Mondo Enoico 27/02/2015

Le nuove scuole di potatura della vite rispondono davvero alle esigenze dei viticoltori?

Le nuove scuole di potatura della vite rispondono davvero alle esigenze dei viticoltori?

Occorre tenere gli occhi aperti di fronte a nuove tendenze e mode. Una potatura unica e autoreferenziale senza confronti sullo stesso vigneto, non consenta di valutare oggettivamente nel tempo vantaggi e svantaggi e che sia come procedere a vista in mare senza bussola


In questi ultimi tempi sta succedendo qualcosa mai visto prima per quanto concerne la potatura manuale della vite, cioè la nascita di numerose scuole di potatura targate S e S, che sono indubbiamente un fenomeno nuovo e necessario di fronte al grigiore dell’offerta tecnica, che sembra imperare. Nello stesso tempo stanno diventando un fenomeno mediatico con un forte impatto economico. Sarebbe, pertanto, opportuno fare una riflessione critica per capire se questo fenomeno risponde alle reali esigenze dei viticoltori.

Tecnicamente bisogna avere i capelli bianchi e molti anni sulle spalle, anche se non è un grande vantaggio, per ricordarsi come negli anni 70’ esistessero molte opportunità formative nel settore della potatura, sia perché non era ancora entrata in uso la potatura meccanica, sia perché la professione di agricoltore si tramandava di padre in figlio, inoltre, erano molto attivi gli ispettorati provinciali che proponevano periodicamente corsi di aggiornamento. A ciò si aggiungano le agenzie regionali (all’epoca denominati anche Enti di sviluppo) che realizzando campi dimostrativi erano in stretto contatto con le Istituzioni di ricerca che proponevano tutte le novità in campo agricolo.
Facendo un balzo di una trentina d’anni in cui sono successe troppe cose per poterle descrivere accuratamente in poco spazio, ci siamo trovati all’inizio del terzo millennio con un notevole cambiamento delle condizioni in cui si esercita la viticoltura.

Innanzitutto, è stato impostato un nuovo modello di viticoltura basato su nuove distanze e forme di allevamento che hanno modificato la tecnica di gestione del vigneto, sradicando completamente la tecnica dalla cultura viticola acquisita con anni e anni di esperienza. Inoltre, sono cambiate totalmente le maestranze, infatti, esistono squadre di potatori alcuni dei quali hanno scarse conoscenze sulla vite, oppure, affidano la produttività del loro lavoro alla velocità di esecuzione dei tagli, che devono essere ripetitivi e senza riflettere su come e dove eseguire un taglio. D’altra parte, la potatura manuale è oggigiorno messa in concorrenza con quella meccanica, e richiedendo maggiori costi rischia di rendere antieconomica una viticoltura basata sulle operazioni manuali.

A ciò si aggiunge anche un’altra realtà, ovvero che nelle Istituzioni di Ricerca e nelle Università la competitività richiede di fare ricerche per pubblicare lavori scientifici su riviste internazionali di alto valore scientifico (ad alto Impact factor) costringendo ad abbandonare le prove tecniche e le attività che non portano a questo risultato. E’ comprensibile come ormai molti esperti siano scienziati di buon livello che hanno però scarsa attenzione ai problemi pratici e salvo casi eccezionali raramente calcano i vigneti.

Bisogna riconoscere che in una situazione di questo tipo la nascita delle scuole di potatura è andata a colmare un vuoto esistente che forse si sarebbe potuto evitare con un maggiore coordinamento.

Queste scuole di potatura sorte un po’ ovunque fanno riferimento ad alcuni principi generali che condivido pienamente, anche se gli operatori hanno spostato sempre più indietro il momento in cui avrebbero iniziato a praticare questo metodo. Le prime pubblicazioni, che riguardavano la formazione della testa di salice nell’allevamento a Guyot, facevano riferimento a viti di diversi anni, mentre le foto mostrate erano di viti molto giovani, che non necessariamente avrebbero dato il risultato indicato. Stessa cosa dicasi per i candelabri mostrati nei video, dove è vero che i tagli sono visibili, ma se li contiamo sono molto meno di quelli che vengono dichiarati.

