L'arca olearia 25/02/2012

Più spazio all’olio vergine per salvare l’extra vergine

Più spazio all’olio vergine per salvare l’extra vergine

Il settore dell’olio di oliva ha bisogno di essere ripensato secondo una nuova logica. Il vergine potrebbe diventare l’equivalente del vino da tavola, mentre l’extra vergine lo si potrebbe innalzare al pari dei migliori vini. L’alternativa dell’alta qualità non è detto che possa essere facilmente interpretata dai consumatori. Intanto sarebbe da sdoganare anche l’olio di oliva e l’olio di sansa


Desidero fare un ragionamento logico, e spero chiaro e di buon senso. Scrivo non a caso di “buon senso”, appunto, giacchè si tratta di una parola-ingrediente che dovrebbe essere un po’ come il prezzemolo, buono da mettere in ogni minestra. Cercherò allora di spiegarvi perché è mio convincimento fare in modo di valorizzare tutto ciò che deriva dalla lavorazione delle olive, e non solo.

Un chiarimento. Partiamo dalla doverosa premessa che In Italia non sappiamo con precisione quanto e quale tipologia d’olio si produca, intendendo con ciò per l’esattezza quanto olio extra vergine di oliva, quanto olio di oliva vergine, quanto olio lampante e quanto olio di sansa. Disporre di tali dati con una certa precisione è indispensabile per poter elaborare le necessarie strategie per la crescita del comparto.

Qualcuno, nel cercare una qualche scusante, obbietterà che dipende dall’estrema frammentazione dell’offerta produttiva italiana se confrontata, ad esempio con quella spagnola.

La mia opinione, invece, è che ci sia una scarsa volontà, da parte di tutti gli attori della filiera, di conoscere le reali quantità prodotte territorialmente, probabilmente per una sorta di retaggio del passato, o per nascondere l’impiego di olive provenienti da altri territori italiani.

Non solo extra vergine. Da molto tempo ormai, ma specialmente negli ultimi anni, ci si concentra solo ed esclusivamente sulla catergoria merceologica “olio extra vrgine di oliva” . Da quando si è scoperto il metodo per rilevare la presenza del famoso olio deodorato, quello che si basa sul parametro degli alchil esteri, mi accorgo che c’è una gara al ribasso dei valori che tale metodo è in grado di rilevare.

Partendo dai 75 attuali, c’è chi è sceso concretamente già a 40, chi poi li vorrebbe portare a 30, e c’è, infine, chi propone un valore di 20 per poi scendere a 10. E’ dimostrato che alcune produzioni abbiano valori prossimi a 3, ma in ogni caso nessuno ha ancora potuto pubblicare dati precisi su tutte le produzioni, italiane ed estere, e, soprattutto, intorno alla loro evoluzione nel tempo fino al TMC, il termine minimo di conservazione.

Tutti esperti, nessun esperto. Quest’anno, dobbiamo riconoscerlo, ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori. Tutti sembrano diventati esperti, nessuno escluso, compresi alcuni immancabili politici. Ognuno ha cercato di partecipare alla gara al ribasso del parametro degli alchilesteri nel nome della qualità. Alla mia ignoranza in materia, visto che non sono certo un chimico, cerco tuttavia di sopperire avvalendomi della “consulenza” di diversi esperti della materia, oltre che della lettura dei risultati delle analisi specifiche.

C’è da rilevare che tale indispensabile metodo, pur aiutando tantissimo a scoprire oli extra vergini che proprio vergini non sono - e neanche extra, per intenderci - non ha ancora oggi una casistica statistica ampia di cui avvalersi, come dovrebbe essere. Prova ne sia che a Bruxelles recentemente, si è deciso, prima di abbassare ulteriormente questo valore, di aspettare almeno un annetto, per una sorta di sperimentazione. Occorre avere la ragionevole certezza che valori di partenza bassi non portino comunque a un incremento degli stessi, tale da dover comportare un superamento di un eventuale limite troppo restrittivo, che si ponesse a livello legislativo.

Onde evitare strumentalizzazioni, mi preme osservare che qui non si vuole “condannare” lo sforzo verso il raggiungimento della qualità, ma comprendere precisamente cosa succede al prodotto e in quali condizioni.

Se lo si abbassasse e poi ci si rendesse conto che tale valore fosse “punitivo” anche nei confronti degli oli giudicabili dagli esperti eccellenti, sarebbe molto complicato poi aumentarlo a livello comunitario e internazionale. Anticipo qui, perché ne parlerò comunque in seguito, che un livello di alchil esteri molto basso, penalizzerebbe comunque i produttori di oli vergini che, per quanto abbiano fatto tutto il possibile per migliorare la qualità, devono comunque fare i conti con cultivar e situazioni economiche o micro climatiche, che di fatto ne impediscono il miglioramento qualitativo, almeno dal punto di vista organolettico.

La verifica del livello del tenore degli alchil esteri sarebbe fatto non solo alla” partenza” del prodotto dal frantoio o dallo stabilimento produttivo, ma anche e soprattutto quando il prodotto è sullo scaffale del supermercato.

Sappiamo tutti che l’olio extra vergine di oliva è un prodotto estremamente delicato perché molto sensibile soprattutto alle fonti di calore e di luce. Sappiamo anche che non sempre la distribuzione del prodotto avviene in condizioni ideali, in alcuni casi per ignoranza, in altri casi per superficialità e una inconsapevole vocazione a banalizzare il prodotto, che è poi lo stesso atteggiamento che continua a esserci anche nelle case della maggior parte dei consumatori italiani, grandi consumatori ma scarsi conoscitori dell’olio.

