L'arca olearia 28/02/2014

Dietro le quinte del Sol d'Oro per comprendere le ragioni dell'agguerrita concorrenza degli oli d'oliva spagnoli

Un osservatorio privilegiato per comprendere le caratteristiche dell'annata olearia. E' il primo concorso dell'anno e fornisce indicazioni utili su trend e qualità. L'Italia delude un po' mentre la Spagna marcia senza sosta sulla strada dell'eccellenza. C'è da preoccuparsi?


Si è conclusa a Verona sabato scorso la XII edizione del concorso internazionale Sol d’Oro che ha visto quest’anno la partecipazione di 250 oli provenienti da dieci Paesi olivicoli del mondo. Il concorso, che è ritenuto uno dei migliori concorsi al mondo, ha un notaio come garante dell’anonimato dei campioni ed è l’unico che prevede una serie di eliminazioni dove gli oli vincitori vengono assaggiati ben cinque volte prima di essere proclamati.

Non sarò qui a soffermarmi sulla bontà degli oli premiati quanto ai due aspetti che si possono evincere guardando i dati e soprattutto assaggiando una così variabile moltitudine di oli.

Il primo aspetto è una considerazione sulla campagna oleicola appena trascorsa che ha portato in Italia ad avere una buona qualità in generale degli oli senza comunque eccellere come negli anni passati.

In quasi tutte le regioni italiane le avverse condizioni climatiche durante l’estate, ed in alcune zone anche durante la raccolta, hanno condizionato non poco l’esito finale della qualità degli oli, nonostante l’elevato livello professionale dei nostri produttori di olive nonché dei frantoiani. Se si aggiunge che in alcune zone ha fatto ben capolino la temibile mosca dell’olivo, dobbiamo essere ben lieti della qualità in generale anche se a livello sensoriale i bei “pomodori” o “mandorle” o “carciofi”, ai quali ci avevano abituato oli di determinate zone, quest’anno hanno un po’ deluso.

L’altro aspetto, del quale tra parentesi se ne parlava a Verona con i vari giurati (spagnoli compresi) a fine concorso, è il buon numero di aziende spagnole premiate sia sul podio che tra le Gran Menzioni.

C’è da premettere che è anche elevato il numero di partecipanti che dalla Spagna inviano i loro oli al concorso per cui, anche aiutati dalla matematica, è inevitabile che vi siano tanti vincitori ma questo non deve essere visto come un fattore negativo ma piuttosto come stimolo per le aziende degli altri Paesi (Italia in testa) a volersi confrontare sempre più.

Quello che sta accadendo in Spagna sempre più negli ultimi anni e che da decenni accade in Italia è che aziende di più o meno piccole dimensioni stanno intraprendendo la strada della produzione di oli di qualità partendo dalla produzione di olive per passare poi alle fasi di trasformazione fino al packaging ed alla commercializzazione. L’attenzione alle varie fasi produttive fa sì che inevitabilmente il livello qualitativo si innalzi spingendo le aziende ad essere sempre più presenti sul mercato affiancando alcune grosse cooperative che comunque han sempre prodotto oli anche di elevatissima qualità.

Già da anni sappiamo che la varietà Picual dà olive che se lavorate “come si deve” danno oli meravigliosi e, se affianchiamo a ciò le olive di altre varietà come ad esempio l’Hojiblanca o la Picudo, comprendiamo benissimo come si elevi il livello qualitativo degli oli prodotti in Spagna.
In definitiva un Sol d’Oro che evidenzia la migliore produzione oleicola per farla conoscere agli operatori ed ai consumatori ma soprattutto uno stimolo alle aziende produttrici volto alla più leale concorrenza nell’ottica del continuo miglioramento qualitativo degli oli da olive.

