L'arca olearia 25/02/2015

Per tenere in vita gli oliveti l'unica strada è l'inerbimento

Dieci anni di sperimentazioni hanno portato a valutare i diversi sistemi agronomici del suolo. L'inerbimento non diminuisce significativamente l’efficienza produttiva e non altera le caratteristiche qualitative dell’olio a fronte di significativi benefeici contro erosione e mantenimento della sostanza organica


La degradazione ambientale impone anche all’agricoltura di rivedere le pratiche gestionali in un’ottica sostenibile ed è altrettanto evidente che, alla luce anche dei cambiamenti climatici in atto, l’erosione, la perdita di struttura e di sostanza organica del suolo rappresentano il maggior ostacolo alla sostenibilità di ogni forma di agricoltura non solo in ambiente collinare e montano ma anche in pianura. In questa ottica, l’olivicoltura, vista la sua diffusione e importanza sul territorio nazionale, ha catalizzato l’attenzione di alcuni progetti di ricerca incentrati proprio sulla gestione del suolo; fra questi l’allora Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose (oggi dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali) dell’Università di Pisa, nel 2004 ha sviluppato una ricerca nell’Azienda Sperimentale di Venturina (LI) tendente a valutare proprio l’adozione di pratiche sostenibili di gestione del suolo, quali l’inerbimento in confronto con le lavorazioni convenzionali.

In sintesi, è stato evidenziato che l’adozione dell’inerbimento, in alternativa alle pratiche di gestione del suolo tradizionali, lavorazioni ridotte incluse, rappresenta una strategia per contrastare efficacemente la degradazione del suolo in quanto ne migliora notevolmente le qualità strutturali, aumentando la dotazione organica e riducendo drasticamente la formazione di croste superficiali, aumentando così l’infiltrazione dell’acqua e, di conseguenza, attenuando i rischi di erosione del suolo. Per quanto riguarda gli aspetti vegeto-produttivi, oltre ad avere effetti positivi per l’ambiente, l’adozione dell’inerbimento permanente comporta una diminuzione della crescita, con particolare attenzione nei primi anni di impianto dell’oliveto, che si ripercuote sulla produttività durante la fase di entrata in produzione, ma non diminuisce significativamente l’efficienza produttiva e non altera le caratteristiche qualitative dell’olio.

Questa sperimentazione ha consentito, fra l’altro, di utilizzare tecniche innovative per la caratterizzazione dei microrganismi del suolo. In particolare hanno permesso di verificare lo stato micorrizzico delle piante di olivo coltivate sia su terreno inerbito sia lavorato convenzionalmente e di caratterizzare le comunità di simbionti presenti nelle radici di olivo con metodi molecolari.

Un’altra innovazione riguarda il rilevamento prossimale tramite sensori geoelettrici e radiometrici che consentono una caratterizzazione di estremo dettaglio della variabilità pedologica come, ad esempio, la tessitura del suolo, la salinità, la composizione mineralogica, la capacità idrica, ecc.

Tuttavia, nonostante la riduzione di impatto ambientale, la pratica dell’inerbimento, in molte aree olivicole, stenta ancora a decollare. E’ auspicabile, quindi, che i risultati discussi in questa giornata di studio possano contribuire a incentivare l’adozione di tale pratica colturale.

Fonte: Accademia dei Georgofili - georgofili.info

di Marcello Pagliai