Cultura 27/03/2015

L'olivo non è poesia ma terapia per l'umanità. L'oro liquido nutre anche l'anima

L'olivo non è poesia ma terapia per l'umanità. L'oro liquido nutre anche l'anima

L'immagine dell'olivo, dal mito, legato al concetto di donna-madre, fino al simbolo di vittoria. La Domenica chiamata “delle Palme”, che commemora l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, si carica infatti dei significati simbolici relativi ai temi del passaggio, del nuovo trionfo della santità e della pace


“Ora mi giro...e osservo...vedo la corteccia grigia di un tronco contorto di ulivo, tormentato, scavato dal tempo; mostra qua e là il legno giallo-bruno, dall'intenso profumo oleoso, piccole foglie verde argentato, lucide, ondeggiano placide al vento, mostrando le olive ancora verdi...mi avvicino, per toccare la corteccia...emana un dolce tepore...mi calma...i dolori sembrano svaporare, svanire davanti a questo tronco antico...”.

Il quadro immaginifico è piuttosto originale; il noto psicologo e psicoterapeuta Raffaele Morelli ci guida e suggerisce, come accade ai pazienti nel corso di alcune sedute, di costruire in questi termini uno speciale rapporto con l’albero dell’ulivo. Una fantasia? No, una terapia. Meglio, una fantasia, e quindi, anche, una terapia. La fantasia può essere parte dei processi creativi e curativi dell’intelligenza.

Lasciandoci cullare in questo dolce incanto, potremmo immaginare, ulteriormente, di trovarci davanti ad un albero tanto antico da affondare le proprie radici nell’humus di un terreno dell’età arcaica, così vecchio che le sue foglie potrebbero essere state accarezzate da brezze mediterranee almeno 500 anni prima della nascita di Cristo.

E’ ben nota l’utilità primaria dell’albero dell’ulivo e del prodotto principale che dal frutto dell’oliva si ricava, l’olio, soprattutto nel lontano passato, e da allora ininterrottamente fino ad oggi; insostituibile nelle applicazioni più disparate, da sempre è componente e base fondamentale dell’alimentazione, nella creazione dei profumi, di unguenti protettivi, materia prima della massima importanza per l’illuminazione notturna, merce preziosissima, conservata e trasportata in grandi anfore, presente sulle mense almeno sin dall’alto arcaismo, spesso servita insieme al vino nei banchetti dell’aristocrazia terriera e guerriera in recipienti finemente decorati, non di rado anche con rappresentazioni delle attività agricole o specificamente dedicate al tema della raccolta e della lavorazione.

Secondo un celebre mito greco, Giove incaricò Cecrope, re di Atene in età antichissima, di porsi come arbitro della competizione finalizzata all’assegnazione del primato in terra attica, divino certame che si stabilì tra Poseidone, dio del mare, e Atena, dea della saggezza, della tessitura e dell’artigianato. Secondo il racconto, vincitore della contesa sarebbe risultata la divinità in grado di donare agli abitanti dell’Attica l’omaggio in assoluto più idoneo alla loro terra e a soddisfare i fabbisogni del popolo. Poseidone offrì come regalo un cavallo mentre Atena dedicò la pianta dell’ulivo. I cittadini, essi stessi in qualità di giudici, accordarono la loro preferenza alla donazione elargita dalla dea, poiché la pianta, nata dalla roccia colpita dalla sua lancia, sarebbe stata nutrimento per il popolo, medicina per i malati e fonte di luce per l’illuminazione.

Ad Atena, proclamata vincitrice, fu affidata la protezione dell’Attica, la città di Atene presa la sua denominazione proprio per omaggiare la dea e l’ulivo fu da allora strettamente associato all’Acropoli, evidenziando così, anche in memoria della creazione straordinaria narrata dal mito, l’elemento di congiunzione tra la dimensione terrena e quella divina. Il tempio dedicato proprio ad Atena Parthènos sull’Acropoli, il Partenone, il più celebre monumento dell’età periclea e di tutta l’età classica, sancisce definitivamente il legame indissolubile tra la figlia di Zeus e la città; la splendida e colossale statua polimaterica dedicata alla dea, che la fabbrica dello scultore Fidia realizzò per la cella del tempio, purtroppo perduta, ma descritta dagli autori, tra cui Pausania, aveva in una sua parte la rappresentazione della Nìke, della vittoria, e in un’altra quella della nascita di Pandora, la divinità che nel mito rappresenta la prima figura del genere femminile e che a noi consente un rimando anche ai temi della fertilità e della rinascita.

Come potrebbero insegnarci le collaboratrici di Pandolea, il mito contiene un importante riferimento al concetto della donna–madre, cui si associa il richiamo al potere generativo e palingenetico della Speranza per l’umanità, “spes ultima dea”.