Inoltre, appare chiaro che questo metodo consente di potare a “occhi chiusi”, ma non è detto che sia razionale come si dice, in funzione del vitigno e della posizione della gemma Bourillon. Ho visto vigneti potati a Guyot con questo sistema che a detta dei viticoltori non danno uve di qualità come viene promesso. Anch’io per la verità sono propenso a dare ragione a questi viticoltori insoddisfatti, ma potrebbe essere considerato un giudizio di parte e quindi prendetelo come parere personale. Se voglio mettervi in guardia è perché sulla vite una esperienza trentennale e in vigneto ci vado non solo per piacere, ma anche per motivi scientifici tecnici e didattici, poiché insegno nel corso di laurea in viticoltura ed enologia dell’Università di Pisa.

Io insegno come la vite si comporta, la mia tecnica si fonda sulla potatura a occhi aperti, e soprattutto invito gli studenti a fare il confronto con altri metodi che poi sono anche quelli delle scuole di potatura. Credo che una potatura unica e autoreferenziale senza confronti sullo stesso vigneto, non consenta di valutare oggettivamente nel tempo vantaggi e svantaggi e che sia come procedere a vista in mare senza bussola. Secondo me una verifica di questo genere sarebbe assai più obiettiva.


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Commenti 4

andrea cavallera
andrea cavallera
16 marzo 2015 ore 10:06

La fortuna è stata tale perché l'istrionico Marco Simonit e i suoi istrionici aiutanti hanno organizzato due sessioni di corsi in una zona non lontana dalla mia.Se i suoi tecnici,signor Minguzzi,di cui non fa i nomi,organizzeranno dei corsi nella mia zona e con dei costi ragionevoli,avro'sicuramente la FORTUNA di frequentarli.Da quanto mi sembra di capire il corso lei non lo ha frequentato quindi ogni sua valutazione è ovviamente gratuita.Io non posso far altro che consigliarle vivamente di frequentarlo perché siete molto vicini come idea di corso.La fastidiosa platealita'(questa puo' dar fastidio anche a me,ma per "passare"al giorno d'oggi è imperativo usarla,se no purtroppo nessuno ti considera,soprattutto in televisione)è di contorno ad una considerazione che lei,non sapendo, ha espletato:i preparatori,potatori,istrioni o quant'altro sono stati i primi a dirlo che il loro metodo non è un'innovazione,l'innovazione è stato applicare le loro "considerazioni" e quelle di vecchi "vignolanti"a forme di allevamento moderne quali gujot e cordone speronato.alle provocazioni sull'unico corso a cui,lei dice,io abbia partecipato,beh mi sembra di cattivo gusto e lascio cadere nel vuoto.Invii pure,se vuole,nomi date e luoghi di corsi che vedro' di frequentare.Grazie e buongiorno.

