Mondo Enoico 14/06/2008

Brunello e Nobile, il rispetto delle regole non è un optional

Si affoga in un bicchiere d’acqua e mai in mare aperto. Per distrazione o sete eccessiva. Per Di Lena ci hanno rimesso i viticoltori del centro sud, serbatoti di voti e vino




Conosco bene il contributo che i Consorzi di tutela dei vini Doc e Docg hanno dato alla crescita della immagine dei nostri vini sui più importanti mercati del mondo, come pure ho ben chiaro in mente il ruolo di stimolo e di sostegno delle istituzioni, sempre a fianco dei produttori. .

Soprattutto in Toscana, e in provincia di Siena in particolare: se penso al ruolo svolto dal Consorzio del Nobile di Montepulciano al momento della uscita della prima Docg.
Un lavoro attento, meticoloso, puntuale, che ha visto, insieme al Consorzio, la Camera di Commercio di Siena guidare, con grande capacità, tutte le operazioni di selezione e di controllo.

Una prova pagata a caro prezzo - vista la forte selezione - dalla gran parte dei produttori del vino della città di Poliziano, ma che è servita di esempio per gli altri che avevano da affrontare il riconoscimento massimo previsto dal Dpr 930.

Ho avuto modo di ricordare spesso questa esperienza vissuta con il Vino Nobile, per spiegare, prima di tutto a me stesso, come fatti, che possono apparire limitati e circoscritti, diventino decisivi per l’insieme delle realtà che vanno a definire e costituire, nel caso specifico, in quel mondo complesso che è il vino italiano.
E l’ho potuto fare perché sono stato un testimone, quale rappresentare dell’Enoteca Italiana,che è sempre stata, sin dalla sua nascita nel 1960, una protagonista, al fianco del Comitato, di quel percorso virtuoso che ha preso il via ufficialmente con il Dpr 930 del 1963.

Il Rinascimento del vino italiano
Ricordo che la iniziativa centrale dell’Enoteca, la “Settimana dei Vini” - detta fino alla fine degli anni ’80, “di giugno” - è nata per riunire, a Siena, gli stati generali della vitivinicoltura italiana e dare ad essi la possibilità di fare il bilancio di un anno di dibattito e di risultati sulla strada della qualificazione dei nostri vini legati al territorio e all’origine.

Un confronto che, nel corso di decenni, è servito per accompagnare questi nostri grandi vini, codificati da un disciplinare, lungo il percorso che ha portato al successo le 352 denominazioni ad oggi riconosciute, di cui 36 Docg (è l’”Oltrepo pavese” l’ultima entrata) e 316 Doc, che, con le 118 Igt, vanno a completare il quadro della 164, la legge vigente firmata dal Sen. Margheriti.

Sono passati 42 anni dalla prima Doc riconosciuta, la Vernaccia di S.Gimignano.
Se questo vino della città torrita ha avuto il merito di aprire il percorso dei vini a d.o., bisogna dare atto al Brunello di Montalcino, e al Vino Nobile di Montepulciano, di avere aperto nella prima metà degli anni ’80- insieme al Barolo e al Barbaresco - la stagione delle Docg e di contribuire a far vivere quella grande stagione, segnata dalla seconda metà degli anni ’80, che qualcuno ha definito, a mio parere in modo appropriato, il “Rinascimento del vino italiano”.

Un percorso non facile, quello del Dpr 930, ma anche della legge 164, per tutti gli ostacoli che via via venivano messi da chi, apertamente o di nascosto, ha sempre osteggiato le regole imposte da queste normative, con la motivazione che un eccesso di burocrazia e di controlli portava solo a far perdere tempo a chi doveva poi misurarsi con il mercato nazionale e internazionale.


A rimetterci sono stati i viticoltori del Centro Sud
Un ragionamento solo in parte corretto con la tragedia del metanolo e poi, nel tempo, ripreso con l’accusa alla legge 164 di essere obsoleta e, come tale, un freno per chi ha fretta di fare gli affari.
E di affari il mondo del vino - e quanti sono cresciuti come funghi intorno ad esso - ne hanno fatti tanti.

I soli a rimetterci sono stati i viticoltori del centro sud che, insieme alle loro cantine sociali, nate, non per affrontare il mercato, ma per fare da serbatoti di voti e di vino, hanno servito le industrie vinicole del centro nord, anche quando l’uva è stata pagata 13 euro al quintale, come nel 2005, dopo un calo crescente a partire dal 2000.

Nello stesso periodo i vini italiani, soprattutto quelli che avevano saputo sfruttare nel migliore dei modi l’immagine della Doc o della Docg e avviare, con essa, una positiva azione di marketing, segnavano un sensibile e costante aumento dei prezzi dei vini in cantina e, ancor più, sul mercato.