di Marino Giorgetti

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Commenti 9

Sergio Enrietta
Sergio Enrietta
24 giugno 2014 ore 11:13

Mi sono appena iscritto, dopo aver letto alcuni articoli circa le problematiche dell'olio dalla parte del produttore che cerca la qualità, mi permetto anch'io di portare alcune testimonianze:
Prima, come consumatore ed amante dell'olio di oliva, (il termine olio di oliva depurato da ogni aggettivo non è casuale) ho avuto sempre la sensazione di un mondo in cui si va a tentoni e che la differenziazione dei gusti, con la ricerca specifica di "quel gusto" non la trovavo quasi mai.
Quando poi lo trovavi, spesso lo perdevi, tra dotte citazioni di erbaceo, pomodoro verde, ecc, ecc.
Ora da "produttore olivicolo sperimentale alpino", ho circa 600 olivi di oltre 50 varietà diverse, con il frantoino personale, scopro che c'è il gusto del: Leccino, della Coratina, della Carolea, ecc.
Scopro che da un Leccino se molisco a tre epoche diverse di invaiatura/maturazione, ottengo tre diversi oli e così dicasi per le altre varietà.
Ancora non ho citato le miscele e le diverse zone di produzione che l'Italia può fornire, che potrebbero ancora espandere la diversità dei gusti.
Ora se si vuole stare sull'eccellenza direi che il metodo attuale dei panel test con relative voci "assurde" per il consumatore, si presta per tutto miscelare e dare spazi di manovra alle grandi quantità, cosa che potrebbe anche andare bene per il medio di gamma, ma non può certamente essere sufficiente per l'intenditore che, per il detto piatto, vuole un certo gusto, che magari si chiama: "Brisighella ad invaiatura completa".
Questo secondo me è il parlare chiaro, che il cliente comprende, e che l'anno successivo magari in altra zona può richiedere ed avere, altro che: medio fruttato, o fruttato intenso, ecc..
Come per il vino che sta prosperando con migliaia di gusti diversi che passano inevitabilmente per le varietà, anche nel mondo dell'olio di eccellenza, se si vuole fare un grande servizio agli olivicoltori seri e ai clienti esigenti, secondo me solo questa è la via.
Controlli, burocrati, assaggiatori, ecc, sarebbero sostituiti dai palati esigenti e severi dei consumatori che pretenderebbero di avere per quanto profumatamente pagato.
Saluti montani
Sergio Enrietta

Marco Cartolina
Marco Cartolina
06 marzo 2014 ore 16:06

Condivido l'amarezza e non lo scetticismo. Il mondo cambia rapidamente ed anche il mondo dell'olio di oliva sta' cambiando. Continuiamo a seminare il cambiamento. Lei che è' molto influente, convinca il Ministero ad iniziare una campagna di educazione al gusto del consumatore simile al settore del vino. Con la velocità attuale della circolazione delle idee, la situazione potrebbe cambiare anche rapidamente.
Grazie per l'ospitalità.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
06 marzo 2014 ore 09:09

Eccoci qua.
Le rispondo con una domanda volutamente provocatoria. Quanti studi, esattamente di segno opposto (come quelli che li hanno portati a definire il sentore di pipì di gatto come varietale) potrebbe mettere in campo la Spagna a fronte dell'eventuale nostra ricerca? Davvero pensiamo che resterebbero con le mani in mano?
La creazione di una nuova categoria commerciale, un super extra vergine, è certamente possibile ma, se tutto va bene, occorreranno anni perchè possa essere realmente realizzata. Questo perchè saranno necessari studi e discussioni infinite in sede Coi con alcuni paesi che, nuovamente, cercheranno di opporsi. Perchè? Semplicemente perchè non gli conviene. L'extra vergine standard rischierebbe di far la fine dell'olio vergine (chi l'ha visto?) e l'immagine di alcune nazioni risulterebbe compromessa non riuscendo a produrre su più elevati standard qualitativi. Prevedendo tale difficoltà, l'Italia aveva intrapreso un percorso, quello dell'Alta Qualità, stoppato però da veti incrociati e chissà se verrà mai più ripreso in considerazione. Sono scettico e amareggiato.
Per quanto riguarda la cultura dell'olio è certamente la strada maestra ma il consumatore deve essere messo in condizione di poter scegliere anche con gli occhi (etichetta) e non solo con l'olfatto e il gusto. Oggi l'etichetta dell'olio è un guazzabuglio confuso che premia la standardizzazione, non certo la differenziazione. Un percorso avviato per cercare di disinnescare il marketing selvaggio che si stava scatenando sul prodotto, con messaggi fantasiosi ma privi di qualunque base e contatto con la realtà. In fondo, a mio avviso, il consumatore, di fronte alla bottiglia, deve essere messo in condizione di ricevere le risposte alle seguenti domande: Chi? Cosa? Come? Quando? Dove? Perchè? A quel punto potrà effettuare una scelta consapevole.