Per non dimenticare poi lo stoccaggio all’interno dei magazzini della distribuzione, nonché la sua stessa movimentazione dal magazzino centrale ai vari punti vendita.

Spesso l’olio potrebbe rilevarsi non perfetto e quindi “meno salutistico” e meno buono dal punto di vista del gusto, per condizioni non direttamente controllabili da chi l’olio lo ha prodotto e/o confezionato.

Se poi la vendita è effettuata al di fuori dei confini nazionali, e in Paesi meno affidabili del nostro sul fronte distributivo, allora i rischi di consegnare al consumatore un prodotto non più conforme a quello uscito dall’azienda, è altamente probabile. Tutti possiamo darci dei disciplinari rigidi in partenza ma nessuno può garantirne il mantenimento anche in arrivo, sulle tavole dei consumatori. Credo che solo questo meriterebbe un’attenta riflessione, se desideriamo realmente che un prodotto arrivi integro e perfetto sotto tutti gli aspetti, al fruitore finale.

ll Termine Minimo di Conservazione. Rappresenta la data fino alla quale il prodotto si mantiene inalterato a patto che venga conservato nelle condizioni opportune.

Ecco perciò che al di là di quale sarà la conclusione del dibattito intorno al tenore di alchil esteri da stabilire dal punto di vista legislativo sul prodotto olio extra vergine di oliva, rimane il fatto che prima di fare una scelta del genere, per cercare di salvare e proteggere tutta l’olivicoltura italiana, occorrerà capire quanto olio extra vergine si produca in Italia, e considerare anche il fatto che non tutto sia di fatto eccellente.

L’assioma secondo cui tutto l’olio extra vergine di oliva italiano sia eccellente è sbagliato e fuorviante da un punto di vista prettamente strategico.

Infatti, soprattutto nelle aree più produttive del Paese (che coprono oltre il 60% della produzione nazionale, e cioè Puglia e Calabria) la qualità degli extra vergini non è sempre, e a prescindere, eccellente. Anche se fossero rispettati tutti i parametri analitico-chimici, probabilmente proprio il livello di alchil esteri o dei polifenoli, sarebbero rispettivamente più elevati e più bassi. E’ altamente probabile che sul fronte organolettico, molti potrebbero essere declassati a olio vergine, altri, inesorabilmente, considerando anche le difficoltà di raccolta, sarebbero forse classificabili oli lampanti.

In conclusione qualora il livello degli alchil esteri dovesse essere portato a un valore molto basso, relativamente alla produzione italiana, in attesa di conoscere i numeri effettivi, salveremmo solo una piccola quantità di olio extra vergine di oliva del più vasto mercato dell’olio di oliva, e quindi solo una nicchia di pochi produttori. Altri, con ogni probabilità, sarebbero costretti ad abbandonare l’olivicoltura.

Gli obiettivi. Non si può lasciare un settore abbandonato all’improvvisazione. Occorrono stretegie specifiche e mirate. I nostri obiettivi di conseguenza dovrebbero essere ben chiari.

1) Garantire al consumatore la possibilità di fare una scelta di prodotto in maniera consapevole

2) Garantire che emerga e si valorizzi la migliore produzione italiana, ossia l’eccellenza

3) Tenere conto delle peculiarità del sistema produttivo agricolo italiano e garantire la salvaguardia dei produttori attraverso lo sviluppo degli oli di oliva qualitativamente “inferiori”

4) In ogni caso, tenendo conto che le quantità italiane non possono coprire i nostri fabbisogni, considerare anche gli oli extra vergini di qualità europei, nel rispetto dei requisiti richiesti

L’aspetto positivo della questione sarebbe quello di “obbligare” i nostri cugini spagnoli a migliorare le loro produzioni maggiori, giacché diversamente ( e sempre che a Bruxelles prevalesse la linea italiana) il loro prodotto principale esportato, anche in Italia, sarebbe classificabile “vergine”. Questa situazione probabilmente farebbe il bene anche degli agricoltori spagnoli, i quali pur lavorando in condizioni di economicità, decisamente migliori delle nostre, al raggiungimento di un certo livello di prezzo minimo, comunque soffrirebbero. Tuttavia, poiché la nostra produzione complessiva, resterebbe di molto inferiore a quella spagnola, il nostro prodotto continuerebbe a soffrirne in termini di competitività.

Una via d’uscita. La via di uscita potrebbe essere quella di “reintrodurre” la categoria “olio vergine di oliva”, ad oggi letteralmente sparita come denominazione merceologica dagli scaffali dei supermercati. L’olio vergine di oliva diventerebbe di conseguenza l’equivalente del “vino da tavola”, mentre l’extra vergine, assumerebbe la giusta valenza di prodotto di più alto livello, al pari dei migliori vini. In alternativa, ed è questa la via più sentita, puntare su un extra vergine di Alta Qualità. Quest’ultimo concetto potrebbe essere di difficile interpretazione da parte del consumatore. Togliere la parola “Extra”, che è entrata ormai nel lessico comune, per declassare certi oli, potrebbe avere un migliore impatto.

Di fronte all’attuale situazione di mancanza di collaborazione da parte della grande distribuzione, che continua a fare leva sul suo potere finanziario e contrattuale, causando un’accesa e forte competizione tra i concorrenti del comparto, questo potrebbe costringere la stessa GDO a modificare la sua strategia di prodotto, spostando la competizione sul prezzo sugli oli vergini, piuttosto che sugli extra vergini.