C’è da dire che i viticoltori del centro sud hanno pagato i ritardi, accumulati negli anni, da una classe dirigente e politica del mondo contadino che non ha capito, o non ha voluto capire, la grande opportunità della qualificazione dei territori vitati per vincere, con la qualità e la promozione, la concorrenza agguerrita su un mercato sempre più globale.

La colonizzazione a opera delle grandi aziende del Centro Nord
Si è rimasti fermi alla vendita diretta dell’uva e del vino sfuso a grado alcolico e alla colonizzazione dei territori più noti da parte delle grandi aziende del centro nord, come in Puglia, in Sicilia e Sardegna, che, senza alcuna colpa, hanno creato nei viticoltori locali delle attese che, alla fine, sono diventate pretese, nel momento in cui i produttori del luogo hanno pensato di imbottigliare e presentarsi sul mercato con i prezzi che spuntava un Antinori o un Zonin, senza rendersi conto della storia e del nome di queste aziende dopo anni e anni di investimento e di presenza sul mercato.

Una grande occasione persa per far conoscere, con un corretto rapporto qualità/prezzo e con un’attenta e mirata politica di marketing, vini e territori altamente vocati e affermare, così, un percorso di un minimo di autonomia, senza dipendere solamente dalla domanda proveniente dal altre regioni dell’Italia e da altri paesi. Un percorso avviato e portato avanti, invece, con successo dalla Campania.

Il mio ragionamento non è quello di voler azzerare gli scambi commerciali o di chiudere la viticoltura meridionale alla domanda dell’industria enologica del centro nord, che è stata e rimane salutare, ma di dare alla filiera vitivinicola quell’equilibrio che oggi non ha, visto che tra i protagonisti i viticoltori continuano a fare la parte dei deboli, e questo non va bene perché apre a tanti rischi che riguardano l’intera filiera, cioè tutti.

Alla fine chi ci perde di più è il vino, per ciò che ha rappresentato e rappresenta per la nostra agricoltura, il turismo, l’export, e i mille territori vocati.

Il fine che giustifica i mezzi: le vicende Brunello di Montalcino e Nobile di Montepulciano
Dentro questo quadro si collocano le vicende che stanno vivendo il Brunello di Montalcino e il Vino Nobile di Montepulciano, cioè la possibilità di poter non tenere conto del disciplinare e di avvalersi dell’aggiunta di altri vini, non preoccupandosi che, così facendo, si andava a smontare di fatto l’impianto della Denominazione di origine, commettendo, così, comunque una frode.

Si dovrebbe dare la parola all’Aglianico della Puglia, della Basilicata e della Campania, o, al Montepulciano dell’Abruzzo e del Molise e al Pinot bianco, per capire cosa sono andati a fare, anche dopo i riconoscimenti delle Doc e delle Docg, in Piemonte, in Toscana o nel Veneto, soprattutto in questi ultimi anni, quelli che hanno registrato un calo crescente di produzione di uva e di vino e, ancor più, un calo dei consumi, in particolare del vino quotidiano.

Uno dei grandi presidenti dell’Enoteca, il professor Mencaraglia, mi ripeteva spesso che si rischia quasi sempre di affogare in un bicchiere d’acqua e mai in mare aperto.
È quello che sta succedendo a Montepulciano o a Montalcino, per colpa di chi ha pensato bene di non rispettare le regole imposte dal disciplinare, con la convinzione che si poteva fare, visto che non andava a toccare la salute del consumatore, ma, nella gran parte dei casi, portava perfino a migliorare i caratteri del vino.

Il fine che giustifica i mezzi, senza rendersi conto, però, del danno, nel momento in cui non veniva rispettato il disciplinare, prodotto alla immagine di vini che il consumatore del mondo ha eletto ai vertici della qualità e che, in questi anni, hanno dato al made in Italy un contributo pari alla Ferrari o alla moda italiana.

In questo senso non servono difese corporative, come quelle che ho sentito esprimere, in questi giorni, da personaggi del mondo del vino, ma il coraggio di dire che certe cose non si fanno e che chi le fa, o le copre con il silenzio, ha il dovere di mettersi da parte.

In questo senso, penso che siano da accogliere positivamente le dimissioni dei presidenti dei due consorzi e l’iniziativa del commissariamento del Consorzio del Brunello da parte del nuovo Ministro dell’Agricoltura e qualsiasi iniziativa tesa a rassicurare i consumatori e a rilanciare il ruolo trainante di questi nostri grandi e deliziosi vini, nell’interesse della vitivinicoltura italiana che è tanta parte della nostra agricoltura e dei territori più belli del nostro Paese.