “Vennero allora gli uomini di Giuda e qui unsero Davide re sulla casa di Giuda” (2 Sam 2,4); “Vennero dunque tutti gli anziani d'Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un'alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d'Israele” (2 Sam 5,3). Il re è considerato persona sacra proprio perché “Unto del Signore”, cioè una persona consacrata con l'olio, vale a dire il Messia (dalla parola ebraica “mashīaḥ”, in greco “μεσσίας”), da cui la parola Cristo (che deriva dalla parola greca “χριστός”, cioè “unto”) che sarà il Messia atteso nel Nuovo Testamento. Dopo l’esilio anche i sacerdoti, a partire dal Sommo sacerdote, ricevono l’unzione: “Versò l'olio dell'unzione sul capo di Aronne e unse Aronne, per consacrarlo… Mosè prese quindi l'olio dell'unzione e il sangue che era sopra l'altare, ne asperse Aronne e le sue vesti, i figli di lui e le loro vesti insieme a lui; così consacrò Aronne e le sue vesti e similmente i suoi figli e le loro vesti” (Lv 8,12.30).

L’olio veniva utilizzato anche per alimentare le lampade, sia quelle della casa sia quelle del santuario di Gerusalemme, come pure quale balsamo per curare le piaghe. Isaia nel descrivere il popolo di Israele come popolo malato dice che “dalla pianta dei piedi alla testa non c'è nulla di sano, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite né fasciate né curate con oli” (Is 1,6). L’olio serviva anche per la pulizia personale ed entrava nella composizione dei profumi (Am 6,6); è il simbolo dell'amore di Dio (Ct 1,3, Sal 23,5). I salmi con il simbolo dell'olio cantano la bellezza e la gioia della fraternità: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! È come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste” (Sal 133,2). L'olio profumato esalta la bellezza e si usa per incontri importanti e significativi: “ll momento di andare dal re giungeva per una fanciulla alla fine di dodici mesi, quando terminavano i giorni della preparazione. Il periodo della preparazione si svolgeva così: sei mesi per essere unta con olio di mirra e sei con spezie e unguenti femminili” (Est 2,12); “Ti sei presentata al re con olio, hai moltiplicato i tuoi profumi” (Is 57,9; cf. Ez 16,18). Nella Bibbia persone, cose e luoghi possono essere consacrati tramite unzione: “Poi Mosè prese l'olio dell'unzione, unse la dimora e tutte le cose che vi si trovavano e così le consacrò” (Lv 8,10).
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Non avere più olio per ungere il proprio corpo è considerata una maledizione: “Avrai oliveti in tutta la tua terra, ma non ti ungerai di olio, perché le tue olive cadranno immature” (Dt. 28,40). I profumi non sono usati solo dalle donne, ma anche dagli uomini. Infatti nel Cantico dei Cantici la sposa dice al suo amato: “Inebrianti sono i tuoi profumi per la fragranza, aroma che si spande è il tuo nome” (Ct 1,3). Il salmo 23,5 recita: “Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca”, per spiegare fino a che punto Dio lo sostiene. Non mettersi un olio profumato è segno di lutto, come ricorda la vedova al profeta Eliseo: “Eliseo le disse: ‘Che cosa posso fare io per te? Dimmi che cosa hai in casa’. Quella rispose: ‘In casa la tua serva non ha altro che un orcio d'olio’”. L’olio profumato è simbolo di gioia e di festa: “Profumo e incenso allietano il cuore e il consiglio dell'amico addolcisce l'animo” (Prv 27,9),
e anche segno di rispetto e di onore, come dimostra il suo uso nella liturgia. Nei libri sapienziali il buon nome è paragonato all'olio: “Un buon nome è preferibile all'unguento profumato” (Qo 7,1).

di Domenico Nasini

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Commenti 1

marcello cartocci
marcello cartocci
31 marzo 2018 ore 13:51

Bellissima descrizione su questo unguento ma oggi l'olio non viene più considerato come sacro alimento e quant'altro usato, oggi dovrà essere considerato come economia, e la pianta come ambiente che conserva, il territorio agricolo, con la sua manutenzione, il baluardo dell'intera geografia in cui noi viviamo. E per questo occorre una seria attenzione al patrimonio olivicolo esistente e perciò uno Stato serio che condivida questo sforzo dei produttori agricoli.