A bocce ferme, il prodotto vergine continuerà ad essere utilizzato nel blend degli extravergini, per via del suo più basso costo, “peggiorando” tanto il valore nutrizionale del prodotto, espresso come quantità di polifenoli, quanto il suo gusto, continuando a creare confusione nel consumatore, e questo al di là dell’origine del prodotto.

Ci possono infatti essere oli organoletticamente non perfetti, dal basso prezzo, di assoluta origine italiana. Riguardo a quest’ultimo aspetto auspico che aziende italiane possano inserire volontariamente l’indicazione di origine, non già in carattere piccolo, nel rispetto della legge attuale, nella retro etichetta, bensì nell’etichetta frontale, bene in evidenza.

Una distinzione sugli scaffali. Le stesse catene potrebbero organizzare gli scaffali, con le due indicazioni, oli di origine dell’unione europea ed eventualmente extraeuropea, da un lato e oli di origine italiana dall’altra.

Anche questa sarebbe una bella misura di differenziazione di marketing, questa volta della struttura distributiva, con l’obiettivo dell’assoluta trasparenza nei confronti del consumatore, che è il fondamentale motore di sviluppo economico di ogni Paese.

Gli oli lampanti. Dopo aver parlato degli extra vergini e dei vergini, è utile pensare anche agli oli lampanti. Partiamo da un assunto di base che deve essere chiaro a tutti. L’intera gamma degli oli di oliva ha aspetti salutistici. Tutti gli oli di oliva (olio extra vergine, olio di oliva ed olio di sansa) hanno la particolarità di avere un alto contenuto di grassi monoinsaturi. Al contrario tutti gli oli di semi (con l’eccezione delle varietà spremute a freddo) hanno una prevalenza di grassi polinsaturi. E’ scientificamente dimostrato come la maggiore presenza di grassi monoinsaturi sia indice di migliore qualità.

Quanto lampante si produce in Italia? Ognuno ha le proprie idee di percentuale sul totale olio di pressione prodotto, ma nessuna certezza.

In ogni caso rimane il problema, anziché svalutare questo prodotto, perché non valorizzarlo? Ogni olio ha le sue funzionalità. L’olio di oliva ad esempio può essere utilizzato per la frittura di qualità ed essere promosso presso i ristoranti di alto livello, oltre che presso le famiglie. Ad esempio per i ristoratori sussiste l’obbligo per la sicurezza alimentare, di indicare se il pesce è fresco o congelato, ma non sussiste per l’uso del’olio. Sappiamo tutti quanto sia dannoso per la salute mangiare una frittura fatta con olio di seme o con altro grasso, quando riutilizzato più volte. Perché allora non promuovere la diffusione dell’olio di oliva nei ristoranti?

L’olio di sansa di oliva, usato spesso in Italia ma bistrattato, merita un discorso a parte. Intanto iniziamo col dire che l’olio di sansa, al pari degli altri oli di oliva, ha la prevalente presenza di grassi monoinsaturi oltre che un elevato punto di fumo. Qualche tempo fa è stato messo sotto processo perché su alcune partite era stato riscontrato un livello di idrocarburi policiclici aromatici più elevato rispetto alla norma. Successivamente sono stati fissati dei limiti di legge ben precisi e quindi “l’allarme” è ormai da diversi anni, assolutamente rientrato.

Giusto per un maggiore chiarimento spieghiamo che ogni giorno il nostro corpo assume, inconsapevolmente tracce di “idrocarburi policiclici aromatici” nelle seguenti “ghiotte” occasioni:

a) Quando mangiamo una buona fetta di carne alla brace

b) Quando mangiamo una buona pizza

c) Quando assaporiamo una buona verdura grigliata

d) Quando mangiamo tutto ciò che è affumicato: salmone, speck, ad esempio

Anche in altre situazioni il nostro corpo assorbe gli IPA, quando camminiamo o corriamo nel traffico cittadino, o anche quando, purtroppo, abbiamo il cattivo vizio di fumare.

E’ giunta l’ora di sdoganare l’olio di sansa di oliva, come diretto concorrente degli altri oli di semi che imperversano nelle cucine italiane e nei ristoranti. L’olio di sansa, come gli oli di semi, si ottiene con il medesimo processo di estrazione. Purtroppo l’unico gap è costituito dall’immaginario collettivo (derivante dagli enormi investimenti pubblicitari sostenuti) per cui ne deriva che un olio di semi sia “perfetto” per “leggerezza”, rispetto agli oli di oliva. Se ci pensiamo è lo stesso preconcetto per il quale un consumatore medio, pensa che il “pizzicore” di un buon olio sia indice di alta acidità.

Sappiamo tutti come questo “assunto” sia assolutamente sbagliato, oltre che corresponsabile del mancato sviluppo ulteriore di tutti gli oli di oliva.

Considerando le alte quote di mercato degli oli di semi, usati prevalentemente per la frittura, rubare soltanto una piccola fetta di questo mercato, costituirebbe un ottimo risultato, che migliorerebbe l’economia dei nostri produttori.

Riepilogando:

- Olio extra vergine di oliva, necessariamente di alta qualità per l’uso a crudo e per la cucina, avendo cura di pensare all’abbinamento con i diversi piatti, in virtù delle caratteristiche precipue di ciascun olio

- Olio vergine di oliva per l’uso quotidiano in cucina, per le famiglie

- Olio di oliva per la frittura di qualità

- Olio di sansa di oliva come concorrente diretto degli oli di semi, per la frittura

Discorso a parte meriterebbe lo sfruttamento di tutto ciò che c’è attorno all’oliva: acque di vegetazione, sansa, foglie, per ottenere antiossidanti da impiegare per uso alimentare o salutistico; ma questo argomento, per la sua importanza, meriterebbe un approfondimento particolare.