Nel mito della contesa invece, evidentemente, nel progetto di Poseidone, l’Attica avrebbe dovuto primeggiare quale grande potenza basata sui commerci e su guerre estese a territori limitrofi e lontani, il dono del cavallo avrebbe perciò rappresentato il mezzo che meglio avrebbe aiutato gli uomini negli itinerari e nelle battaglie. Atena, invece, nata per partenogènesi direttamente dalla testa di Zeus, cioè dalla sede divina per eccellenza delle facoltà celebrali e del supremo nòos, dell’intelletto, quindi della riflessione, della conoscenza, della misura, dell’equilibrio e dell’armonia, progettò di assurgere a sostenitrice e benefattrice di un popolo e della sua terra attraverso gli strumenti dialettici della ragione, dell’intelligenza, della meditazione, dell’insegnamento, della creatività, della filosofia e della cultura.

Oltre il racconto, si intende, c’è molto altro, un universo aperto e fitto di rimandi.

In un passo dell’Iliade, Omero rileva significativamente il peso della trasgressione commessa ai danni dell’intelligenza di Zeus, del nòos, atto massimo di empietà e di tracotanza umana; ora, è chiaro, il rispetto per quanto nasce e si sviluppa dalla mente suprema del re degli dei si estende per traslato a quanto sarà affidato alla benedizione ed alla protezione di Atena.

In quest’ottica, la legislazione di Solone, che mirerà per la prima volta a proteggere l’albero dell’ulivo con un provvedimento specifico, si connota evidentemente sia sotto il profilo religioso che sotto quello economico, civile e politico.

Il dono dell’albero dell’ulivo e dei suoi frutti ci viene restituito dalla narrazione mitologica unitamente ad elementi concreti di quella civiltà e della comunità politica nascente; una pianta sempreverde, estremamente longeva, resistente alla siccità e agli agenti atmosferici, come ai venti salmastri, una pianta -sottolinea inoltre il racconto-, che “produceva altri doni”, per cui Atena insegnò agli esseri umani la tecnica dell’estrazione e della spremitura, affinchè potessero ottenerne l’olio, vero e proprio “oro liquido”, versatile ed insostituibile frutto della terra e del lavoro dell’uomo.

Racconta un altro mito che alle pendici della collina consacrata a Crono vi fosse un bosco di ulivi spontanei e selvatici, retaggio dell’Età dell’Oro, quella in cui regnavano la pace e l’abbondanza; emerge chiaramente, in questo contesto, come la pianta dell’ulivo indicasse metaforicamente la necessità universale di assecondare i cicli regolari della natura, poiché solo nel rispetto delle supreme leggi del Tempo e nell’assenza di conflitti bellici sarebbe stato possibile alimentare lo sviluppo del genere umano.

Come sappiamo, sin dagli inizi del cristianesimo, e segnatamente a partire dal secondo secolo dopo Cristo, l’ulivo sarà spesso associato ai temi della speranza e della pace, mentre emergerà nettamente il nuovo riferimento alla fratellanza.

Con l’olio d’oliva le prime comunità cristiane inizieranno a celebrare i riti più importanti; in particolare, l’atto liturgico dell’unzione assumerà, tra gli altri, i significati dell’elezione sacra, del passaggio e della purificazione.

Cristo, dal greco khristòs, significa “unto”, l’unto eletto del Signore Dio.

La benedizione dei ramoscelli di ulivo, in richiamo alle palme, da sempre simbolo di vittoria, in occasione della Domenica chiamata “delle Palme”, che commemora l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, si carica infatti dei significati simbolici relativi ai temi del passaggio, del nuovo trionfo della santità e della pace.

Nella storia del cristianesimo e nella cultura cristiana, così intimamente legate ai temi dell’alimentazione e della sacra condivisione, in cui si esaltano e si esprimono i valori del ringraziamento e dell’eucaristìa, l’olio d’oliva, insieme al vino ed al pane, rappresenterà il frutto del lavoro dell’uomo, della rigorosa disciplina, della sobrietà, della frugalità, spesso diventando un rimando diretto all’essenza divina.

Il paesaggio della cristianità, il suo contesto geo-politico, già bacino della civiltà greco-romana, il mediterraneo dell’evo antico e tardo antico, è stato fortemente caratterizzato dalla presenza dell’albero dell’ulivo e anche da diversi episodi del Vangelo emerge suggestivamente come l’uliveto appaia spesso come ambiente privilegiato e familiare della narrazione.
La funzione salvifica e protettrice dell’olio si conserverà fino ai nostri tempi, con alterne vicende e non sempre per il tramite della liturgia cristiana, anche in altri rituali propiziatori di ambito popolare, soprattutto nel medioevo, quando emergerà spiccatamente la dimensione apotropaica, specie in occasione delle frequenti pestilenze e di terribili epidemie; anche Dante Alighieri, fra gli altri, farà riferimento al “malocchio” nella Divina Commedia e alla pratica diffusa di veri e propri esorcismi, eseguiti con l’uso dell’olio d’oliva, atti ad inibire ogni forma di negatività.

