Ambiente 30/09/2016

Quando l'ambientalismo rischia di divenire una setta

Quando l'ambientalismo rischia di divenire una setta

La tutela dell'ambiente è interesse di tutti. L'azione di gruppi organizzati è quindi meritevole, purchè non sfoci in un settarismo dogmatico. Un ambientalista dovrebbe sempre poter replicare con scienza e cultura


Che cos’è l’ambientalismo? Provare a cercare definizioni univoche che trattino la sua origine, è davvero complesso perché oggi rispetto ai suoi primi tempi palesa evidenti contraddizioni.

Quando qualcuno ti sferra “ io sono ambientalista e non ecologista” ti abbatte un mondo addosso perché tu hai sempre pensato che fosse l’identico concetto. Infatti, secondo i dizionari, i due termini si fanno intendere sotto un'unico ombrello.

Ambientalismo o ecologismo è anche l’insieme d’iniziative politiche finalizzate alla tutela e al miglioramento dell’ambiente naturale.

Partirebbe dagli anni sessanta con i primi dibattiti politici che criticavano l’uso indiscriminato dei fitofarmaci stimolando tra gli stati membri la volontà di regolare un’assenza abbastanza importante nel mondo della produzione agricola.

I primi movimenti ambientalisti sorgono negli anni settanta in Australia. In Europa giunge in Gran Bretagna con il Green Party. In Italia, la coscienza ambientalista, riceve un impulso dopo la pubblicazione nel 1972 dei primi Rapporti sullo Sviluppo che indicavano le possibili conseguenze sull’ecosistema e sugli effetti dell’inquinamento circa l’esistenza del nostro genere.

Negli anni ottanta con le intese mondiali tra le diverse confessioni religiose e con i verdi tedeschi sempre più vivaci, questo tipo di coscienza diventa virale. Così da quest’ultimo esempio nasce nel 1985 anche in Italia un movimento politico ad hoc.

La Legge n° 349/86 legittima le associazioni ambientaliste ad essere parte attiva nella tutela del territorio. In particolare con l’art 13, la pubblica amministrazione, attraverso un riconoscimento regolato da un decreto ministeriale può individuare quelle associazioni ambientaliste a carattere nazionale, con un ordinamento democratico interno, presenti in almeno cinque regioni, i cui criteri sono quelli di perseguire programmi di tutela ambientale.

In seguito a tale legge, alcuni militanti ambientalisti storici ebbero anche la facoltà di candidarsi e governare. Appare logico che le problematiche ambientali fossero proposte da engagé in grado di raccontare le realtà con competenza e tirocinio.

L’andirivieni politico ha condotto a grandi risultati in tale politica come quello di far sorgere l’Ufficio Europeo dell’Ambiente.

Lo sviluppo, la valorizzazione delle aree protette, il sistema della Carbon Tax, i protocolli di Montreal, per la protezione dello strato dell’ozono, quello di Kyoto, per combattere il riscaldamento globale e ultimamente nel 2016, con la Conferenza di Parigi COP 21 sono i veri risultati.

Le strategie e gli studi susseguitesi nel corso dell’ultimo mezzo secolo, fanno la storia dell’ambientalismo di oggi. I temi esaminati sono di vitale importanza. L’epoca che viviamo ci riporta ai fenomeni del riscaldamento globale, dello sfruttamento energetico da conciliare allo sviluppo demografico.

L’ambientalismo è quindi un movimento riconosciuto. I temi dell’uso dell’energia nucleare, le piogge acide, il buco nell’ozono, la deforestazione, il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono fenomeni di fatto valutati infinite volte dalla scienza ecologica; li descrivono magistralmente l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, le Agenzie regionali per l’ambiente e altri istituti internazionali riconosciuti.

Tali analisi sarebbero, con questi termini, correlati anche al movimento ambientalista o ecologista come si voglia chiamare. Sono termini di grande respiro che investono troppi gruppi, ideologie, approcci multidisciplinari e olistici. Tutte queste diversità, ovviamente, conducono spesso a polemiche e difficoltà fra essi e con essi.

La disgregazione all’interno dei gruppi non sarebbe solo ideologica o politica. Si potrebbe considerare, senza grandi analisi, un fenomeno diffuso. Basta recarsi a un semplice incontro di un movimento ecologico per percepire che tra quei dibattiti, si presenta, di solito, un acceso dissidio o qualche collera inascoltata. In quei momenti comprendi perché un gruppo, poi, si perde senza più ritrovarsi perché non riesce a rappresentare.

Un vero ambientalista dovrebbe respirare argomenti quali inquinamento, protezione di fauna e flora, tutela della natura e degli ecosistemi, delle aree protette, politica di gestione dei rifiuti, delle risorse energetiche, della sicurezza del territorio, produzioni da agricoltura biologica e nello stesso tempo dovrebbe masticare cenni di consumo critico e sviluppo sostenibile, fonti di energia, rinnovabili, cambiamenti climatici e pacifismo.

Per ogni ragione le direttive e i referendum costituzionali ci piovono addosso da ogni dove. Sono articolati di misure necessarie che hanno un’evidente utilità. Ogni adempimento burocratico in questo settore ha il suo senso.

In questo smisurato paesaggio, ognuno, nel rispetto delle regole, può riconoscersi nella sua personale ecologia; da quella politicamente orientata, a quella sociale, dell’animalismo, del veganesimo, del conservazionismo, del liberalismo verde, ecc. Oltre a quell’ecologia regolata ce ne sarebbe poi dell’altra che si avrebbe difficoltà a riconoscere e annoverare e che comunque non è da sottovalutare.