Per realizzare questo sogno sono necessarie alcune condizioni di base, l’unione d tutti (senza guerre tra Guelfi e Ghibellini) che danneggiano solo l’Italia e i produttori a vantaggio dei Paesi concorrenti, risorse finanziarie adeguate e infine risorse umane nuove e motivate.

 

di Massimo Occhinegro

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Commenti 15

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
29 febbraio 2012 ore 20:48

Io ho lavorato nel salento e in calabria negli anni novanta con una nota agenzia di controlli di Roma,e quella realta' l'ho conosciuta bene,anche a mie spese.Ho visto raccogliere olive in terra con aspiratori (mi auguro che sia finita questa follia nel Salento), ho visto i kilometri quadrati di reti stese fino a giugno nei boschi di olivi in Calabria e ho visto anche altre cose che un po' tutti conosciamo.Ho conosciuto tante brave persone,produttori e frantoiani ma pochi che volessero fare almeno in parte un olio almeno decente e lo potevano fare tranquillamente(speriamo che ultimamente le cose siano un po' migliorate,ma a sentire lei non credo).Perchè è vero che è difficile raccogliere da piante alte venti metri(quelle del Salento molto piu' facili),ma è anche vero che almeno una parte di quelle facili da raccogliere a mano poteva essere raccolta con costi normali,ma cio' avveniva solo in rari casi.Meglio stendere le reti e aspettare la caduta da mosca o da sovramaturazione di tutta l'oliva o aspirare direttamente da terra.
Non è assolutamente una questione di piu' o meno solidarietà, di egoismo o di essere campanilista,io adoro gli oli di coratina pugliese,di carolea calabrese, per non parlare delle meraviglie siciliane, campane,laziali e di tante altre meravigliose produzioni Italiane e straniere. Io sono solidale con chi fa di tutto per fare bene a prescindere dalle zone,se non si è capito per me l'olio extravergine(soprattutto monovarietale fatto a dovere) è come un credo,semplicemente gli oli a cui fa riferimento e ci aggiungo anche quelli col famoso sito, sono per me come la criptonite per superman(chiedo venia a superman,ma per far capire meglio ho usato questo impropio accostamento),quindi ne facessero quello che ritengono giusto fare,punto.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
29 febbraio 2012 ore 18:25

Sig. Breccolenti, è evidente che l'obiettivo è quello di continuare a migliorare la qualità e far diventare tutto l'olio eccellente. Tale obiettivo tuttavia si scontra con la realtà. Nel Salento o in Calabria c'è una forte produzione di olio lampante. In parte per la scarsa redditività derivante dagli elevati costi di raccolta, per altra parte per oggettiva impossibilità. La stessa cosa dicasi in altre regioni d'Italia, compresa la sua Umbria. Si è responsabili se non si butta a mare nessuno. Chi pensa solo ad un certo tipo di olio ha un comportamento assolutamente egoistico e poco solidale, non se lo dimentichi.La invito a fare un giro in altre campagne lontane dalla sua regione per verificarlo. L'olio vergine è sparito perchè contribuisce, come le ho scritto a fare la massa necessaria per produrre extra vergine a più basso costo. In altri casi la quantità è diminuita proprio per il migloramento qualitativo. Quindi per una strategia di comparto, occorre necessariamente conoscere le quantità e qualità effettivamente prodotte in Italia. Concordo con lei pienamente sul fatto che è necessario comunicare la qualità al consumatore. Se lei pensa che anche per una monodose da 10 ml le imprese usano l'olio spagnolo che noi giudichiamo non buono, si immagini. Perchè? per il costo? l'incidenza è veramente risibile tra un olio buono ed un olio meno buono su una quantità del genere. Lo si fa probabilmente perchè ancora oggi, purtroppo, il consumatore non apprezza il buon olio,(secondo i nostri canoni) e quindi lo riterrebbe addirittura "acido", come sa, per via del buon pizzicore. E' sufficiente che tutti gli attori della filiera, uniti, senza guerre inutili e stupide, mettano un tot proporzionale a testa per fare una serie di iniziative a favore della conoscenza e diffusione. Tuttavia, e qui sfugge il particolare, ci vuole anche la collaborazione del potere forte. Qual'è? La distribuzione commerciale. Il nemico numero uno sembra essere sempre " l'industria", capro espiatorio facile per i più, ma si dimentica il potere finanziario e contrattuale della distribuzione che causa la guerra dei prezzi sull'olio extra vergine di oliva che diventa una banale commodity. E' sufficiente che Lei si procuri i bilanci di una trentina di aziende di imbottigliamento, per vedere che a fronte di centinaia di milioni di euro di fatturato, realizzano utili netti bassissimi o perdite d'esercizio. Ecco perchè ho proposto di separare Extra Vergine dal Vergine concretamente. Tutti hanno bisogno di avere la giusta remunerazione, dagli agricoltori, ai trasformatori, dai confezionatori e per finire ai distributori (anch'essi sull'olio non marginalizzano causando un circolo visioso). Per farlo tra i tanti interventi da fare ci sarebbe anche quello di trasformare le oleoteche in enoteche-oleoteche, con corsi di assaggio dei negozianti, in tutta Italia con la collaborazione delle associazioni di categoria; In questo caso il target group non è più la donna di casa ma l'uomo di casa che ama mangiare bene e che per questo compra il vino buono. Dall'altra parte puntare sui giovani (come dice Lei) a partire da una education nelle scuole. In questo caso potremmo riuscire a creare un circolo virtuoso. Non si sa quanti alla fine apprezzeranno il buon olio, sicuramente molti di più di oggi, per il bene di tutti.