L’eredità della storia greca, del mito e dell’epica eroica, così come quella dell’età post antica e medievale, non può non aver inciso profondamente, quasi stratificandosi, sui misteriosi, complessi e affascinanti meccanismi del delicato funzionamento della nostra psìche, che è anche, necessariamente, figlia di quella millenaria cultura; nella psicologia contemporanea, pur in una visione parziale, il sostrato mitico può essere filtrato attraverso differenti categorie interpretative, ma è soprattutto con l’aiuto e con “l’uso delle immagini” – secondo l’espressione indicata proprio da Raffaele Morelli – cioè per mezzo di un’attività “fantastica” e creativa, “mitopoietica”, che l’essere umano potrà essere in grado di continuare il suo percorso di coerente ricerca di un’identità sommersa, rifiorendo, come una pianta sempreverde e dalle radici antichissime, in un processo di rinnovamento continuo, teso sulle trame di un filo sottile, ma tenace e resistente, attraverso cui ricongiungersi progressivamente con le origini, con le “radicalità” della propria umanità più profonda. “Ciascuno di noi è il frutto visibile di un principio creativo, una fonte inesauribile”; come sotto la tutela di Atena, scaturita dalla potenza e dall’intelligenza costruttiva e prolifica di Zeus, lo “sguardo immaginativo” può fecondarci terapeuticamente, e anche solo attraverso l’idea o il diretto contatto con l’albero dell’ulivo, con la sua forza, la sua antichità, la sua storia, ma anche specificamente con i suoi rinomati benefici influssi energizzanti, febbrifughi, depurativi, dietetici, antinfiammatori, ognuno di noi può ricordare come attivare quei principi creativi e rigeneratori che costituiscono da sempre i capisaldi dello sviluppo dell’anima e del nostra psicologia.

“Le immagini sono il nutrimento dell’anima” e “immaginare è seminare, depositare nel regno dell’inconscio (…) le sostanze che creano il nostro essere più profondo” - afferma Morelli. Le immagini si creano o si costruiscono nella nostra mente, sede dei processi speculativi ma anche della memoria, base della conoscenza, la quale “non dimentica” di essere stata fecondata in antico, già sacra a Zeus e ad Atena, per procedere consapevolmente attraverso la storia di millenni.

Non potrebbe esistere rappresentazione fantastica senza memoria, a qualsiasi livello delle età evolutive, per cui possiamo affermare con le parole di Hillman: “L’uomo è creato come immagine, in un’immagine e per mezzo delle sue immagini. Perciò si manifesta innanzitutto all’immaginazione, sicchè la percezione della personalità è anzitutto un atto immaginativo (…). I metodi psicologici moderni, che analizzano le immagini e l’immaginazione sotto il profilo delle sensazioni o dei sentimenti, partono dall’estremità sbagliata. Poiché è l’immaginazione che ci plasma nella forma delle nostre immagini, al fine di percepire l’essenza di una persona dobbiamo sondare la sua immaginazione e vedere quale fantasia stia creando la sua realtà”.

Tutelare la sacra memoria dell’albero dell’ulivo e delle sue inestimabili virtù significa quindi rispettare profondamente la nostra umanità, condivisa ed individuale, la nostra cultura, che è anche patrimonio dell’anima.

Scrive Raffaele Morelli in La saggezza dell’anima: “Immaginare è seminare nell’anima e poi aspettare.” Recentemente, in una trasmissione radiofonica del 27 Gennaio 2015, con queste parole sottolinea l’importanza culturale e “terapeutica” dell’albero dell’ulivo: “La pianta dell’Ulivo è la pianta sacra ad Atena, alla mente. E’ l’olio, è la luce!“.

Ci piace pensare, anche secondo il monito omerico, che l’uomo possa continuare ad avere cura e rispetto, come agli albori della civiltà mediterranea, di quell’intelligenza creatrice e divina che, come trasfusa nell’immagine e nella sostanza dell’albero dell’ulivo, consentirà a ciascuno di fiorire e rifiorire, di maturare come frutto e di scoprire di giorno in giorno di essere noi inesauribile fonte di identità e di speranza.

 

Alessandra Chiusaroli vive e studia a Macerata.
Subito dopo la maturità scientifica, profilo bilingue, coltiva lo studio della lingua inglese e di quella francese, manifestando nel contempo una passione profonda per la letteratura, gli studi classici, con peculiare riferimento alla cultura epica.
Laurea in Lettere, indirizzo moderno e contemporaneo, presso l’Università degli Studi di Macerata, con tesi in Filosofia del Linguaggio dal titolo: “Il Testo Antico e la Classicità: caratteristica momentanea o permanente?”, approfondisce gli studi relativi alla semiotica intesa come filologia integrata, sui testi, in particolare, di Cadioli, Calvino, Canfora, Eco, Reynolds, Sartre. Nel 2013 consegue la laurea magistrale in Filologia Classica e Moderna cum laude, tesi di laurea in Filologia Classica dal titolo: “Il mito ovidiano di Piramo e Tisbe attraverso le riscritture di Luis de Gongora y Argote, William Shakespeare e Théophile de Viau”, in cui sviluppa le argomentazioni della tesi in semiotica sull’importanza della cultura classica nel mondo contemporaneo.

di Alessandra Chiusaroli

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessaria la registrazione.
Se ancora non l'hai fatto puoi registrati cliccando qui oppure accedi al tuo account cliccando qui

Commenti 0