L'arca olearia 29/05/2015

Varietà italiane per oliveti superintensivi. Una speranza tra qualche anno

Varietà italiane per oliveti superintensivi. Una speranza tra qualche anno

In arrivo nuove varietà brevettate, frutto di incrocio di genotipi italiani e stranieri. La ricerca italiana sul superintensivo prosegue su varie linee d'azione. Dalla ricerca di forme di allevamento adatte anche per piante di media vigoria fino la valutazione del ricchissimo panorama varietale italiano adatto all'alta densità


L’applicazione sostenibile in olivicoltura del sistema colturale superintensivo dipende essenzialmente dalla disponibilità di varietà di olivo in possesso di specifiche caratteristiche vegeto-produttive, ancor di più di quanto richieda il sistema intensivo con la raccolta meccanica effettuata con lo scuotitore di tronco. Il sistema superintensivo è basato sull’allevamento degli alberi ad asse centrale ed elevata densità di piantagione (1.600-2.000 alberi/ha), atti a formare una parete produttiva continua. Essa è l’unica che permette l’integrale meccanizzazione di tutte le operazioni colturali, messa a dimora, potatura e raccolta incluse. Essa è l’unica a consenitre la produzione di olio extra vergine di oliva a bassi costi di produzione.

L’Universita di Bari è stata pioniera in Italia nella ricerca e nella sperimentazione agronomica sull’alta densità in olivicoltura: in Puglia nel 2001 fu allestito il primo campo sperimentale messo a dimora a Cerignola, in provincia di Foggia, a cui è seguito nel 2002 quello di Cassano Murge in provincia di Bari. Nell’estate 2006 fu allestito nell’Azienda didattico-sperimentale “P. Martucci” dell’Università di Bari Aldo Moro, in agro di Valenzano (BA), un terzo oliveto sperimentale nel quale sono state messe a confronto quindici varietà: due spagnole (Arbequina e Arbosana), una greca (Koroneiki), dodici italiane, sia tradizionali (Carolea, Cima di Bitonto, Coratina, Frantoio, Leccino, Maurino, Nociara e Peranzana) che di nuova costituzione (Don Carlo®, Fs-17®, I/77® ed Urano®), tutte moltiplicate per talea semi-legnosa. Gli studi decennali sull’interazione pianta-macchina, nel caso di questo nuovo sistema colturale, hanno portato alla messa a punto, attraverso modifiche ad hoc, di vendemmiatrici a scuotimento orizzontale adatte alla raccolta dell’olivo, alla individuazione di 4-5 varietà idonee a tale tipologia di raccolta, alla identificazione delle epoche di raccolta ottimali, alla definizione di tecniche ecosostenibili di gestione del suolo. La ricerca a livello nazionale si coagulò nel 2009 in un Progetto nazionale (PRIN), terminato nel 2012, nel quale furono coinvolte le Universita di Bari, Palermo, Perugia, Napoli, Reggio Calabria ed il CNR di Palermo per studiare le interazione varietà-ambiente di coltivazione dell’olivo ad alta densità. A questi si sono più recentemente aggiunte l’Università Politecnica delle Marche ed il CNR di Perugia. Le linee di ricerca hanno riguardato essenzialmente l’adattabilità delle diverse cultivar al sistema superintensivo, in particolare alla raccolta in continuo ed alla potatura meccanica, e lo studio della risposta ecofisiologica ed architetturale. La valutazione della qualità degli oli extra vergini estratti da oliveti superintensivi ha evidenziato un significativo effetto geografico, come ci si aspettava, ed un inatteso giudizio positivo sulle caratteristiche chimiche ed organolettiche. Il risultato più importante è stato quello di dimostrare scientificamente quanto la normativa comunitaria e nazionale sulla etichettatura degli oli di oliva già prevedeva: sono, cioè, oli Made in Italy quelli estratti in Italia da olive raccolte in Italia, indipendentemente dalla varietà impiegata. Gli oli di Koroneiki prodotti in Sicilia o di Arbequina prodotti in Toscana sono oli italiani, non greci o spagnoli, ma che farebbero concorrenza a questi ultimi!

Quali varietà italiane?

Tra le recenti varietà licenziate del miglioramento genetico italiano, Urano® presenta ottime prestazioni vegetative, migliori in alcuni casi delle varietà spagnole, ma mostra erraticità di produzione, non legata a difetto di impollinatori, probabilmente dovuta a particolari esigenze microclimatiche o nutrizionali che meritano di essere approfondite.

Fs-17® presenta lievi limitazioni che ne fanno una candidata.