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
29 febbraio 2012 ore 17:28

Sig. Occhinegro,ben vengano gli oli Spagnoli che hanno alti polifenoli e che non profumino di pipi' di gatto,cioe' i veri oli di qualità,il mio è un amore incondizionato per tutto l'olio buono,fatto con criterio a prescindere dalla provenienza.Probabilmente un olio cosi' proveniente dalla Spagna avrebbe anche un prezzo leggermente piu' alto.L'obiettivo dell'Italia,almeno dove il tipo di olivicoltura lo permette,deve essere quello di limitare al massimo la produzione di oli difettati e al di fuori degli attuali parametri chimici dell’extravergine,con la maggior parte degli investimenti economici concentrati su due obiettivi basilari:il miglioramento dell’olio e la crescita del consumatore soprattutto di quelli giovani.Io non vorrei declassare niente, vorrei che il super calderone dell’extravergine venisse semplicemente diviso in due classi ben distinte,uno con parametri chimici piu’ ristretti e con pregi maggiori,l’altro che rimane piu’ o meno cosi’ e che la gente fosse informata della differenza tra le due classi di prodotti.Poi bonta' loro se scegliere un extravergine normale ma con un prezzo inferiore,o uno con carattestiche migliori ma piu' costoso. Sinceramente,di cosa fare del vergine,che peraltro non vedo piu'non lo so' ,io un olio,anche se leggermente difettato difettato non lo consiglio di certo.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
27 febbraio 2012 ore 19:13

E' paradossale a mio avviso che non si possa comprendere la domanda: Premesso che "qualifichiamo gli oli extra vergini di qualità (con i parametri nuovi, da decidere sempre da "mamma" Bruxelles" ad esempio acidità 0,40, perossidi 12, (alchil esteri, come ho scritto, per il momento li lascerei stare) , i polifenoli da decidere, considerando che mi risulta che buoni oli spagnoli ne hanno in abbondanza e quindi...., ripeto, tutto ciò premesso (il che si tradurrebbe in una "riqualificazione dell'attuale categoria, che semplicemente ne conserverebbe il nome) considerando che, non per mancanza di volontà, ma per problemi vari, molti oli non sarebbero più qualificabili extra vergini, ma vergini o lampanti, cosa ne faremmo di queste due categorie? Gli oli vergini attualmente sono usati per il mix degli extra per abbassarne i costi, ma poi non li si utilizzerebbero più per questo scopo ma, a mio parere, per essere venduti tel quel, allora se eliminiamo questa categoria, insieme al lampante cosa ne dovremmo fare? Risposta? In aggiunta, è' chiaro che occorra fare una grande comunicazione verso il consumatore da parte di tutti e la volontà credo che ci sia. Se poi un consumatore volesse usare l'extra vergine per friggere, ben venga, è una sua scelta, ci mancherebbe. E' di tutta evidenza che se gli oli extra vergini diventassero solo le DOP e gli oli di qualità, rispondenti ai sopra citati parametri restrittivi (ed anch'io baderei bene ai residui, chi li controlla sa.....spesso se ne trovano da cross contamination? o da non si sa come, mistero): a) per una "minore competizione", i prezzi sarebbero più alti e quindi tutta la filiera (agro-industria compresa) ne beneficerebbe; b) i produttori che oggi magari non raccolgono perché non conviene, potrebbero essere invogliati a produrre maggiore qualità. In ogni caso resterebbe una (larga?)parte da declassare, cosa ne faremmo, se non si accetta che diventino "vergine" o lampante"? E' chiaro?

Fabio Ciampi
Fabio Ciampi
27 febbraio 2012 ore 07:49

Spes ultima dea.
Buona fortuna.

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
26 febbraio 2012 ore 22:05

Io li priferisco piu' piccanti che amari sig. ciampi,ma sono gusti.Non piacciono alla gente?Quanto si investe per acculturare il consumatore,quanto si spende per fare chiarezza su questo meraviglioso prodotto?Direi pochissimo,si guarda tanto all'immagine ma la sostanza viene sempre trascurata.
Lei non crede al panel?Perche' gli assaggiatori non vengono bene allenati e quindi non competenti,o per le pressioni sui panel ad essere di larghe vedute o per quale altro motivo?Io ci credo molto nei panel e vorrei che l'addestramnto fosse costante,che i panel fossero piu' tutelati,che ci fosse piu' dialogo tra tutti i panel e che non ci fossero ingerenze da parte di nessuno.
Non so a che tipi di oli si riferisce quando mi dice che cosa ne dovremmo fare,l'unica schance per il nostro settore è migliorare sempre di piu'il prodotto olio e allo stesso tempo far crescere il consumatore.Oggi un buon olio (buono è un olio intorno al sette e mezzo,tanto per parlare con la nostra terminologia)costa intorno ai sette otto euro al litro.Un olio di annata,decente della grande industria costa la metà.Non è che se ne consumi un litro al giorno di olio,il problema quindi non mi sembra il prezzo.Il problema è l'ignoranza del consumatore verso questo prodotto e su questo grandi sforzi andranno fatti.
Mi scusi ma l'olio non è il vino,il nostro obiettivo è proprio quello di arrivare a far si che ci siano sempre piu' bottiglie di olio buono sulla tavola,piu' richiesta ci sarà di questo e piu' la produzione sara' spinta a fare sempre meglio.

