L'arca olearia 25/03/2016

Dalla Tunisia i quantitativi di olio d'oliva che il Salento potrebbe produrre in due annate agrarie

Dalla Tunisia i quantitativi di olio d'oliva che il Salento potrebbe produrre in due annate agrarie

Occorre mettere nella giusta prospettiva, con un po' di numeri, i sistemi olivicoli-oleari italiani e tunisini, cercando di comprendere le dinamiche e le prospettive. L'ingresso a dazio zero delle 35 mila tonnellate potrebbe essere un’occasione per perfezionare i controlli alla frontiera e le certificazioni di prodotto


Quando un olio estero “invade” il nostro mercato, occorre “difendersi” e correre ai ripari. Con questi termini, ci sentiamo un po’ come in un campo di battaglia. L’olio d’oliva, non è stato mai un bene comune, ogni territorio ha cercato di differenziare la sua produzione elevandola come la migliore tra tutte.

L’olio d’oliva soffre certamente la competitività tra produttori perfino della stessa terra d’origine. In qualche ambiente, si discute ancora sulla definizione di varietà autoctona, sui disciplinari di produzione da adottare, sul miglioramento della qualità e sulla tracciabilità.

Eppure ai tempi degli antichi greci e, forse ancor prima, nel bacino del Mediterraneo, l’olivo era considerato simbolo d’unione e pace. Che cosa sta succedendo tra le nostre realtà olivicole?

Se non fosse per la sensazione del breve titolone che indicizza i motori di ricerca, la curiosità di saperne di più su tale quesito può facilitare la comprensione. Qui si tratta di una breve relazione basata su comparazioni tecniche, tenute insieme, da svariate fonti, a volte discordanti, a volte irreperibili, speriamo siano utili.

Dalla loro analisi, ti accorgi che tra i paesi produttori ci sono sostanziali differenze; cambiano i territori e il clima, i mercati, i costi e i metodi di produzione. Ogni settore è il risultato di enormi complessità che è necessario esaminare e interpretare per ciò che esprimono i suoi numeri ufficiali. Un po’ documentandoci da fonti autorevoli, come il Consorzio Olivicolo Italiano (COI), dall’IOC, consiglio oleicolo internazionale, dall’ISMEA o dall’ISTAT e un po’ dall’Osservatorio agricolo nazionale della Tunisia, proviamo a esporre.

Iniziano a dire che l’Italia con Il suo patrimonio olivicolo stimato in circa 160 milioni di piante distribuite su una superficie di 1.123.330 ettari (ISTAT) è dopo la Spagna, ancora il secondo produttore al mondo d’olio d’oliva. L’Italia è in grado di produrne mediamente, considerando le alternanze di produzione delle tantissime varietà presenti, anche 500.000 tonnellate annue. Nel 2014-15 l’Italia ha prodotto 302.000 tonnellate e nel 2015-16 circa 410.000.

I dati riguardanti le produzioni dello “scenario di settore 2013-2014” pubblicato da Unaprol- Coi attestano che c’è stata una produzione mondiale di circa 2,3 milioni di tonnellate e che il 64% di esso si concentra in Europa. Le produzioni totali nell’UE sono state nel 2014 pari a 2.180.250 tonnellate.

Negli anni successivi la Spagna con 1.200.000 ton, manterrebbe il primato con il 48% mondiale, poi a pari merito l’Italia e la vicina Grecia con il 18%, poi la Tunisia con il 15% e a scalare gli altri paesi (dati IOC). Ovviamente la provvisorietà di tali dati si riferisce a singole annate. La Spagna mediamente può produrre anche di più e la Tunisia molto di meno.

Il nostro fabbisogno è pari a circa 1.000.000 di ton di cui 600.000 sono mediamente destinate al consumo interno e le restanti parti 400.000 ton per l’export. L’Italia è il primo consumatore al mondo di olio d’oliva ma non riesce a soddisfare il suo fabbisogno per cui gran parte del prodotto per le nostre esigenze lo deve importare dalla Spagna, dalla Grecia o dalla Tunisia.

Rechiamociper un attimo in Puglia, che per quantità di prodotto, in Italia, rappresenta per il 37% (il 12% del mercato mondiale). Il sistema olivicolo pugliese, nel 2014, ha prodotto 222.000 ton, mentre, nel 2015 si prevedevano, invece, 135.000 ton (-35% rispetto al 2014).

Nel Salento, ad esempio, si produrrebbe mediamente circa il 25% del totale pugliese (6- 8% del prodotto nazionale). Con tali produzioni si attesta al secondo posto dopo la provincia di Bari ma con annate di carico fruttifero alto potrebbe superare le 35.000 tonnellate.

Il totale delle quantità di Puglia e Calabria sarebbero il 60-65% dell’olio nazionale ma insieme non raggiungerebbero neanche le quote dell’Andalusia che da sola coprirebbe l’80% dell’olio spagnolo.