Non esiste un ambientalismo senza connotati, quindi. È mai possibile che nessuno abbia mai pensato a delle linee guida comuni che definiscano almeno le qualità fondamentali necessarie per certificare le convinzioni di un ambientalista?

I membri di un’associazione ambientalista dovrebbero garantire i loro compiti, attraverso il loro statuto.
Con un efficace statuto, si delimitano le responsabilità delle decisioni. Con quelle regole si decide all’unanimità in maniera democratica e senza coercizioni.

Una risoluzione deve esser valutata e deliberata da tutti i suoi soci membri. Riunirsi sotto l’egida di un sedicente movimento, senza identità e ordinamento, con tutte le sue buone intenzioni, avrebbe scarsa possibilità di concretare un progetto.

L’assenza di un leader o almeno, di un riferimento culturale, porta inevitabilmente al disfacimento. Tutta la baracca tenderà a basarsi sull’improvvisazione, sull’incomprensione e sull’incompetenza; è per questo che tutto poi finisce e non convince.

Quei pochi elementi discordanti, all’interno di un gruppo, basterebbero per dissestare un proposito comune o una speranza. Con queste condizioni può capitare, infatti, che qualcuno s’accomodi tra i movimenti, per arrivismo, per opportunismo, per mero protagonismo o, semplicemente, per una dose di popolarità.

Senza una precisa linea guida, un cartello virtuale che garantisca un certo altruismo, una coerenza, la competenza, l’onestà, il senso del bene comune non ci potrebbe essere un accordo propositivo. Senza un assenso comune, chiunque potrebbe rapire o rivendicare il nome di un movimento inespresso e investirsi a leader, magari senza neanche aver mai sentito parlare d’ecologia.

Oggi si fa presto a dire ambientalista. Si fa presto a surrogarsi il diritto di replica tra i copia incolla che finiscono spesso ad accreditare un evidente analfabetismo funzionale senza precedenti.

La razionalità che non dovrebbe far precipitare lo pseudo ambientalista, volente o nolente, in questa sua abissale incapacità di replicare con scienza o cultura è alquanto rara. Ci vuole poco a denigrare una verità attestata senza nemmeno essere in grado di dimostrare il suo opposto; a volte, si sfascia deliberatamente e senza una logica o un consenso.

In questi movimenti, non trovi volontà d’intesa, non ci trovi dei ruoli pertinenti né una comunicazione ecologica. I suoi attivisti hanno libertà d’espressione, possono schierarsi, alzare scudi e barricate e con la maestria del ricorso o della segnalazione, spesso, ricordano a tutti che l’istituzione democratica è anche lì in attesa di essere confutata.

Il dichiararsi ambientalista è anche una forma di provinciale autocompiacimento. Questo esemplare riuscirebbe perfino a farsi ricevere la fascia di ambientalista dell’anno. Nel suo curriculum appunterebbe il giorno in cui ha aiutato la nonnina ad attraversare la strada, di aver utilizzato per i suoi volantini la carta riciclata o per aver scritto un tenero slogan sul suo diario.

Un ambientalismo non partecipato, finirebbe tra improperi e insolenze, quello di cui oggi non avremmo assolutamente bisogno. Quel collerico fronte di conflitto che reclama il diritto di respirare sembrerebbe anche giusto fino a quando le azioni e le idee sono buone e pacifiche.

Che senso avrebbe, ad esempio, rivendicare la sovranità alimentare con un’agricoltura eco sostenibile o discutere per la raccolta differenziata se poi tra le mura domestiche succede l’esatto contrario. La coerenza non dovrebbe essere, forse, un cardine fondamentale per un ambientalista? È lecito domandarsi il motivo di questi comportamenti?

Queste novelle industrie dell’ambientalismo, spesso, non vogliono o non riescono a elaborare che gli effetti delle loro splendide iniziative potrebbero essere controproducenti alla causa.

Questo modello accoglie consensi dal suo stesso insieme, decantandosi le gesta come un esercito di cavalieri Achei, pensando di aver fatto cosa buona e giusta, senza mai però farsi un briciolo di autocritica. Un’autoanalisi che forse farebbe piacere perfino al nostro vulnerabile ecosistema.

di Mimmo Ciccarese

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessaria la registrazione.
Se ancora non l'hai fatto puoi registrati cliccando qui oppure accedi al tuo account cliccando qui

Commenti 1

Maria Teresa M
Maria Teresa M
05 ottobre 2016 ore 11:35

Buongiorno,
condivido appieno questo articolo... personalmente non appoggio nessun estremismo, inclusi ambientalismo ed ecologismo, perché secondo me portano a un'esagerazione di un'ideologia (non a caso fanno rima con comunismo, nazismo, razzismo...), e apportano poco di positivo. Secondo me l'ambiente non può essere considerato secondo una visione politica, perché l'ambiente non è né rosso, né verde, né nero, né arcobaleno...l'ambiente è come è, meraviglioso e da tutelare, per noi stessi e per il prossimo.
Appoggio invece lo sviluppo sostenibile, che va in tre direzioni: sociale, economico ed ecologico; inutile fare lotte politiche a chi l'economia la porta avanti (magari inquinando, consumando...), piuttosto bisognerebbe cercare di educare e sensibilizzare, senza opporsi ma cercando di migliorare quello che già è in atto, sempre verso un obiettivo positivo per tutti.
saluti,
Maria Teresa