Cultura 28/04/2017

L’Orto degli ulivi e la Passione di Cristo: come l’arte racconta la fede

L’Orto degli ulivi e la Passione di Cristo: come l’arte racconta la fede

L'oliveto del Getsemani è un luogo chiave della fede cristiana. Nell'esame dei dipinti di Giovanni Bellini e di Vasilij Grigor'evič Perov emerge un'emozionalità che ci viene raccontata da una signora dell'olio di Pandolea


[…] E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: "Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. 

Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea". Allora Pietro gli disse: "Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò". Gesù gli disse: "In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte".  Ma egli, con grande insistenza, diceva: "Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò". Lo stesso dicevano anche tutti gli altri. Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: "Sedetevi qui, mentre io prego". Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate". […] (Mt 14, 26-34)

Dopo essersi seduto alla mensa con i suoi discepoli, per consumare la sua ultima cena, Cristo inizia il proprio iter di “passione”, cioè quel percorso fisico e spirituale che lo condurrà al “cranio”, al Golgota, dove sarà crocefisso.

Dopo aver meditato le suddette parole, riportate nel Vangelo di Matteo, viene da immaginare come debba essere stato per Gesù vivere quegli ultimi eventi, nella piena consapevolezza del destino che lo attendeva e che aveva per fine ultimo la salvezza degli uomini.

Il Getsèmani, (dall’aramaico gath shemanim, cioè frantoio2 e noto anche come Orto degli ulivi), dunque, è il luogo chiave in cui si svolgono i fatti appena esposti. Il Signore vi si raccoglie in preghiera, attendendo la cattura da parte dei Romani, al seguito dell’Iscariota. Una preghiera, come sottolinea l’evangelista Marco, intima e profondamente confidenziale col Padre, che viene definito “Abbà”.

Immaginiamo: il silenzio della notte, le stelle alte in cielo, qualche piccolo rumore provocato da un insetto o da un animaletto notturno e poi i passi di Nostro Signore, il suo respiro, il battito del suo cuore. Un luogo di enorme spiritualità il Getsèmani, di preghiera e di rinascita al tempo stesso, poiché da lì inizierà il percorso che condurrà alla Pasqua, una termine simbolico, che in ebraico vuol dire “oltrepassare”.

L’arte ha saputo attraverso la pittura, ma anche attraverso la scultura, narrare con precisione e pathos questo momento particolarmente intenso della vita di Cristo. Esistono numerosissimi esempi a riguardo, ma ci si soffermerà solo su due di essi.

Nel 1465 ca., il grande pittore Giovanni Bellini, raffigura, in una sua opera, proprio “L’agonia nell’orto”, oggi alla National Gallery di Londra4. È un dipinto assai suggestivo in cui, nonostante appaia un paesaggio spoglio, quasi estraniante, l’osservatore attento può sicuramente avvertire un grande coinvolgimento interiore, una sorta di “inclusione emozionale”.

Al centro della tela, il Signore è inginocchiato orante, appoggiato su di una possente roccia.

Il Bellini ne delinea le fattezze di profilo; viene colto in questo modo più l’aspetto interiore, avvalorato dalla posizione di preghiera, che quello esteriore, giocato sul viso sofferente del protagonista. Cristo veste dei due classici colori propri della sua iconografia; il rosso del chiton ( cioè la tunica) ed il blu dell’himation (cioè il mantello), simboli della sua doppia natura umana e divina. I piedi sono nudi, un dettaglio che sembra umanizzare la figura del Cristo.

Egli è totalmente assorto in preghiera, il mondo intorno scompare. In cielo si leva una leggiadra figura angelica, di bianco vestita, con in mano un calice, a ricordare l’avvenuta istituzione del sacramento dell’Eucarestia ed il prossimo sacrificio dell’Agnus Dei.

Alle spalle del Cristo, così come raccontano i Vangeli, i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, con i capi nimbati, che dormono profondamente.

 

Attorno alla roccia su cui è appoggiato Gesù, vi è una sorta di recinto fatto di rami intrecciati che rammentano formalmente la corona di spine che i Romani porranno sul suo capo durante la flagellazione e che porterà sino alla morte in croce.

Il paesaggio è arido, giocato tutto sui colori terrosi, caldi. Dei verdeggianti ulivi del Getsèmani, si intuisce solo la presenza. Un tronco spoglio è sistemato sul lato sinistro della scena a simboleggiare probabilmente un presagio di morte. In lontananza, uno stuolo di soldati, guidati dal discepolo traditore, si appropinqua minaccioso. Cristo li attende e continua a pregare. La scena mostra un cielo albeggiante, con grandi nuvole arruffate e illuminate da una folgorante luce dorata, il colore del divino.

Nel 1878, il realista russo Vasilij Grigor'evič Perov, raffigura una struggente immagine del Cristo nel Getsèmani. La scena esprime appieno la concitazione del momento e la profondità della preghiera di Cristo.
Tutto si svolge nella totale tenebra notturna, che avvolge anche l’animo sofferente di Nostro Signore.

Un leggero bagliore proviene dalla luna alta in cielo. Gesù è completamente prostrato al suolo, col volto a terra, in meditazione. La sua persona trasuda santità, embra essere “rivestito”, infatti, da un’aura ultraterrena. Gli ulivi tutt’attorno è come se volessero cingere, come in uno scrigno, quel corpo prezioso, vivificato da quel sangue che presto sarà dolorosamente versato.

Le luci, le ombre, la grande città in lontananza rendono tutto assai angoscioso, solitario, ma anche terribilmente veritiero. A terra si riflettono le ombre della sempreverde pianta. A sinistra della figura di Gesù, l’artista ha inserito un dettaglio iconograficamente anacronistico, ma anticipatore del tradimento di Giuda e della sua crocefissione: la corona di spine. Una narrazione nella narrazione.

Il colore è quasi monocromo, giocato su sfumature simili che creano le differenti ombreggiature e i punti di luce. Questo uso dei toni coloristici conferisce quel realismo e quel pathos che arricchisce visivamente e “muove” emotivamente l’opera.

Alla luce di tutto ciò, dunque, è possibile asserire come queste due opere siano impostate essenzialmente sia su un’emozionalità che deriva dalla condizione spirituale e storica del protagonista Cristo, ma anche dalla suggestione del luogo uliveto, come identificazione di un momento ben preciso e di una tradizione legata anche alla cultura dell’epoca che si protrae sino ad oggi. Pur essendo, infatti, i due dipinti molto differenti tra loro, per stile e per epoca, risultano entrambi capaci di enunciare un dramma ed una fede, un uomo ed il popolo di Dio, ricollegando il tutto alla presenza essenziale dell’ulivo, sempreverde caro nei secoli e nei tanti luoghi del globo e alle donne di Pandolea che lo promuovono a tutto tondo.


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