Alla luce dei primi risultati riportati, si evidenzia che la Spagna produce il doppio dell’Italia. Il motivo principale è perché ha molta più superficie e molti più alberi rispetto a essa. La Spagna adotta un’agricoltura superintensiva che riesce a produrre fino a 120 q.li ad ettaro di olive. Quello che ci fa ripensare che il totale dei frantoi in Spagna è circa di 1800, molti in meno rispetto all’Italia che ne conta 6500. Ciò è dovuto alla dimensione media degli oleifici. L’attività di molitura è pressoché identica per ogni realtà.

Solo la Puglia ha 667 frantoi (Agea - Unaprol-Coi). Probabilmente sarebbero stati molto di più qualche anno fa. La provincia di Lecce, per restare nell’esempio, conterebbe 251 oleifici attivi, di cui, quasi due terzi gestiti da cooperative sociali, alcune delle quali con difficoltà funzionali o burocratiche da gestire. Per mera curiosità che potrebbe interessare l’aspetto gestionale di un frantoio tipo è quello correlato alle spese per l’energia, in genere, che in Tunisia pare sia un terzo in meno rispetto all’Italia.

Nel frattempo può succedere che nel processo produttivo, gli andamenti stagionali siano sfavorevoli per alcuni territori e favorevoli per altri. Succede che le differenze tra un’annata e l’altra siano notevoli. Ad esempio, la Tunisia nel 2014, ha una flessione (-40%), rispetto al 2013, sia sul volume esportato sia sul suo valore (da osservatorio nazionale per l’agricoltura tunisina) ma nonostante tutto continua a produrre e vendere.

In Tunisia ci sono enti incaricati di armonizzare e coordinare il quadro normativo dei regolamenti comunitari e della sicurezza alimentare. Operare nel settore della gestione della certificazione per il rilascio di marchi e altro non è una novità. In Tunisia i corrispondenti delle nostre DOP e IGP che sono rispettivamente l’AOC e l’IP. Tra quest’ultime, l’unica riconosciuta nel 2010, è l’IP di Monastir che certifica l’olio da varietà Chemlali, a fronte delle nostre 46 Dop e delle 27 spagnole.

L’Italia è uno dei principali partner nel commercio d’olio tunisino. Dopo lo scarso raccolto del 2014, infatti, l’incremento dell’import di olio dalla Tunisia, nei primi mesi dell’anno scorso, era stato di quasi il 700%. Ciò scaturì anche dal calo produttivo della Spagna (-50%) dovuto alle annate siccitose, alla presenza della mosca olearia in Italia (-40%) e a un calo importante del prodotto siriano per gravi motivi dovuti ai conflitti. In virtù di questo risultato storico, si teme l’emergenza di altri produttori o che non decidano di prolungare lo stoccaggio.

L’ISMEA dice che nel 2015 la Tunisia ha prodotto 340.000 tonnellate di olio ed è in quest’ambiente che si disporrebbe il contingente di 38.000 tonnellate a dazio zero in aggiunta ai 57.000 ton già presenti, destinata ai ventotto paesi dell’Unione Europea.

Le 76.000 tonnellate che l’Europa dovrebbe importare in due anni a tasso zero, corrispondono più o meno ai quantitativi che il Salento potrebbe produrre in due annate agrarie con i suoi dieci milioni di piante su circa 90.000 ha. In questo contesto è utile ricordare che gli oliveti a sesto tradizionale 10X10 con 100 piante ad ettaro varietà Cellina di Nardo’, in annata di carico, possono produrre mediamente 10 quintali di olio.

In Tunisia gli alberi d’ulivo sarebbero 80 milioni, circa la metà di quegli italiani, su 1.600.000 ettari equivalenti a circa un terzo delle terre coltivabili e concentrate nelle regioni del nord (circa 100 piante/ha) rispetto al sud (7 piante/Ha). Per fare un rapido confronto e rendere le misure con tale realtà, la Puglia detiene 60 milioni di ulivi su poco più di 375.000 ettari.

Un altro dato che emerge dall’olivicoltura tunisina è che essa decide il suo olio prevalentemente per l’export (media di 140.000 ton) consumando un valore medio negli anni di circa 40.000 tonnellate per uso interno. La Tunisia detiene circa 1700 frantoi e quindici raffinerie con circa 390.000 persone addette al settore. Il valore delle risorse umane è modesto. Dalle fonti dell’Istituto per il Commercio Estero (ICE) del 2012 si legge che un operaio specializzato impiegato in agricoltura percepirebbe un salario di 300/430 dinari tunisini al mese. Sarebbero circa 9,60 dinari/giorno (al cambio circa 4,60 euro).

Lo sforzo di produrre, con l’intento di aumentare il prodotto interno lordo accresce la competitività. Qualsiasi azienda cerca rimedi per ridurre i costi della produzione che gravano in gran parte sul prezzo unitario dell’olio. Ci si può riferire, dunque, al costo del lavoro o al reddito procapite che attesta l’Italia al 32° posto nel mondo con 35.131 euro l’anno, mentre la Tunisia con 11.341 Euro/annui sarebbe al 96°. Se si vuole fare un altro confronto, la città di Andria città regina dell’olio d’oliva in Puglia, sarebbe, secondo le stesse fonti, 12,372 euro /annui.