Fabio Ciampi
Fabio Ciampi
26 febbraio 2012 ore 19:36

Con ordine allora.
Io, purtroppo o per fortuna, non sono legato intellettualmente alle logiche di concorso, e non mi interessa sapere se il vincitore abbia un tenore di  biofenoli di 400 o 500, ma questo è un altro discorso e anche per questo non credo molto nel panel (sono un assaggiatore panel). Le posso comunque dire che l'olio da me preferito è quello molto amaro, dove i tanto amati biofenoli si vedono quasi ad occhio, ma che non ha mercato alcuno perché troppo amaro ma che scientificamente potrebbe essere una medicina. Cosa voglio dire con questo? Il concetto è abbastanza semplice e ridurre il tutto ad una gara di numeri mi sembra un po' riduttivo. La mia non vuole essere una crociata a favore di un qualsivoglia olio, tantomeno  di quello spagnolo, che non apprezzo,  ma vorrei soltanto andare incontro ai tanti olii "non in concorso" che non sanno di che morte morire.
Frittura con olio extravergine? Assolutamente positiva e forse anche la migliore, mai detto il contrario, ma personalmente non gradisco friggere nell'evo, mi risulta (mio parere ... e anche di altri) particolarmente molto saporita e poco digeribile. Le assicuro, comunque, che una frittura con un olio di semi e/o raffinato (ma che sia una di frittura) non danneggia assolutamente nessuno e sarebbe anche opportuno sfatare questo mito e non spaventare tutti con aldeidi e chetoni ( è una provocazione la mia, lo so, ma lo strutto ha un punto di fumo superiore all'extravergine e taluni semi pure). Lei mi dice di non prendere posizioni? Forse è vero. Analizzo olii da dieci anni (sono il titolare di un laboratorio di analisi chimiche proprio sulle sostanze grasse) e, ci creda, il mio obiettivo non è stabilire quale sia  il migliore, lo facciano altri più competenti di me. Io preferisco garantire la salubrità dei nostri alimenti, se mi si interpella dispenso i miei consigli, poi ... il palato è di chi mangia, non solo di chi degusta. È lapalissiano che quando l'analisi chimica  incontra il gusto il connubio è perfetto.
Ma anche lei non ha risposto ad una mia domanda.
Cosa ne facciamo di tutti gli olii nostrani non ottimali (parlo sempre di buoni extra naturalmente)?
Come ci comportiamo con chi non può permettersi di spendere 5 o 6 € per una bottiglia di ottimo extravergine? (perché questo dovrebbe essere un prezzo giusto, posso capirlo)
Perché, come suggerito dal sig. Occhinegro, non si propone una scala di qualità ed economica anche per l'extravergine ?
Perché non si chiede un parere anche ai confezionatori e non solo ai produttori?
Il discorso è parecchio complesso e non vuole essere una corsa all'olio migliore ma si vuole solamente snocciolare un problema che sta portando nel caos un po' tutti.
Ripeto, è indiscussa la qualità dell'extravergine ma il problema è un altro, cercare di salvaguardare il nostro olio, quello da concorso e quello da tavola.
Come ultima cosa, poi termino, va bene i biofenoli, acidità, panel etc, ed il resto delle analisi? Gli ftalati non vogliamo controllarli? E i pesticidi? In Puglia per la campagna passata è stato permesso l'uso del principio attivo della pyraclostrobina, ma pochi (o nessuno) hanno effettuato controlli sui questo residuo (neppure enti controllori sapevano cosa fosse). 
Saluti.

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
26 febbraio 2012 ore 18:13

Sig. Ciampi,la ringrazio per la precisazione sul costo del test dei polifenoli,quello ufficiale.Il sig. grimelli in un suo articolo aveva parlato di trecento euro e della difficoltà dei piccoli produttori ad affrontare costi sempre maggiori,se è cosi', una ragione in piu' per introdurli obbligatoriamente vista la loro importanza.Oggi non esiste un olio che arrivi ad una finale di un concorso o che entri in una guida prestigiosa con polifenoli al di sotto di 200(di solito sono tutti tra i 250 e 500,ma quelli vincenti arrivano anche oltre).E' proprio l'abbinamento polifenoli-paneltest a far si' che i ripassi stiano fuori dalla categoria qualità,proprio perche' un ripasso ha un basso fruttato e spesso non solo basso, è astringente e amaro e quindi con uno squilibro massimo.L'assaggio serve anche a questo.
Lei è un esperto di chimica ma non spende due parole quando si definisce "olio di qualità per le fritture" l'olio d'oliva derivante per il 95% da olio rettificato,praticamente spoglio di antiossidanti(come daltronde tutti gli oli estratti chimicamente).Cosa succede agli acidi grassi di un olio d'oliva(per il 90% insaturi) senza protezione di antiossidanti a temperature intorno ai 200 gradi? Concordo nel dire che puo' essere leggermente meglio di molti oli di semi(il prezzo è pero' piu' alto),ma il mio concetto di qualita' è diverso dal suo e dal sig. Ciampi, l'unico olio che possa essere definito veramente di qualita' per le fritture è l'extravergine con un buon tenore di polifenoli e non troppo aromatico(lei un chimico e non sto a spiegarle perche').
Poi quel'"uhm" sul panel test,ce lo spieghi per favore,che cos'è che non la convince?Il fatto che dobbiamo passare per forza extravergini oli con profumo di pipi' di gatto?Purtroppo questa iattura,e la definisco cosi' perche' questo odore copre anche difetti di avvinato e morchia,non dipende da noi ma da chi ha stabilito che è un odore tipico varietale(lei lo ha mai assaggiato un olio di piqual fatta come si deve?).
Non c'è una,dico una,parola propositiva nel suo post,per lei cos'è un olio buono e che caratteristiche chimiche-sensoriali dovrebbe avere? I polifenoli no,il panel test "uhm",allora? Ad oggi, un olio di alta qualità puo' essere definito tale solo se ha queste caratteristiche:analisi chimiche con parametri molto piu' ristretti dei limiti attuali,polifenoli sopra a 200, ovviamente il tutto abbinato ad un fruttato fresco,con sentori di erbe,frutti e fiori,piccante sostenuto e giusto amaro,cose queste che possono stabilire solo dei panel(l'obiettivo sarebbe che anche il consumatore fosse in grado di stabilirlo,per ora vive nel buio piu' totale).