Redazione Teatro Naturale
Redazione Teatro Naturale
06 marzo 2014 ore 08:22

Egr. Sig. Marco,
E' vero che la picual e la varietà principalmente coltivata nella zona di Jaen, e' vero che queste olive se "lavorate bene" danno oli meravigliosi, ed è altrettanto vero che da quelle zone si producono fiumi d'olio con la nota caratteristica, così come Lei sottolinea, "provenienza spagnola". Per quanto sopra comprenderà che la Picual, come varietà, c'entra poco per questi fiumi d'olio quanto piuttosto metodologie di coltivazione, raccolta e trasformazione che organoletticamente creano non pochi problemi. E' un annoso problema che si combatte tra noi Capi Panel (italiani e non solo) e colleghi spagnoli, ma che personalmente penso non abbia soluzioni perché si investono problematiche legali e si toccano interessi economici ben sopra le nostre teste!!!
Cordialità.... Marino Giorgetti

Marco Cartolina
Marco Cartolina
04 marzo 2014 ore 21:01

Completo la frase finale che per un errore di digitazione era rimasta tronca.
2) Però la cosa più importante per il futuro è' convincere il Ministero dell'Agricoltura a mettere in campo un progetto a breve e a lungo termine di "educazione al gusto" dei consumatori. Solo dalla diffusione della cultura del gusto di tutti gli oli extravergini di qualità ci potrà essere una segmentazione del mercato con vantaggi economici per tutti gli attori della filiera. L'ideale sarebbe quello di "copiare" e cercare di riprodurre il mondo della cultura del vino dove i consumatori "consapevoli" acquistano vini economici per l'uso in cucina e vini più cari per i diversi abbinamenti di piatti. Anche gli chef dei numerosissimi programmi TV sulla cucina dovrebbero fare la loro parte di divulgatori della cultura degli oli extravergini e dovrebbero spingere i consumatori a cimentarsi con i diversi abbinamenti di piatti e le diversissime varietà di oli extravergini.

Marco Cartolina
Marco Cartolina
04 marzo 2014 ore 19:27

Egregio dott. Grimelli, la ringrazio per il commento molto articolato ed aggiungo che lo condivido perfettamente. Consenta anche a me di articolare meglio il mio pensiero : 1) costa poche migliaia di euro finanziare una breve ricerca per confermare "scientificamente" che la sensazione organolettica "foglia bagnata di eucalipto" non è una caratteristica varietale (Picual) e territoriale (Jaen) bensì un DIFETTO di lavorazione. 2) naturalmente ci saranno, come dice lei, tutte le resistenze del COI per non modificare la norma, però a mio avviso, la pubblicazione su internet di questa ricerca scientifica provocherebbe reazioni non prevedibili da parte delle Autorità statunitensi, tedesche e poi a seguire degli altri Paesi importatori. 3) questa pubblicazione scientifica metterebbe in imbarazzo "tecnico" i Panel Test ufficiali italiani e anche dei Paesi importatori.
Per quanto riguarda la valorizzazione dei nostri eccellenti oli extravergini : 1) forse è arrivato il momento di creare una nuova categoria commerciale di "olio extravergine di qualità" con caratteristiche chimiche ed organolettiche molto più restrittive rispetto all'attuale categoria di extra. Proprio per valorizzare i nostri extravergini bisogna essere più chiari con i consumatori. Nella nuova categoria di extra bisognerà valorizzare in etichetta la ricca presenza di antiossidanti, etc. Non possiamo restare legati all'attuale "Made in Italy" che è quasi una presa in giro nei confronti dei consumatori in quanto, oltre a garantire la provenienza italiana, non garantisce nessuna qualità superiore (acidità, perossidi, spettro, etilesteri, polifenoli, caratteristiche organolettiche, etc.) rispetto alla categoria extra non italiano. Per non parlare del fatto che il consumatore può trovare in bottiglia un olio del Salento da olive mature raccolte da terra oppure di Reggio Calabria o di Andria. Meno male che ci sono le DOP. Non so che fine ha fatto il progetto qualità del Ministero Agricoltura.
2) però la cosa più importante per il futuro e' convincere il Ministero Agricoltura a mettere in campo un progetto a breve e a lungo termine di "educazione al gusto" dei consumatori. per