Tra le varietà tradizionali testate in Puglia, Nociara e Peranzana risultano ad oggi le uniche promettenti per adattabilità al nuovo sistema colturale, sia da un punto di vista delle prestazioni vegetative che produttive. Ve ne sono alcune in Sicilia, testate dall’Università di Palermo. Tutte le altre italiane purtroppo presentano forti limitazioni legate essenzialmente alla medio-alta vigoria, che determina sia maggiori danni alla vegetazione, anche in impianti giovani, ma soprattuto inaccettabile ritardo nella entrata in produzione e bassi livelli produttivi.

Dobbiamo attendere almeno altri cinque anni di sperimentazione per ‘promuovere’ le canidate nostrane. Nel frattempo sono in arrivo nuove varietà brevettate, frutto di incrocio di genotipi italiani e stranieri.

Quale ricerca italiana?

L’80% della olivicoltura italiana è di tipo tradizionale, caratterizzata da una bassa densità d’impianto, inferiori a 200 alberi per ettaro, da sesti spesso irregolari, da alberi di notevole dimensione dei tronchi e delle chiome con frequente presenza di esemplari secolari e monumentali, spesso in consociazione con altre colture e in assenza di irrigazione, che nell’insieme determinano una accentuata alternanza di produzione, alta produttività per singolo albero, ma scarsa per unità di superficie. Inoltre la dislocazione in suoli prevalentemente collinari molto spesso impedisce l’impiego di una razionale meccanizzazione con il conseguente elevato costo di produzione. La ricerca italiana ha come obiettivo l’abbandono di questa olivicoltura? No, anzi sta infittendo gli sforzi perchè si salvi e viva! La questione è definire soluzioni tecniche e strategie commerciali che contribuiscano a far rientrare dalla marginalità economica tutta l’olivicoltura italiana, anche quella intensiva, nata a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Infatti, parimenti a quanto avvenuto per le altre specie arboree da frutto per esigenze di competitività ed innovazione, si è assistito alla espansione dei sistemi intensivi o specializzati e che oggi rappresentano circa il 20% della superficie totale investita ad olivo. I limiti dei sistemi intensivi riguardano essenzialmente la potatura, che deve essere eseguita ancora manualmente, e la raccolta meccanica, che si attua ad albero singolo.

La ricerca italiana sta proseguendo in modo celere, con l’obiettivo di valutare l’adattabilità del maggior numero possibile di varietà italiane alla raccolta meccanica con scavallatrice. L’Università di Bari sta allestendo un quarto campo sperimentale di tre ettari con l’obiettivo di studiare nuove forme di allevamento dell’olivo ad alta densità, di mettere a punto criteri di potatura specifici, di valutare sia nuovi genotipi derivanti da miglioramento genetico che altre cultivar tradizionali italiane, di a mettere a punto la gestione del suolo e dell'acqua in impianti ad alta densità.

Il futuro della ricerca riguarderà, quindi, innanzitutto la valutazione del ricchissimo panorama varietale italiano, soprattutto quello considerato minore, stimato in centinaia di accessioni. Altro obiettivo sarà quello di studiare altre forme di allevamento in parete che permettano la raccolta in continuo anche di varietà italiane di media vigoria, con alberi di maggiori dimensioni rispetto all’attuale modella di alta densità. Inoltre, la messa a punto della gestione della chioma e dell’irrigazione, rappresentano il terzo binario che la ricerca italiana sta percorrendo. Infine e non ultimi, la valutazione della sostenibilità ambientale ed il miglioramento dei parametri di qualità degli oli, attraverso la definizione di specifiche tecniche colturali ed estrattive.

di Salvatore Camposeo

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Commenti 2

Filippo Camerini
Filippo Camerini
22 dicembre 2016 ore 23:35

Carolea, Leccino, Frantoio addirittura! Ma davvero qualcuno ha pensato che potessero essere impiegate in impianti superintensivi? Ma le hanno mai guardate bene? Non hanno visto come reagiscono vegetativamente dopo una riforma o anche solo una potatura un po' più decisa. E a nessuno è venuto in mente di provare la docile Biancolilla. Poi definire Urano e Fs-17 "recenti varietà" (ormai il brevetto sta per scadere), fa sorridere. Mi pare che a ripartire sempre da zero, la nostra ricerca non possa andare molto lontano. Forse risultati un po' scontati.

angelo minguzzi
angelo minguzzi
31 maggio 2015 ore 17:21

Cosa intendete per varietà brevettate?
Angelo Minguzzi