OLEARIA SCHIRINZI
OLEARIA SCHIRINZI
26 febbraio 2012 ore 13:38

Ritengo anche io che a livello Comunitario si debba imitare l'itinerario normativo dei vini.
Dobbiamo infatti evitare che i diversi tipi di extravergine di varia qualità si facciano concorrenza a scapito di quello di più qualità.
Auspicherei l'introduzione nella categoria esistente di extra almeno 3 sub categorie commerciali (es. prima, seconda e terza classe di extravergine) in modo che al consumatore si possa comunicare in etichetta che sostanzialmente trattasi di olii di effettiva diversa qualità. Sarà poi a discrezione del consumatore in base ai suoi usi ed esigenze scegliere la classe di olio extravergine di preferenza.
E' chiaro che l'olio extra di prima classe dovrebbe possedere dei requisiti chimici di altissimo livello, anche oltre le dop.
Il mio è un puro esempio, ma è chiaro si possono trovare altre soluzioni che portino allo stesso risultato.

Fabio Ciampi
Fabio Ciampi
25 febbraio 2012 ore 21:51

Non voglio dilungarmi molto, visto già l'ottima sintesi del sig. Occhinegro e non voglio neppure sembrare polemico ma ci tengo a precisare alcuni punti dell'ultimo commento ( non me ne voglia il sig. Breccolenti ma quando si parla di chimica ... beh sarà deformazione professionale, la mia)  
- un'analisi di biofenoli (o polifenoli è uguale) non costa 200 e più euro ma sfiora appena i 60 ... naturalmente analisi in HPLC, mica con le macchinette multiuso
-  i biofenoli sono caratteristici soprattutto della cultivar, pertanto valori non eccessivamente elevati non sono necessariamente indicativi di una non ottima qualità (provate ad analizzare un ripasso di coratina e vedrete che polifenoli da capogiro, peccato poi che vi ritroverete un eritrodiolo quanto una montagna)
- bassa acidità non significa necessariamente sapore migliore e mi sembra abbastanza scontata la cosa
- lasciamo perdere il discorso del profilo degli acidi grassi, per adesso, visto che proprio quel fantomatico olio spagnolo ha un acido oleico più elevato del nostro, visto il loro tipico basso valore dell' acido linoleico rispetto il nostro
-  vogliamo parlare degli alchilesteri? Se non fosse per la paura del deodorato a quest'ora nessuno saprebbe dell'esistenza di questi composti ( ma in Spagna hanno già trovato come abbassarli)
- che fine vogliamo far fare a tutto quell' olio della Puglia meridionale (sono pugliese e parlo con cognizione di causa) che ha alchilesteri già sui 40 ppm
-panel test? Uhm ... 
- demonizzare gli olii raffinati e/o quelli di seme è un atteggiamento, per quanto mi riguarda, un po' troppo semplicistico e superficiale (quando poi mangiamo tutta roba confezionata dove impera il raffinato).
E non dimentichiamo pure che non tutti hanno la possibilità economica di usare dell'ottimo extravergine per condire, per cucinare, per friggere o per fare massaggi.
Purtroppo, taluni  luoghi comuni di "certa" chimica dettano, a volte, reazioni troppo impulsive e poco pratiche.
Il discorso, pertanto, è parecchio complicato e ben vengano nuovi spunti come quelli del sign. Occhinegro 
Cordialmente



giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
25 febbraio 2012 ore 20:05

Non concordo con lei, sig. Occhinegro su alcuni punti da lei trattati e vorrei approfondirli.
L'Italia,visto che non è competitiva con i costi, ha un futuro olivicolo solo se migliora sempre piu' di piu' il suo standard qualitativo,cioe' se si distingue sul serio, e se fa crescere sempre piu' il consumatore.Detto questo non capisco il senso del perchè spingere prodotti ultrascadenti,quali sono i vergini,fortunatamente spariti dagli scaffali.
E' già un grosso problema il calderone extravergine,lo vogliamo aumentare ingigantendolo con i vergini (che dio ce ne scampi).Altro discorso sarebbe quello di creare un sottoinsieme alta qualita' dentro l'extravergine,cioe' oli con parametri chimici piu' ristretti sulla traccia dei DOP.Ad es:
Alta qualità
Acidita' sotto 0,5
perossidi sotto 12
polifenoli sopra 200 (con metodo ufficiale)
Panel assaggio voto minimo 7,5
Alchilesteri sotto 10-15
L'introduzione dei polifenoli,anche se mi si obbietta che costa troppo (circa 200-250 euro,ma se fosse obbligatoria si potrebbe scendere),la ritengo fondamentale cosi' come il panel test,unico metodo per trovare i difetti e i pregi.