In questo periodo, il borsino registra prezzo all’ingrosso dell’olio extra vergine spagnolo più alto (3,31 euro/kg) rispetto a quello tunisino (3,23 euro/kg). Quello italiano, alla piazza di Bari è di 4,08 euro/kg.

Se il reddito pro capite si riduce, si cerca di risparmiare sulla spesa. Secondo le fonti di Coldiretti, nel 2015, l’Italia conquista la vetta dei consumi, con 581.000 ton, seguita da Spagna e Grecia.

Dal 2005 a oggi il trend dei consumi in Europa è comunque diminuito, ma nel compenso aumentano quelli negli Stati Uniti (che dal 1991 al 2014, passa da 88.000 a 301.000 ton) del Giappone e della Russia (IOC). Nel 2016, secondo le tabelle del COI, l’Italia prevede di consumarne circa 580,8 di ton, un quantitativo superiore rispetto a quello prodotto

Quello che si scrive riguardo all'agevolazione dell’UE verso l’olio tunisino riguarda decisioni che non risalgono ai giorni nostri; sono frutto di precedenti regolamenti comunitari (2012).

Già a maggio del 2015 si era votato in favore di una sorta di "Piano Marshall", per tagliare 25 milioni di debito dell'Italia nei confronti della Tunisia.

L'Italia essendo il secondo partner commerciale con la Tunisia in cui detiene centinaia di marchi e industrie, tessili, della raffinazione del petrolio e delle costruzioni, prevalentemente, hanno interesse che la democrazia in quel paese si stabilizzi.

Probabilmente questa vicenda potrebbe essere un’occasione per perfezionare i controlli alla frontiera e le certificazioni di prodotto, i sistemi di tracciabilità alimentare e le normative sanitarie, su cui molti paesi olivicoli comunitari e non hanno già legiferato.

Tutto questo è solo un annotazione che vuole aiutare a comprendere altre realtà olivicole.

di Mimmo Ciccarese

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Commenti 7

sebastiano forestale
sebastiano forestale
29 marzo 2016 ore 10:17

L'importazione di olio d'oliva tunisino ha fatto sparlare i nostri politicanti e gli addetti e non addetti ai lavori (gente di spettacolo). La sua analisi è condivisibile perché si basa su dati più o meno veritieri (la statistica a volte non è precisa ma ci dà un'idea della realtà). La realtà è che l'Italia per soddisfare il suo fabbisogno di consumo interno ed di esportazione deve importare. I nostri maggiori paesi fornitori sono Spagna, Grecia e Tunisia e quindi tutto quello che si è detto a "Ballarò" sono chiacchere e disinformazione a fini politici.

Mimmo  Ciccarese
Mimmo Ciccarese
29 marzo 2016 ore 09:58

Sr Caballero gracias por su oportuna acerca. Creo que sus intenciones son para ser evaluados por cada sector, independientemente de los pueblos o variedad . Estamos en un momento importante e histórico para el consumo de aceite de oliva en el mundo, sólo con la unión y la racionalidad puede esperar cosas buenas. Sinceramente

Juan M. Caballero
Juan M. Caballero
27 marzo 2016 ore 18:54

Sr. Ciccarese, le felicito por su aproximación al estudio de la olivicultura mediterránea, aunque solo menciona las de Italia, España y Túnez. Pero una lectura algo más detallada de las estadísticas muestra que las producciones medias de esos países desde 2010/11 hasta 2014/15 fueron, respectivamente, de 387.000, 1.248.000 y 174.000 toneladas de aceite de oliva. Parece obvio que debamos considerar la olivicultura como mundial, para tratar de mantener e incluso aumentar el consumo en los países en los que aún es importante (España e Italia, entre 500.000 y 600.000 toneladas), pero también en los nuevos consumidores, que ya son los principales importadores.

Mimmo  Ciccarese
Mimmo Ciccarese
27 marzo 2016 ore 12:34

Signor Conti i dati riportati sono quelli come descritto nell'articolo riportato da varie fonti! Integri, rettifichi e suggerisca lei se ne dispone di altri. L'articolo è una semplice ricerca e non vuole entrare in polemica con la politica italiana.

Emilio Conti
Emilio Conti
26 marzo 2016 ore 21:13

L'olio tunisino una polemica politica italiana, nulla a vedere con il mercato dell'olio da olive. Un articolo intriso di dati discordanti, inesatti che forniscono una visione astratta dei fatti.

Mimmo  Ciccarese
Mimmo Ciccarese
26 marzo 2016 ore 18:39

La ringrazio Sig. Antonucci, Lieto che abbia apprezzato.

Marco Antonucci
Marco Antonucci
26 marzo 2016 ore 08:10

Un'annotazione chiara, semplice, lucida, che mi ha fatto molto piacere leggere. Grazie per il suo contributo.