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
03 marzo 2014 ore 19:00

In attesa che si esprima anche Marino Giorgetti sul tema eccole le mie impressioni e valutazioni.
La Picual, lavorata verde e secondo tutte le buone pratiche agronomiche e di frantoio, dà oli di grande pregio. Anch'io ho degustato extra vergini con sentori di cardo, verdi ed erbacei, persino con punte di pomodoro/peperone, provenienti dalla tanto vituperata Andalusia e proprio dalla Picual.
La Picual è anche una varietà estremamente delicata, specie se matura. Le olive tendono a fermentare in poco tempo e il problema si accentua nei grandi frantoi cooperativi spagnoli (chi ha visto le loro gramole sa di cosa parlo). La Picual, nella maggior parte dei casi, viene raccolta matura per ragioni agronomiche (bassa resistenza al distacco) e per ottenere rese più alte (20-22% a fine novembre-dicembre).
Se questa è la situazione, occorre dunque chiarire perchè quel sentore di acido fenico (pipì di gatto) vine passato come sentore di eucalipto, anzi foglia bagnata di eucalipto come mi corresse proprio Marino Giorgetti qualche tempo fa.
La teoria dei ricercatori spagnoli è che, naturalmente (cioè per caratteristiche varietali), la Picual abbia simili sentori se raccolta matura. Visto che nessuna legge impone la raccolta di olive verdi, la caratteristica di pipì di gatto venne istituzionalizzata e ce la troviamo, da anni, sulle tavole nazionali e internazionali.
E' un po' come se in Italia avessimo istituzionalizzato l'ossidato/rancidino di certi oli liguri o il riscaldo di certi oli pugliesi e calabresi. Bastava dar nomi di fantasia a questi sentori e definirli varietali.
Per fortuna, in Italia, abbiamo scelto un alto percorso che non è quello della quantità a basso costo ma ci siamo orientati sulla qualità.
Oggi l'intero sistema produttivo spagnolo è vocato alla quantità, con percentuali risibili di oli di eccellenza che però fanno immagine. Una vecchia tattica di marketing e promozione: ti faccio assaggiare l'olio spagnolo buono e poi ti invado il mercato con quello standard a basso prezzo. Contrastare questa politica cercando di far loro le pulci sul piano scientifico, con ricerche ad hoc, ci costerebbe molto e con il serio rischio di non cavarci un ragno dal buco. La discussione dovrebbe essere infatti portata in sede Coi, dove molti altri Paesi (Marocco, Tunisia...) hanno deciso di seguire le orme spagnole e facendo concorrenza proprio alla Spagna olearia. A questi Stati, rendiamocene conto, che le maglie dell'extra vergine (caratteristiche organolettiche comprese) siano larghe fa molto comodo. Il risultato è che in sede Coi ci ritroveremmo minoranza. Non è disfattismo, ma semplice real politik.
Anzichè guardare alla Spagna, occorre guardare un po' più in casa nostra. Trovare strade e formule diverse di valorizzazione dei nostri eccellenti extra vergini. La nostra ricchezza sta nelle migliaia di piccole e medie aziende che salvaguardano centinaia di cultivar e migliaia di diversi terroir olivicoli. Salvaguardando loro, tuteliamo anche il nostro olio. Solo loro a dover “nominare” il loro olio in maniera diversa: artigianale? agricolo? Poco importa la definizione. Scegliamone una e poi spieghiamo perchè quest'olio è differente. Gli argomenti non mancano di certo.

Marco Cartolina
Marco Cartolina
03 marzo 2014 ore 18:10

Strano silenzio da parte delle organizzazioni dei produttori olivicoli. Come si fa a non vedere questa opportunità' di dimostrare che la stragrande maggioranza dell'olio extravergine che arriva in Italia dalla Spagna e' difettato?
Dottor Grimelli, qual'è' il suo parere?

Marco Cartolina
Marco Cartolina
01 marzo 2014 ore 07:44

Ma la picual non è' la varietà della zona di Jaen? Allora se queste olive "lavorate bene" producono un olio che addirittura viene premiato al Sol d'Oro, come mai da quelle zone di produzione, con quella varietà di olive arrivano fiumi di olio con la nota caratteristica "provenienza spagnola" ovvero di acido fenico, etc. ? Mi chiedo se quelle note olfattive ed organolettiche sono una "caratteristica" del territorio (Jaen) e della varietà' (Picual) oppure, come ci suggerisce il sig. Giorgetti, si tratta semplicemente di un "difetto" di lavorazione? Se le cose stanno così, perché nei Panel Test ufficiali quelle caratteristiche organolettiche non vengono classificate come un "difetto" ?