Altro punto,l'olio d'oliva per la frittura di qualità.Ma cosa vuol dire frittura di qualità? Un olio senza polifenoli(quali gli oli di oliva ottenuti quasi esclusivamente da rettificati) che proteggono i grassi dall'ossidazione, farebbe fritture di qualità? Farebbe semplicemente fritture piu' o meno al pari di un girasole,unica differenza è il prezzo.L'alto tenore di acido oleico,che è pur sempre un insaturo resiste bene al calore solo se è protetto da quei piccoli meravigliosi prodotti che sono i polifenoli. La frittura di qualità è una e una sola,quella fatta con oli buoni extravergini con alto contenuto di oleico associato a una buona dotazione polifenolica,preferibilmente non troppo profumati,esenti dal caratteristico olezzo di pipi' di gatto riscontrabile nel 70% di oli di massa extravergini presenti negli scaffali.Ovvio costerà un pò di piu', ma frittura di qualità puo' essee riferita solo a questa categoria di oli d'oliva.Piu' giusto dire che l'olio d'oliva puo' essere leggermente meglio di altri oli di semi,ma il tutto sempre nell'ambito dello standard medio basso,visto come vengono estratti questi oli.
Sono daccordo con lei con i primi tre obiettivi da raggiungere.Sul quarto punto,io sono per una lotta senza quartiere all'olio proveniente dalla Spagna col caratteristico profumino di pipi' dei noti quadrupedi (e non mi riferisco alla meravigliosa particolarita' di una buona Piqual lavorata come si deve)che quando è molto forte copre anche difetti leggeri di avvinato e riscaldo,insomma una vera e propria iattura.Specifico che la lotta a quel tipo d'olio,oramai istituzionalizzato e legale,è solo a livello di insegnamento verso il consumatore,l'unico,che una volta imparata la differenza tra un olio fresco erbaceo o mandorlato con uno con profumo che ricorda la famosa pipi',puo' bloccare con il mancato acquisto allo scaffale.Sai di pipi' di gatto?Non ti compro.Vedrete che poi,anche se ci sono ricerche autorevoli che dicono che quel profumino è la tipicita' della piqual,quell'olio migliorera' e di molto e forse si alzera' anche il suo prezzo perche' produrlo migliore vuol dire alzare i costi.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
25 febbraio 2012 ore 18:01

Gent.mo Sig.Landini, la ringrazio. Ciò che auspico è il dialogo tra tutti in maniera costruttiva e quindi con una azione condivisa. L'obiettivo è fare il bene del Paese, degli agricoltori e di tutti gli operatori. Fare del bene è garantire il giusto valore al prodotto lungo l'intera filiera, senza soprusi. Un Paese è niente senza un'agricoltura sana, sotto tutti i punti di vista. Unirsi significa anche investire congiuntamente in modo proporzionale (in base alle proprie capacità economiche) in maniera intelligente, senza sprechi e con convinzione, lasciandosi guidare dalla passione e dalle capacità di persone meritevoli. Per fare tutto questo è mia opinione che occorra cambiare la classe dirigente di alcuni organismi che non conoscono la parola "dialogo" ma la scelta deve partire dal basso, con convinzione,come avviene nell'amato calcio quando il presidente cambia allenatore e giocatori. Ecco questo sarebbe un grande, un enorme passo in avanti.

Andrea Landini
Andrea Landini
25 febbraio 2012 ore 14:35

Caro Occhinegro, a volte ho polemizzato con lei per delle posizioni diverse che avevamo soprattutto nel campo della commercializzazione dell'olio, mi trovo invece perfettamente d'accordo con lei con l'analisi che ci ha proposto sulla classificazione degli oli.
L'analogia che lei fa con il settore del vino è particolarmente calzante, dobbiamo infatti imitare il settore vinicolo che ha saputo "costruire" un mercato dove sono presenti con pari dignità e con le loro peculiarità sia i produttori delle grandi DOCG sia i produttori dei vini più di largo consumo come i vini da tavola.
Nel campo vinicolo, a differenza di quello oleario, non vi è praticamente nessuna concorrenza fra i produttori delle due categorie di vino a cui ho accennato sopra tanto è diverso il mercato di riferimento dei due prodotti, nel campo oleicolo invece chi produce olio di assoluta qualità spesso, a causa anche della maggiore ignoranza del consumatore in materia di olio, deve competere con oli qualitativamente molto inferiori, ma imbattibili a livello di prezzo.
A questo proposito, per rimarcare ancora maggiormente la differenza fra le categorie credo che sarebbe opportuno variare i parametri per la classificazione dell'olio extravergine, portando l'acidità massima a 0,4 e i perossidi a 12, chi veramente vuole fare oli di eccellenza non deve aver paura ad alzare l'asticella della qualità.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
25 febbraio 2012 ore 12:32

Dott. Ciampi, la ringrazio.

Fabio Ciampi
Fabio Ciampi
25 febbraio 2012 ore 08:10

Beh ... c'è poco da aggiungere alla sua analisi ,fortemente attenta, della reale situazione "oleopolitica".
Complimenti, da chimico e da operatore analitico, quale io sono.