angelo minguzzi
angelo minguzzi
16 marzo 2015 ore 00:22

Mi reinserisco, soprattutto per chiedere scusa per il mio precedente intervento, che dimostra di non avere letto con attenzione l'articolo di Giancarlo Scalabrelli. Evidentemente mi era sfuggito che, parlando delle scuole di potatura targate metodo S e S, esprime ampiamente la sua opinione proprio su quello che io ho indicato come metodo Simonit.
Precisato questo ed avendo, nel frattempo, cercato di capire in che cosa consiste la "particolarità" di tale metodo, anche assistendo a trasmissioni televisive e a You Tube dimostrativi, e consultando tecnici viticoli di mia fiducia e viticoltori, mi viene da dire che, semmai, la critica - come la chiama Cavallera - espressa nell'articolo di Scalabrelli poteva essere anche più pesante.
Cavallera dice che ha "avuto la fortuna di partecipare al loro corso" e aggiunge "ben vengano tutti i corsi possibili per gli operai come me": io direi "ben vengano tutti i corsi fatti bene e che espongono la materia in maniera chiara e ineccepibile sotto l'aspetto scientifico". Non so come faccia Cavallera a misurare la fortuna che ha avuto, dal momento che - immagino - non ha partecipato ad altri corsi: a quelli, ad es., che avrebbero potuto tenere quei miei tecnici "di fiducia", come li ho chiamati. Non sa cosa ha perso e cosa avrebbe potuto imparare se, più o meno, lo stesso tipo di tagli fosse stato illustrato con un linguaggio e un atteggiamento più scientifico e meno istrionico, senza bisogno di costringere il povero cameramen a rincorrere il "docente" tra i filari o a riprenderne la perizia di arrampicatore su e giù per dirupi e terrazzi.
Io stesso la spiegazione della potatura la darei con un linguaggio ancora più semplice e più povero:
- partendo dall'indicare DOVE ha già prodotto la vite
- e quali sono i tralci che potranno produrre nella prossima stagione.
Dopodiché elimino il vecchio, indicando in quale posizione va fatto il taglio, e scelgo il tralcio meglio inserito per essere sistemato nella posizione in cui era quello che è stato eliminato. E, mentre spiego perché faccio queste operazioni, parlerò del percorso della linfa, del ruolo della luce, della fotosintesi, ossia fornirò le basi della fisiologia vegetale necessarie per fare capire come funziona la macchina pianta. Senza bisogno di gesti plateali come l'accarezzare il tronco e senza bisogno di sottolineare che così facendo si allunga la vita della vigna, sottintendendo che gli altri che non usano il "Metodo" vogliono male alle viti. Nella sostanza, non mi sembra che ci sia niente di particolarmente nuovo o diverso nel Metodo, rispetto a quello che comunemente si fa.
Scalabrelli esprime una sua "perplessità" sull'appoggio mediatico a queste scuole di potatura; e già l'uso dei termini "Metodo" e "Scuole" è stato scelto per avere un peso sulla bilancia del costo della loro applicazione e diffusione. Anch'io la definirei una bella operazione di Marketing, che sfrutta quell'ampio margine di effimero che c'è nel prodotto vino, rappresentato da valori immateriali comunicati con parole quali: il terroir, gli chateaux, ... adesso va di moda la biodiversità ..; poter dire di avere prodotto quel vino con l'uva del vignaiolo che ha potato rispettando la vita della vigna anche grazie all'innovativo Metodo proposto dalla Scuola di potatura potrebbe servire ad aumentare di 1 euro la bottiglia ... perché no?

andrea cavallera
andrea cavallera
06 marzo 2015 ore 11:27

Mi spiace ma non capisco la critica.non ci sono ne dati certi ma solo pareri suoi e di viticoltori che dichiarano che con il loro metodo non hanno uve di qualità?mi sembra difficile credere che solo con la potatura si condiziona la qualità.io posso solo dire che ho avuto la fortuna di partecipare al loro corso e devo dire che è un corso ben strutturato e chiaro...per tutti dall'hobbista al professionista.questo è il principale punto.in vigneto non ci vanno i laureati se non per insegnare,quindi ben vengano tutti i corsi possibili per gli operai come me.essendo un metodo non è la bibbia,nessuno ti obbliga a farlo e a seguirlo.lo ritengo buono perché da la sensazione forte di interagire con la vite e per niente ad occhi chiusi,anzi,come insegnano proprio al corso in questione,ogni vite va interpretata,ragionata.a me interessa poco sapere se la vite può vivere di più,mi interessa credere che la vite possa vivere di più grazie ai miei accorgimenti.per un operaio che ci tiene al suo lavoro è un enorme differenza.grazie e complimenti comunque per aver sollevato la questione.e' sempre giusto far riflettere.

angelo minguzzi
angelo minguzzi
28 febbraio 2015 ore 01:16

on so se ho capito bene il suo messaggio, ma si riferisce "anche" al metodo Simonit? Avrei piacere, in ogni caso, di conoscere il suo parere su tale metodo